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Camillo Ruini e il bilancio di fine mandato

Marco Burini

A pochi giorni dalla fine del suo mandato come vicario di Roma, abbiamo chiesto al cardinale Camillo Ruini un bilancio suo e del cammino della chiesa in questi ultimi anni.

    A pochi giorni dalla fine del suo mandato come vicario di Roma, abbiamo chiesto al cardinale Camillo Ruini un bilancio suo e del cammino della chiesa in questi ultimi anni. “Con il pontificato di Giovanni Paolo II c'è stato il tentativo di uscire dal paradigma della secolarizzazione, quel grande fenomeno avvolgente e inclusivo dentro il quale anche la chiesa, volente o nolente, dovrebbe collocarsi. In questo senso si tratterebbe di un fenomeno ineludibile destinato a governare anche il futuro. A questo paradigma Giovanni Paolo II non credeva". […] Secondo alcuni lei sarebbe il regista di una raffinata operazione di potere che nei due ultimi tumultuosi decenni avrebbe permesso ai cattolici italiani, orfani della Democrazia cristiana, di non sparire dalla scena pubblica ma anzi di guadagnare rilevanza grazie a una “svolta culturale e identitaria” che tuttavia “può destare qualche preoccupazione in quel cattolicesimo sociale che da sempre è molto radicato nel paese” (Franco Garelli, La Stampa 12 maggio 2008). “Il progetto culturale non è in tensione con il cattolicesimo sociale. A parte il fatto che, quando l'ho proposto, il progetto era molto meno approfondito ed elaborato di adesso e si è arricchito di tutto quello che è accaduto in questi quattordici anni. Lo scopo del progetto era ottenere per la chiesa un rilievo in campo culturale analogo a quello che ha sempre avuto in campo sociale. Può darsi che il malinteso nasca anche dal fatto che io qualche anno prima avevo difeso l'unità politica dei cattolici; in realtà un poco prima del '94 il sottoscritto aveva capito chiaramente che quell'epoca era finita. Più in generale, c'è una forte tendenza, anche in campo cattolico, a interpretare le prese di posizione della chiesa in senso politicistico. Questo è frutto della storia del cattolicesimo italiano, ma forse è una tendenza in atto anche a livello mondiale”. (l'intervista integrale sul Foglio di giovedì 17 luglio)