C'è Kriminal al telefono. La risposta di Francesco Cundari
Che cosa hai capito dalla lettura delle memorie di Giuliano Tavaroli? /3
Nella sua intervista a Giuseppe D'Avanzo, tra tante cose difficilmente verificabili, Giuliano Tavaroli ne dice alcune molto chiare. La prima riguarda la Kroll, prima agenzia investigativa del mondo.
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Nella sua intervista a Giuseppe D'Avanzo, tra tante cose difficilmente verificabili, Giuliano Tavaroli ne dice alcune molto chiare. La prima riguarda la Kroll, prima agenzia investigativa del mondo, nota anche per la vera e propria guerra delle spie ingaggiata con la security Telecom ai tempi dello scontro tra l'azienda italiana e alcune compagnie concorrenti per il controllo della telefonia brasiliana (vicenda, sia detto tra parentesi, su cui si potrebbe scrivere un saggio dal titolo “La mano invisibile del mercato”). La Kroll, racconta Tavaroli, chiese a Gianni Letta se il governo Berlusconi avrebbe avuto nulla in contrario qualora l'agenzia avesse organizzato “un'azione di discredito contro Marco Tronchetti Provera”. Avvertito dallo stesso Letta, Tavaroli organizza dunque “una contro-operazione di discredito ai danni della Kroll”. E in cosa consisterebbe tale contro-operazione? Semplice: “Il 6 novembre 2004 – dice Tavaroli – faccio pubblicare che c'è ‘un mandato d'arresto per l'uomo della Kroll, Nunzio Rizzi'. La notizia è del tutto falsa, ma alla Kroll capiscono che gli è andata male”. Evviva la libertà di stampa, si potrebbe dire. Riassumendo: in un'intervista a Repubblica piena di accuse e messaggi trasversali, l'ex capo della security Telecom spiega che il suo lavoro, come quello di tutte le strutture di security di tutte le principali aziende del mondo, consiste anche – se non soprattutto – nel far pubblicare dai giornali notizie false, allo scopo di screditare o intimidire gli avversari dell'azienda. E spiega che buona parte del suo tempo lo passa a raccogliere e fabbricare dossier su reali e potenziali nemici del gruppo, nella finanza come nella politica, compresi capi di governo, ministri ed esponenti dell'opposizione. Non si sofferma, però, sul dettaglio che dalla sua posizione sovrintendeva anche alla gestione tecnica delle intercettazioni disposte da tutte le procure d'Italia (l'inchiesta, infatti, nasce proprio da un traffico di intercettazioni). La sua intervista suscita dunque una semplice domanda: se così vanno le cose in tutto il mondo perlomeno dalla fine della Guerra fredda in poi, con la riconversione dei migliori corpi di intelligence in strutture al servizio dei grandi gruppi economici privati, e se questo è il loro “modus operandi”, cosa succederebbe in un paese in cui tutti i principali gruppi economici fossero anche proprietari di tutti i principali quotidiani?
Un'occasione per riflettere. Date simili premesse, risulta un po' arduo prendere sul serio l'ultima parte dell'intervista, dedicata al dossier raccolto sul famoso Oak Fund (“Fondo quercia”), già al centro di mille ricostruzioni, inchieste e libri-inchiesta riguardanti le presunte tangenti versate ai Ds al tempo della scalata Telecom di Roberto Colaninno, circa dieci anni fa. Un finale degno di Achille Campanile, dopo tutto quello che Tavaroli ha appena finito di dire a proposito di come si fabbricano e come si usano tali dossier. Ma anche illuminante. Date quelle premesse, infatti, forse non sarebbe inutile cogliere l'occasione per riflettere su tempi e modi di tante inchieste giornalistiche e giudiziarie di questi ultimi anni, che hanno spesso determinato l'esito di primarie battaglie combattute in campo finanziario (e non solo). A cominciare, magari, dalla scalata di Unipol a Bnl.
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