La linea sartoriale in piazza Navona

Tutti in camicia, a qualcuno serviva di forza

Stefano Di Michele

Se c'è una linea zoologica deve esserci pure una linea sartoriale. A piazza Navona, prima del patatrac finale, s'intuiva tanto un ordinato crescendo quanto una sistematica spogliazione – mentre tenevano banco l'uccello berlusconiano, la pavidità napolitaniana, la coglionaggine veltroniana.

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    Se c'è una linea zoologica – che tende idealmente al porco e porta fattivamente al Caimano, passando prima travagliescamente per la mantide religiosa – deve esserci pure una linea sartoriale. Una precisa gerarchia, un'elaborata simbologia. Così, a piazza Navona, prima del patatrac finale, s'intuiva tanto un ordinato crescendo quanto una sistematica spogliazione – mentre tenevano banco l'uccello berlusconiano, la pavidità napolitaniana, la coglionaggine veltroniana. Per dire, Furio Colombo, con annesso Herald Tribune sotto il braccio, aveva la giacca, la camicia e la cravatta. E neanche una goccia di sudore. Tanto il gelo della democrazia “Sotto Berlusconi” – come da diario della sua signora allegato all'Unità – che non servono più neanche i ventilatori. Paolo Flores d'Arcais, invece, la giacca l'ha tolta, mantenendo però la cravatta: Micromega e macro calura. Marco Travaglio, che non è secondo a nessuno – se non esce un suo libro, esce un libro con una sua prefazione – ha tolto giacca e cravatta: solo la camicia, monito e riprova che sotto il Caimano pure il vestiario, oltre la democrazia, latita.

    E dunque, gerarchicamente salendo e sartorialmente calando, ecco il trionfo di Antonio Di Pietro. Che non ha la giacca, non ha la cravatta, non ha la camicia con le maniche lunghe. Piuttosto, un curioso manufatto bianco con colletto alla coreana, righe bianche tono su tono in rilievo, maniche corte e in più arrotolate lungo il maschio bicipide, mani sui fianchi evocativi di una perfetta posa post trebbiatura. Di Pietro abbraccia tutti, bacia tutti e ha la faccia più scura di tutti. Ai piedi della scala che conduce sul palco, lancia idealmente gli oratori che salgono, accoglie fattivamente quelli che terminano. Il meraviglioso retropalco della manifestazione – gli addetti hanno un cartello con su scritto “backstage”: manco nella notte degli Oscar – è un formicaio democratico, un crocchio di difesa costituzionale, una barricata parlamentare. Sopra, invece, un pisciare a turno ora sulla testa del capo dello stato, ora su quello del leader dell'opposizione.

    Tutto pare come un tempo, come allora, quando “non perdiamoci di vista” e poi chi s'è visto s'è visto. Ma è un'illusione. I girotondi – “Ciao, popolo dei girotondi!”, urla una in canotta lì sopra – pensavano di essere l'ovetto di cioccolato con la sorpresina dentro, invece si sono ritrovati a fare loro la parte della sorpresa: dal contenitore al contenuto. E infatti, questa è una piazza con firma e certificato dipietrista: domina sulle bandiere, sulla folla, sugli applausi e sugli striscioni – da “Cerveteri con Di Pietro” all'assicurazione evocativa di una famosa pubblicità (e il Caimano davanti a uno spot sempre si leva il panama bianco), “Anto' fa caldo, ma Macerata c'è lo stesso”.
    Gli altri vagano, acconsentono, attendono, si sperdono. Pure quelli con la bandiera cubana, pure quelli con il Che, “hasta la victoria, siempre!”, chissà se pure il quieto violinista, che magari è qui solo per affari suoi, “si impartiscono lezioni di violino a domicilio”.

    Flores sul palco attacca: “Sequestro di persona, estorsione…”. Il garbo, quello che c'è, è tutto contenuto sotto il palco. Dove gli abbracci continuano, il ritrovarsi s'infittisce, le carinerie – in un contesto, si capisce, di “criminali e amici di criminali” – si moltiplicano. Saranno pagine memorabili, c'è da scommettere, nei futuri diari della signora Colombo (di Furio, non del tenente), pure se il consorte è sempre più tetro: lui qui con il suo aplomb da liberal della Columbia finito in centro storico, lassù teatranti e giornalisti coprono di pernacchie Quirinale e Loft. “Succhiato l'uccello”, dice Sabina Guzzanti, spingendo al debutto il pompino nell'arena girotondina. “Signorine di bell'aspetto”, evoca Lidia Ravera, e di caro prezzo. Piove Viagra. S'allaga il Quirinale. Sprofonda il Partito democratico.

    Mentre cala il sole, il democratico sodalizio somiglia sempre più a una specie di sabba: salgono i toni, salgono le parole, salgono le ingiurie. Fremono i bicipiti di Di Pietro, a disagio: lui voleva la polemica q. b. (quanto basta, come nelle ricette), nel pentolone di piazza Navona viene rovesciato di tutto – e siccome non è un trattore, la faccenda gli è sfuggita di mano. Freme la bianca chioma di Colombo, che chissà all'Herald cosa diranno mai. E tra uccelli e trombate e viagra d'appoggio, l'arrapamento politico dilaga. Così, al calare della sera Travaglio vede il Caimano farsi mantide religiosa, “fa una scopatina con un leader del centrosinistra e poi se lo mangia”. C'è gente che lascia la piazza quando parla la Guzzanti, corsa alla dissociazione, sensazione d'imbarazzo. Di Pietro ci prova così: “Distinguiamo tra chi fa politica e chi fa satira” – manco non li avessero mischiati loro. Veltroni attacca Travaglio per gli attacchi a Napolitano. In piazza, l'ex direttore dell'Unità Colombo, il direttore dell'Unità Padellaro, il futuro direttore dell'Unità De Gregorio: chissà come si metteranno domani con il loro rubrichista.

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