L'analisi di Lodovico Festa
Sotto a chi toga
Dopo l'ultima carica contro Berlusconi con indiscrezioni sparse su pornoconversazioni e con dichiarazioni preventive di condanna da parte di giudici in preda a pulsioni antiberlusconiane, la partita sulla giustizia pare di fronte a una possibile svolta.
Dopo l'ultima carica contro Berlusconi con indiscrezioni sparse su pornoconversazioni e con dichiarazioni preventive di condanna da parte di giudici in preda a pulsioni antiberlusconiane, la partita sulla giustizia pare di fronte a una possibile svolta. Il cambiamento potrebbe essere favorito dalle sorti di Ottaviano Del Turco, in pochi giorni passato da orco mangia-privati-della-sanità a nuovo Tortora, sottoposto a un regime carcerario intollerabile e perseguito con prove che di giorno in giorno perdono la loro ferrea consistenza. Come ha detto Veltroni, più vigliacchetto che mai, appaiono deboli gli elementi accusatori. Perfino Arturo Parisi ha rivendicato di avere un'opera di Del Turco in casa. Né aiuta il fronte giustizialista il caso Telecom e la verve accusatoria di Giuseppe D'Avanzo: un possibile nuovo autogol dopo la piccola adunata pagliaccesca-forcaiola di piazza Navona. L'editoriale “garantista” sul Corriere della Sera di Sergio Romano, centrato sul fatto che non si distrugge la reputazione di un imprenditore via media e uso selvaggio di inchieste, rappresenta una verità che può valere per Tronchetti Provera ma non può valere solo per lui. Le lodi alla procura di Milano per la prudenza, per non essersi accanita nei sospetti, per non avere tartassato gli imputati così da allargare il cerchio dei colpevoli, per non essersi avvalsa del principio del “non poteva non sapere” (con annesse responsabilità oggettive) diventano altrettante accuse per quei pm milanesi che invece si sono accaniti sulla base di aleatori sospetti, sono stati imprudenti nel perseguire mirati imprenditori e hanno usato a mani basse del principio del “non poteva non sapere” con pressioni per “incastrare” il Colpevole.
Conosciamo la tecnica di marketing delle procure militanti e sappiamo che, strette in un angolo, sanno inventarsi mostri per squassare l'opinione pubblica. Si racconta in alcuni ambienti che una burrasca potrebbe rovesciarsi sulla sanità privata lombarda. Un'anticipazione sarebbe l'articolo di Francesco Manacorda sulla Stampa contro Giuseppe Rotelli. Fantastico il linguaggio da circuito mediatico-giudiziario usato nell'occasione: Rotelli è “oggettivamente legato a Formigoni” mentre “lo si vorrebbe legato a Bazoli”. Roberto Formigoni, un po' in difficoltà su vari fronti (da Berlusconi a Giulio Tremonti a Letizia Moratti), potrebbe apparire la vittima ideale da sacrificare per recuperare qualche verginità da parte delle procure militanti. Certo, dovranno valutare con attenzione il livello di popolarità del governatore lombardo (consolidato proprio dalla gestione della sanità) e considerare anche l'inchiesta sulla Santa Rita lanciata con clamore per colpire il progetto di legge sulle intercettazioni e, dopo il son et lumière iniziale, svuotata. Era stata presentata come la fiera dei mostri con dottori che ammazzavano i vecchietti per arrotondare gli onorari e pare finire con le esagerazioni di un chirurgo che in questa attività si distingueva anche quando operava in strutture pubbliche e con qualche gonfiatura sulle spese di alcuni interventi. Ma al di là dei prossimi fuochi d'artificio tutte le difficoltà del fronte giustizialista sono evidenti. Grandi teorici di questa posizione (da Vittorio Grevi a Carlo Federico Grosso) suggeriscono una tregua, accettando pur con schifiltosità il lodo Alfano e riconoscendo che c'è un problema – come osserva Giorgio Napolitano – di giustizia spettacolo. Se un ex mediocre politico e oggi mediocre vicepresidente del Csm, come Nicola Mancino, farfuglia sulla Costituzione che va difesa nella sua interezza ma che è stato giusto cambiare nel punto decisivo della immunità parlamentare (ma – come ha osservato il più colto supergiustizialista Franco Cordero – la Costituzione non è una raccolta di norme ma un insieme in cui ogni parte è collegata all'altra), un altro intellettuale di spessore, anche se giustizialista, come Gustavo Zagrebelsky chiarisce la portata del problema italiano (come mercoledì ha notato il Foglio): non c'è solo una questione di legalità ma di legittimità. Una parte della società italiana non sente più come legittimi alcuni poteri e alcune regole, e questo alla fine potrebbe provocare una rottura, e – ricorda Zagrebelsky – i problemi di legittimità prevalgono sempre su quelli di legalità.
L'idea che l'Italia, dopo la caduta di un fascismo con ampie basi di massa, dopo una dura guerra civile e spaventata da una possibile nuova guerra civile, fosse una società più aperta dell'attuale può passare per la testa solo di un sacerdote del passato come Zagrebelsky. La Costituzione costituisce un ottimo ma netto compromesso realizzato in una stagione di ferro e di fuoco. Il costituzionalista descrive, poi, uno dei drammi della nostra società: il familismo. Il sostenersi tra amici, il potere chiuso, tetragono ai conflitti tipici di una società liberale. Una perfetta descrizione del sistema giudiziario che per Zagrebelsky sarebbe la salvezza. E' così che si perde di legittimità. Ed è aprendo la società, sfidando i reazionari sui principi (come chiede Ernesto Galli della Loggia), liberando la giustizia dalla morta gora corporativa, che si libera anche l'Italia.
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