100 di questi Cav.
Padellaro spiega i tre bonus di Berlusconi e spera che W. esca dal loft
“Caro presidente”, ha scritto giovedì Antonio Padellaro, direttore dell'Unità, in un editoriale-lettera aperta a Giorgio Napolitano. Tema: il lodo Alfano e la sua promulgazione (e però Padellaro si dice convinto che Napolitano “troverà il modo e le parole per rispondere anche a questo largo malessere”).
Roma. “Caro presidente”, ha scritto giovedì Antonio Padellaro, direttore dell'Unità, in un editoriale-lettera aperta a Giorgio Napolitano. Tema: il lodo Alfano e la sua promulgazione (e però Padellaro si dice convinto che Napolitano “troverà il modo e le parole per rispondere anche a questo largo malessere”). A monte del lodo Alfano, ci sono i “tre bonus” che Silvio Berlusconi, secondo il direttore dell'Unità, ha accumulato nei primi cento giorni di governo. “Il primo bonus si chiama Romano Prodi: nonostante a mio avviso Prodi sia uno dei più capaci presidenti del Consiglio degli ultimi decenni, è stato travolto dalla litigiosità della sua maggioranza, una litigiosità che ha dato l'impressione che il centrosinistra non sapesse governare”.
Il secondo bonus è l'emergenza rifiuti: “Berlusconi ha giocato subito la sua partita sulle immagini sconvolgenti che provenivano dalla Campania. E' andato subito a Napoli e ha dimostrato che si poteva, in parte, risolvere il problema”. In parte, spiega il direttore, perché “il centro di Napoli era sgombro di monnezza, la periferia no”. E però, aggiunge, “chi vietava al centrosinistra di fare quello che Berlusconi ha fatto con magistrale capacità comunicativa, dando almeno la sensazione di un impegno reale?”. E qui entra in gioco il terzo bonus: “Berlusconi ha dimostrato di avere una grande vitalità. Si presenta sempre bene, sorride sempre. Appare simpatico: un portatore di prosperità, uno che ha accumulato ricchezza e potrebbe far arricchire gli altri”.
Ma i bonus rischiano di congelarsi ai primi freddi, quando ci si ritroverà “con i prezzi alle stelle, la benzina alle stelle, le bolle che scoppiano da oltreoceano. E allora gli italiani, che in questo sono specialisti, inizieranno a far pagare a Berlusconi tutto ciò per cui l'hanno premiato”. Compreso il lodo Alfano, dice Padellaro. “Oggi, in una sorta di stand by, l'italiano medio dice: ‘Vediamo'. Ma se a ottobre le cose si mettono male si rientrerà nella logica della coazione a ripetere che accomuna maggioranza e opposizione: tutto si ripete in peggio”. Il direttore dell'Unità teme che il Cav., “che nel 2003, con qualche ragione, dava la colpa della crisi economica al post 11 settembre”, stavolta possa dare la colpa “alla globalizzazione che non ha funzionato o a qualche congiuntura avversa”. E teme che Giulio Tremonti “gli dia i supporti teorici necessari. Ma, se le previsioni sono queste, si tratterà di dover rispondere dei salari aumentati solo del 13 per cento, contro l'87 delle rendite”. Il Tremonti che piace a sinistra, secondo Padellaro, piace perché molti “origliano soltanto”, restano “affascinati da una critica alla globalizzazione che pare ‘de sinistra'. Però poi il libro di Tremonti non l'hanno letto, specie nella seconda parte, quando parla di valori, alzabandiera, disciplina”.
Il pericolo per il futuro del governo, dice Padellaro, si chiama Lega. Nel senso che Berlusconi dovrà “fare attenzione alla Lega, che è di una coerenza ammirevole. Pur stigmatizzando le frasi di Umberto Bossi che, da ministro della Repubblica, parla da ministro della Padania, devo dire che la Lega persegue il suo disegno di secessione con determinazione incredibile, ed è quello che vogliono i suoi elettori. Non dimentichiamo che il progetto Calderoli ha incontrato anche l'interesse dell'opposizione. Ma non so quanto tutto questo sarà conciliabile con le idee di An”. Epperò Padellaro non è “per il tanto peggio tanto meglio”. Parafrasando Nanni Moretti, trova che “vivendo male la gente ragioni male e si esprima peggio”.Vorrebbe che la politica “rispondesse delle cose che dice e fa. Abbiamo avuto una campagna elettorale sciagurata che ha distrutto quel poco che di buono aveva fatto Prodi, facendo credere al paese che Prodi fosse l'origine di tutte le disgrazie. Ora quella campagna rischia di ritorcersi contro chi l'ha fatta”.
Anche Walter Veltroni, però, non appariva propriamente prodiano. “Veltroni – dice Padellaro – aveva paura che i sondaggi che davano Prodi al minimo storico potessero ripercuotersi sul Pd. Ha cercato di salvare la figura dell'ex premier e se l'è presa con la sinistra radicale, colpevole di rissosità insopportabile. Alla fine, però, tra gli elettori è prevalso un desiderio di cambiamento. In realtà, è un ritorno al passato”. Anche Veltroni si presentava nuovo. “Veltroni è andato a parlare con la gente, ha quasi portato gli elettori materialmente a votare. Ma soprattutto ha creduto all'impegno di Berlusconi sull'avvio di un dialogo che potesse far bene al paese. Poi si è accorto che il dialogo faceva bene solo a Berlusconi e si è sentito tradito. Ha giocato una carta, gli è stato risposto con il lodo Alfano”. Se si chiede al direttore dell'Unità di individuare, se non una trave, almeno una pagliuzza nell'occhio dell'opposizione – per esempio l'alleanza con Antonio Di Pietro o le derive di piazza – Padellaro risponde “che è stato proprio Berlusconi, con il ritorno alle leggi ad personam, a dare spazio alla componente dell'opposizione che forse non aspetta altro: dimostrare che il Caimano non è mai morto”.
Guardando avanti, Padellaro auspica che il Pd “non rinunci alle riforme istituzionali che ha predicato, e non da oggi”. Ma, dice, “non può neppure accettare i vari lodi. Credo molto nelle manifestazioni d'ottobre. E credo che il Pd, dopo una fase opaca, recupererà”. La sinistra nel suo complesso, però, “deve evitare il suo peccato capitale, la rissa intestina”. E Veltroni? “Rimetta in moto il rapporto con la gente comune, esca dal loft”.
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