Ingrid Betancourt è libera

Eccola, è “rimasta viva per riabbracciare i figli” ed è più forte di un uomo

Annalena Benini

Una donna bellissima, splendente. Ha dormito per sei anni su un'amaca legata tra due pali nella selva colombiana, prigioniera in marcia con lo zaino sulle spalle, ostaggio a cui tutto veniva negato, anche una coperta. Per un'infinità di mesi è stata sul punto di morire ogni giorno, e nell'ultimo lunghissimo periodo era rimasta l'unica donna in mezzo a disperati prigionieri uomini.

    Una donna bellissima, splendente. Ha dormito per sei anni su un'amaca legata tra due pali nella selva colombiana, prigioniera in marcia con lo zaino sulle spalle, ostaggio a cui tutto veniva negato, anche una coperta. Per un'infinità di mesi è stata sul punto di morire ogni giorno, e nell'ultimo lunghissimo periodo era rimasta l'unica donna in mezzo a disperati prigionieri uomini, doveva lavarsi vestita, stare in silenzio per non creare problemi, si era compostamente abituata a essere una morta che respira. Adesso è libera, ha 46 anni e ne dimostra 20, capelli lunghissimi senza nemmeno un filo bianco, la faccia della vita che esplode un'altra volta (“Sono rimasta viva per riabbracciare i miei figli”), la giovinezza che ricomincia senza alcuno stratagemma estetico, senza nemmeno un pettine.

    Quei capelli sono la testimonianza massima di una prigionia femminile durata un secolo, capelli attorcigliati nelle trecce per non volerli tagliare, massacrati dalla denutrizione, dalla malaria, dal dolore che spezza le vene, eppure lucenti, vivissimi, e adagiati da un lato nell'ultima immagine scheletrica e rassegnata di Ingrid Betancourt, quella che sembrava voler dire: guardatemi, è finita. Ma i suoi capelli erano stati accarezzati, acconciati in preparazione di qualcosa che poteva ancora succedere. E' successo, l'hanno liberata i soldati (che non ha scordato di ringraziare), l'hanno riportata da sua madre, dai suoi figli, da sua sorella, le hanno messo addosso forse un suo vecchio vestito giacca e pantaloni, che le sta largo ma la fa incredibilmente bella e ragazzina con la treccia lunga, e i sorrisi di felicità non trattenuta non hanno niente di disorientato, di sconvolto, di disabituato al mondo. Nessun uomo avrebbe avuto il volto perfetto, il sorriso miracoloso di Ingrid Betancourt quando è apparsa dall'aereo, maglietta stivali pantaloni militari, e al polso magro dei braccialetti, fatti da lei con un pezzo di corda e anellini di metallo. Nessun uomo avrebbe costruito uno step con i rami per fare palestra durante il sequestro.

    Eccola, è di nuovo e senza un attimo di esitazione la colombiana parigina che chiamava zio Pablo Neruda, cenava con Gabriel Garcia Marquez e andava a scuola in Rolls Royce, ma con addosso gli indispensabili geni di regina di bellezza della madre Yolanda, che ogni mattina alle cinque, durante la prigionia, le ha parlato dalla radio, per abbracciarla e per tenerla in vita. La forza di una donna si vede anche dalla faccia che ha, dalla civetteria che le resta, e lei piangeva fino a sentirsi soffocare. Sei anni senza i figli (mentre la migliore amica e nel 2002 candidata alla vicepresidenza, Clara Rojas, ha fatto un bambino con un guerrigliero, ha urlato giorno e notte quando glielo strappavano dalle braccia, e adesso è con lui, libera, ma non l'ha visto per due anni) sono come cent'anni in una caverna senza respirare. Ma appena li ha riabbracciati è tornata una roccia, camminava tenendoli stretti, guardandoli negli occhi, li stava proteggendo lei da tutta quella luce, da tutta quella gente, voleva già sapere se c'erano problemi all'università, o con i fidanzati.

    “E' come stare in paradiso”, ha detto, perché la vita è lì accanto a loro e loro hanno sofferto per lei, sono cresciuti aspettando lei, ma comunque lei non è affatto pentita: “Se si dovesse rifare, io lo rifarei”. Rifarebbe la follia incosciente di andare in mezzo ai narcotrafficanti sopra una jeep con una bandiera bianca, e farsi sequestrare perché “non potrei vivere in nessun altro modo”, aveva detto una settimana prima di essere rapita (“E ambisco ancora alla più alta carica dello stato”, ha detto ieri con quel sorriso perfetto sulla pelle liscia, con lo sguardo da adolescente innamorata – ma nessun uomo accanto a lei, tranne il figlio: l'ex marito sorvolava la foresta gettando migliaia di foto dei figli perché lei potesse trovarne almeno una, il marito in carica non viene nominato nella lunga lettera dalla selva). La prigioniera più famosa del pianeta, ora per sempre libera, si è meritata tutta l'attenzione, tutte le gigantografie (perfino tutte le candidature al Nobel, che pure finiranno per banalizzarla): una ragazza bellissima, splendente, più forte di un uomo, una donna che nemmeno per un secondo ha pensato di non farcela.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.