Caro Walter, l'idea era buona ma il tuo Pd è una delusione
Il segretario del Partito democratico ha gentilmente replicato ieri nel Foglio a un mio commento pubblicato da Panorama, del che lo ringrazio. Mi dicevo stupefatto perché il progetto incarnato dalla sua leadership è in disarmo.
Il segretario del Partito democratico ha gentilmente replicato ieri nel Foglio a un mio commento pubblicato da Panorama, del che lo ringrazio. Mi dicevo stupefatto perché il progetto incarnato dalla sua leadership è in disarmo. Invece di riconvocare le primarie dopo la sconfitta elettorale e cercare una nuova legittimazione popolare per le sue idee, nel fuoco di un confronto chiaro e stanando i suoi avversari interni, Veltroni ha scelto tattiche elusive e difensive della vecchia politica d'apparato. Indebolendosi.
Paura di una scissione? Fragilità di quel corpo politico appena fuso e già sottoposto allo stress da perdita del governo? Inquietudine per il plebiscito nordista-leghista e la variante spettacolare della conquista del Campidoglio da parte di Alemanno? Carattere personale di Veltroni, ostile agli scontri all'arma bianca? Realistica valutazione del peso specifico di D'Alema e della sua dottrina di restaurazione del potere dei partiti in un quadro di Repubblica parlamentare vecchio stile, insomma il contrario del progetto bipolarista, della vocazione maggioritaria del Pd, della leadership personale legittimata nelle primarie? Spiazzamento derivato dallo scarto di Berlusconi, che ha sbaragliato un nuovo agguato giudiziario nel modo radicale e volitivo che sappiamo, con il lodo Alfano, mettendo il suo interlocutore politico e istituzionale dell'opposizione in grave difficoltà con la sua base elettorale e politica?
Le spiegazioni possibili sono tante, elencarle tutte sarebbe una lungaggine, ma il risultato non cambia. Veltroni ha perso parecchio peso nel Pd e, in rapporto al paese, il Pd va perdendo ogni giorno il suo tratto di novità e di senso, il suo crisma battesimale impallidisce: doveva essere una formazione politica originale, un partito democratico in senso americano, nuovo nell'ideologia e nella forma organizzativa, e non più un partito popolar-cattolico o socialista nella tradizione europea. Doveva esserlo, secondo i piani pubblicamente esposti, ma non lo è diventato e non lo sta diventando.
I conti elettorali del centrosinistra si possono leggere in un solo modo, se non si abbia voglia di scherzare o di truffare il prossimo. L'Unione e il governo Prodi, insieme con l'estrema sinistra radicale e un coacervo di idee e di abitudini e di pregiudizi antropologici e morali dell'antiberlusconismo militante, sono il mondo che è uscito letteralmente distrutto dal voto. Invece il progetto veltroniano di Partito democratico, sia per la percentuale raccolta sia per il Parlamento uscito dalle urne, in cui ad esso è consegnato sostanzialmente il monopolio dell'opposizione, ha tenuto e ha creato le condizioni politiche di un rilancio e di una strategia di alternativa di lungo periodo, fondata sul governo ombra e un rapporto normalmente conflittuale e competitivo ma non di reciproca delegittimazione e paralisi con la maggioranza.
Quel progetto, nominalmente, era appoggiato, insieme con la leadership di Veltroni, da una vasta maggioranza interna ai due partiti postdemocristiano e postcomunista che hanno dato vita all'idea. Nominalmente. In realtà era legato a un salto di generazione e di cultura, come aveva scritto in modo preveggente il professor Salvati in queste colonne, la prima volta che fu sistematizzata la stessa idea di un Partito democratico. Ma il salto non c'è stato, tutto procede nella continuità e nella melassa burocratica, l'identità del partito sfiorisce, la sua silhouette si accuccia all'ombra di una ordinaria operazione di unificazione delle due formazioni originarie. La politica del Pd si presenta già come una qualunque ricerca di ordinarie alleanze nel panorama politico così com'è, dal pigro e irrilevante Casini agli extraparlamentari di sinistra fino al populismo giustizialista di un Di Pietro. Niente di male, tutto legittimo.
Ma questo che c'entra con quella grande idea di partito nuovo che avrebbe dovuto favorire e col tempo guidare un mutamento grandioso nella forma dello stato e nell'assetto stesso della società politica italiana? Che c'entra con il Pd come agente di grandi riforme istituzionali e costituzionali, come contraente di un patto per una nuova Repubblica fuori dalla vischiosa transizione di questi “quindici anni” che Veltroni non smette mai di mettere sotto accusa come un passato di cui liberarsi? Le pratiche politiche nel Pd dopo le elezioni fanno invece prevedere nuove Unioni e nuovi centrosinistra da comporre con il tradizionale metodo del rassemblement antiberlusconiano ingovernabile e di poca coesione per un serio governo del paese.
A queste contestazioni non faziose, non antipatizzanti, che partono dal riconoscimento del significato positivo e interessante del progetto che la sua leadership ha incarnato, Veltroni ha risposto esibendo ancora una volta la sua buona volontà, che nessuno mette in dubbio; ha rivendicato un cambiamento di tono e di stile che si è segnalato nella presa di distanza dall'orgia demenziale di sciocchezze realizzata a Piazza Navona; e per l'essenziale ha attribuito la colpa dei disastri all'inclinazione di Berlusconi, di nuovo rivelatosi “totalmente inaffidabile”, a difendersi dai magistrati che cercano di stroncare da quindici anni la sua notevole carriera politica o, per riprendere un fantastico Baget Bozzo sulla Stampa di ieri, il suo potere sovrano di rappresentanza costruito, e non in plastica, nel vuoto di legittimazione dello stato. A me sembra poco, caro Walter, e te lo dico con la stessa gentilezza sincera da te usata nella tua lettera di ieri.
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