In Abkhazia sta per scoppiare la prima euroguerra del petrolio
A Mozdok, città fortino nel cuore del Caucaso, i soldati russi sono arrivati un mercoledì di metà luglio, poche ore dopo l'alba. Qui, negli anni Novanta, c'era il grosso delle truppe chiamate per distruggere i terroristi ceceni, per “seguirli anche nei loro cessi”, come disse l'ex capo del Cremlino, Vladimir Putin. Lo fecero. Da due giorni Mozdok è la palestra delle squadre speciali che potrebbero intervenire in Abkhazia e Ossezia del sud in caso di un ipotetico, ma non impossibile, confronto con la Georgia. Sono paracadutisti della divisione Chernigov, fanti della 58esima armata, agenti dei servizi segreti e avieri della flotta aerea nazionale.
A Mozdok, città fortino nel cuore del Caucaso, i soldati russi sono arrivati un mercoledì di metà luglio, poche ore dopo l'alba. Qui, negli anni Novanta, c'era il grosso delle truppe chiamate per distruggere i terroristi ceceni, per “seguirli anche nei loro cessi”, come disse l'ex capo del Cremlino, Vladimir Putin. Lo fecero. Da due giorni Mozdok è la palestra delle squadre speciali che potrebbero intervenire in Abkhazia e Ossezia del sud in caso di un ipotetico, ma non impossibile, confronto con la Georgia. Sono paracadutisti della divisione Chernigov, fanti della 58esima armata, agenti dei servizi segreti e avieri della flotta aerea nazionale. Ottomila uomini, settecento veicoli da combattimento e trenta caccia che sorvolano da giorni l'intera regione. Per la Russia si tratta di peacekeeper, soldati di pace pronti a garantire la stabilità nelle due repubbliche di carta formalmente autonome da quasi quindici anni. Per il governo di Tbilisi è l'ennesima provocazione del Cremlino, un altro passo verso il riconoscimento ufficiale di Abkhazia e Ossezia del sud. Anche la Georgia stira i muscoli e prepara la macchina da guerra. Nelle strutture dell'esercito alle porte della capitale sono inziate le manovre più importanti degli ultimi anni. Con i georgiani ci sono un migliaio di marine americani e grappoli di regolari arrivati dall'Armenia, dal vicino Azerbaigian e dall'Ucraina. Secondo l'agenzia di stampa Ria Novosti è un costoso regalo di Washington all'esercito di Tbilisi, che avrebbe speso otto milioni di dollari per finanziare il “war game”. Quella tra Russia e Georgia, dice Asia Times, è “una guerra che aspetta soltanto di esplodere”.
La diplomazia si è fermata all'inizio dell'anno. “L'indipendenza del Kosovo e l'avvicinamento di Ucraina e Georgia all'Alleanza atlantica hanno aumentato la sindrome da accerchiamento della Russia”, dice al Foglio Alexandr Pikayev, analista del Carnegie Endowment di Mosca. “La Nato è un'organizzazione militare che riflette una realtà che appartiene a un altro tempo, quella della Guerra fredda: è come se l'occidente volesse spostare indietro le lancette dell'orologio”. Gli scontri tra i soldati georgiani e i “peacekeeper” russi impegnati in Abkhazia e Ossezia del sud vanno avanti da due mesi. Colpi di mitraglia, arresti e rapimenti, qualche esplosione misteriosa, un paio di aerei spia abbattuti. I separatisti controllano parzialmente le due regioni dalla metà degli anni Novanta, dopo sanguinose guerre d'indipendenza. Hanno il sostegno di Mosca, che a maggio ha normalizzato i rapporti economici, ma non hanno mai avuto alcun riconoscimento internazionale. “L'atteggiamento della Russia è gravissimo e non permetterà di risolvere il conflitto – dice al Foglio Eka Tkeshelashvili, giovanissimo ministro degli Esteri, con i suoi 32 anni, della Repubblica di Georgia – Il Cremlino non è direttamente interessato all'Abkhazia e all'Ossezia del sud ma usa le loro ambizioni autonomiste per tre ragioni: ostacolare l'ingresso della Georgia nella Nato; mantenere la propria influenza; creare nel Caucaso una situazione simile a quella del Kosovo, questa volta a proprio vantaggio”.
In realtà l'Abkhazia è un punto strategico fondamentale nei piani del Cremlino. La flotta russa potrebbe trovare proprio a Sokhumi, principale centro della regione, un nuovo porto sul mar Nero nel caso in cui Ucraina e Georgia entrassero presto nella Nato. Per questo motivo i genieri arrivati da Mosca stanno costruendo ponti, strade e una linea ferroviaria: “Vogliono collegare Sokhumi al resto della Russia”, dice Tkeshelashvili. Durante una recente visita in Georgia, il segretario di stato americano, Condoleezza Rice, ha chiesto al Cremlino di mantenere un atteggiamento responsabile. Ieri il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, è arrivato in Georgia con una nuova road map per la pace. “Ma l'unica operazione diplomatica che potrebbe far desistere la Russia dai propri intenti – spiega il ministro degli Esteri georgiano – è l'ingresso del nostro paese nella Nato. Non è l'intervento dell'Alleanza atlantica che vogliamo, ma il significato politico della nostra presenza avrebbe un effetto decisivo”. A Tbilisi passa l'unico oleodotto del Caucaso che non attraversa il territorio russo. E' stato costruito con il supporto degli Stati Uniti e vive con l'oro nero che arriva dai giacimenti azeri sul mar Caspio. Perdere la Georgia, per l'occidente, significa lasciare al Cremlino il controllo completo delle risorse energetiche dirette in Europa.
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