Il vento dello scisma sulla chiesa anglicana esiliata a Lambeth
Why the anglican community is a joke, interview with Vittorio Messori
Unioni omosessuali in chiesa bollate come “blasfeme”, comunità leggendarie come quella di George Washington che decidono di emigrare nella chiesa nigeriana, 500 prelati pronti ad abbandonare la comunione e una leadership tacciata di “apostasia”.
Roma. Unioni omosessuali in chiesa bollate come “blasfeme”, comunità leggendarie come quella di George Washington che decidono di emigrare nella chiesa nigeriana, 500 prelati pronti ad abbandonare la comunione e una leadership tacciata di “apostasia”. Quattrocentosettantaquattro anni dopo l'Act of Supremacy che sancì il distacco da Roma, e la nascita della chiesa d'Inghilterra di Enrico VIII, gli anglicani sono a un passo dallo scisma. L'ala conservatrice, espressione delle comunità di Africa, Asia, Australia e Sudamerica insieme con alcune comunità statunitensi, ha deciso di marcare le distanze dai liberal, accusati di tollerare i sacerdoti gay e ordinare i vescovi donne. Lo fa annunciando il boicottaggio della conferenza di Lambeth che si tiene ogni dieci anni e che sabato aprirà i lavori. Sul Time magazine l'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams ha definito la sua chiesa “un telaio fragile come mai lo è stato finora”. Forte di 11 mila sacerdoti tra cui 291 vescovi, la corrente scissionista rivendica di rappresentare 35 dei 77 milioni di anglicani di tutto il mondo.
All'origine dello strappo, la nomina a vescovo nel 2003 di Gene Robinson, omosessuale dichiarato non invitato a Lambeth, e la celebrazione di matrimoni gay in Canada e in Inghilterra. Da allora la faida sulla questione omosessuale ha finito per travolgere la “via di mezzo”, come si è sempre definita la chiesa anglicana. La vicenda avrà ripercussioni americane, dove la comunione episcopaliana, che esprime anche John McCain, è stata la prima a dividersi sulla questione gay. Due anni fa sette parrocchie della Virginia che si oppongono alla “benedizione” delle coppie gay scelsero di abbandonare la chiesa episcopaliana, quella dei Padri fondatori, quella che ha dato undici presidenti agli Stati Uniti, per entrare nella chiesa nigeriana. Due di queste comunità sono fra le più antiche d'America, Truro Church di Fairfax e Falls Church, frequentata anche dal presidente Washington. Oggi sono missioni della chiesa diretta da Peter Akinola, una sorta di “papa nero” con i suoi 18 milioni di fedeli, la più grande comunità della congregazione riformata. Un mese fa il matrimonio di due preti gay, Peter Cowell e David Lord, celebrato in aperta sfida al vescovo di Londra Richard Chartress e in una delle più gloriose chiese della capitale, Saint Bartholomew the Great, ha accelerato il processo scismatico. Sono 38 le province scissioniste, la metà delle province anglicane, in “una decisione epocale, mai vista nei cinquecento anni di storia anglicana” (così Williams). I vescovi di Uganda, Nigeria, Ruanda e di Sydney non saranno a Lambeth. Tra i primi a reagire l'arcivescovo Akinola: “Il diavolo è entrato nella chiesa”.
Prelati pronti a tornare con i “papisti”
Alasdair Milibank è un teologo e filosofo tra i maggiori del Regno Unito, un anglicano di ferro che si è formato a Cambridge alla scuola di Rowan Williams. Milibank è l'anima del movimento Radical Ortodoxy, con il quale da vent'anni ha dato vita a una battaglia per superare ogni riduzionismo secolarista della chiesa anglicana. “La conferenza di Lambeth è l'ultima chance per evitare uno scisma altrimenti certo”, dice al Foglio Milibank. “Ma forse è troppo tardi. Nella comunione anglicana tutto è ormai spaccato su linee geografiche, più che fra bianchi e neri. In Gran Bretagna è maggioritaria la posizione liberal, ma è sempre più importante quella evangelica. L'Inghilterra è un paese vittima, più che altrove, di una secolarizzazione forsennata. In Nigeria c'è una comunità conservatrice, basata sulla Bibbia e contraria all'ordinazione dei gay. Il Sud Africa è molto anglocattolico. Molto dipende da chi evangelizzò quelle terre”. Per Milibank a Lambeth sarà a giudizio l'autorità di Williams, che non fa mistero di aver ordinato in passato sacerdoti gay e propone un'analisi scritturale molto indulgente in materia. “Williams non ha più scelte. Deve cercare di puntare tutto sulla relazione con i cattolici, la ripresa del dialogo per l'unità e il rinnovamento della tradizione rappresentata da Roma. Ma deve essere più fermo anche sulla natura sacramentale della chiesa anglicana, l'idea di una chiesa scritturale. Williams è un uomo non ambizioso nella gestione del potere, ma questo è anche il suo limite nell'imporre una linea”.
Williams vede crescere l'influenza del vescovo di Rochester, Michael Nazir-Ali. “E' un anglicano molto evangelico, ma meno cattolico di quanto si pensi, basta pensare che si rifiuta di venire a Lambeth, unico fra i britannici. Il suo obiettivo è denunciare la disintegrazione della cultura comune di matrice anglosassone. Le sue idee sono molto corrette sulla decadenza del mondo in cui viviamo, ma per lui tutto si basa sulla Scrittura. Nazir-Ali sarà decisivo nella rottura, ma non sarà in grado di assumerne la guida”. Milibank fa un pronostico. “Forse sarà leader Thomas Wright, il vescovo di Durham, è un evangelico moderato ponte tra Williams e Nazir-Ali. Sospetto un movimento enorme di rottura nella comunione, ma in futuro scomparirà. Vedremo forse una chiesa indipendente in Nigeria”. La questione anglicana è doppiamente decisiva: “Per mantenere l'unità globale dentro le differenze culturali e perché dal Concilio Vaticano II in avanti si è imposto il tema della differenza sessuale. E l'anglicanesimo è un grande laboratorio di questa dimensione”.
Nel 1994, quando la chiesa anglicana ha dato via libera all'ordinazione delle donne, la comunione perse 500 membri passati tutti al campo “papista”. Oggi la leadership di Williams non si estende oltre le province “bianche”. Negli anni Settanta c'erano cinque milioni di anglicani in Nigeria e 16 diocesi. Oggi sono 18 milioni e 80 diocesi. Nei paesi “bianchi” sono fermi a tre milioni. Quando Williams avallò la legge sulle coppie gay, Akinola abrogò dallo statuto nigeriano la frase “in comunione con Canterbury”. Henry Orombi, arcivescovo dell'Uganda, ha definito “blasfema” la cerimonia gay di Saint Bartholomew, mentre il nigeriano Akinola ha detto che la leadership è “apostata”. L'arcivesvovo di York, John Sentamu, ha paragonato Lambeth a un “parlamentino”. “E' inaccettabile che omosessuali praticanti diventino preti” ha tuonato il vescovo di Sydney, Robert Forsyth, che incontrerà Benedetto XVI in Australia per la Giornata mondiale della gioventù.
Il vescovo anglicano di Ebbsfleet, Andrew Burnham, ha detto di voler passare alla chiesa cattolica insieme ad altri prelati. Burnham ha incontrato nei giorni scorsi il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, William Levada, e il presidente del Pontificio consiglio per l'Unità, Walter Kasper, che sarà a Lambeth. “E' il desiderio di molti esponenti del clero anglicano che chiedono di entrare in piena comunione con la chiesa di Roma”. Stephen Parkinson, direttore di “Forward in Faith”, ha detto: “E' la destinazione più ovvia. Nel 1992-93 molti di coloro che lasciarono la chiesa d'Inghilterra entrarono in quella romana”.
Rinomato storico della chiesa, fra i massimi esperti del Concilio Vaticano II, di cui ha curato una monumentale storia pubblicata in più lingue, Alberto Melloni vede tre aspetti fondamentali dietro a Lambeth. “Da un lato c'è la questione conciliare: Lambeth fa emergere le difficoltà dentro ogni chiesa. La composizione dei gruppi a Lambeth non è diversa da quella nella chiesa evangelica, battista o cattolica. Ci sono gruppi per i quali, davanti ai cambiamenti morali, le chiese siano obbligate a rispondere subito. Da qui il fatto di porre a tema i diritti della donna, l'eguaglianza e l'orientamento sessuale. Conservatori e aperturisti si assomigliano molto, pensano che da lì passi la credibilità della chiesa”. La seconda questione riguarda il ministero. “La questione delle donne parte da un principio conservatore di disciplina ecclesiastica: per governare la chiesa servono i vescovi. E' la grande questione che conta più del sesso dei vescovi. Queste chiese subiscono emorragie enormi di pentecostali che rifiutano l'autorità ministeriale”.
Infine il problema dello scisma. “Dopo un secolo di ecumenismo e dopo aver fallito i grandi appuntamenti di unità, come quello 1983 con gli anglicani sui cui l'allora cardinale Joseph Ratzinger in persona si impegnò in modo contrario, le rotture sono aumentate. Quando i vescovi cambiano chiesa, intere comunità trasmigano di chiesa in chiesa. L'anglicanesimo è da sempre una via a metà fra il cattolicesimo romano e la riforma radicale. Sono state le società protestanti di Londra a immaginare l'unità delle chiese. Poi c'è la struttura di governo della chiesa come comunione di chiese locali con un governo sinodale. L'anglicanesimo è un grande sismografo per sorvegliare le tendenze contemporanee. Basta vedere il palazzo di Lambeth, con i suoi quattro pilastri che rappresentano scrittura, credo, battesimo e ministero. Lambeth è l'immagine dell'unità delle chiese”.
Il saggista cattolico Vittorio Messori ricorda che gli anglicani non hanno diritto al titolo di chiesa. “Come ha ricordato Ratzinger, è chiesa solo se ha successione apostolica. E' una sorta di barzelletta la comunità anglicana. All'inizio era la lussuria di un re. Oggi sono una barzelletta perché la regina ha lo stesso ruolo del Papa e sulle questioni teologiche, come il peccato originale o l'immacolata concezione, ci vuole un voto dei Lord”. Per questo, aggiunge Messori, c'è continua diaspora verso Roma. “L'anglicanesimo è la Camera dei Lord in preghiera. La loro unica funzione è fare della chiacchiera sull'attualità ogni domenica mattina. Ormai fra i fedeli sono più numerosi i musulmani degli anglicani. Da questa chiesa non c'è nulla da imparare. Rincorrono le mode del mondo. E allora via, in nome della Bibbia benediciamo l'omosessualità. E' patetica questa rincorsa che va avanti da un secolo. Il cardinale Henry Newman alla fine decise di uscire. E gli Stati Uniti non sono nati forse da coloni in fuga dall'inquisizione anglicana?”. Un pensiero, infine, sull'ecumenismo fallito. “Lo si pretende soltanto dai cattolici. L'unione sarebbe possibile, già Paolo VI li aveva implorati, ma non se gli anglicani rincorrono lo spirito del tempo. Le loro decisioni sono radicalmente antiecumeniche. Non ci si riavvicina a una chiesa che ordina sacerdoti gay e fa una lesbica vescovo. L'Inghilterra è ormai un deserto religioso”.
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