100 di questi Cav.

Anselmi sottolinea i limiti del tremontismo nel governo del Cav.

Marianna Rizzini

Un Cavaliere “dal passo decisionista”. Un inizio “da statista”, con tanto di lode veltroniana al discorso d'esordio sulla fiducia. Questo è stato, secondo Anselmi, direttore della Stampa, il buongiorno di Berlusconi.

    Roma. Un Cavaliere “dal passo decisionista”. Un inizio “da statista”, con tanto di lode veltroniana al discorso d'esordio sulla fiducia. Questo è stato, secondo Giulio Anselmi, direttore della Stampa, il buongiorno di Silvio Berlusconi. “Il premier, forte della schiacciante vittoria elettorale, ha avuto un lungo periodo di luna di miele”, dice Anselmi. Un periodo “in cui nessuno osava criticarlo, un po' per il non-eccesso di coraggio dei giornali, un po' perché la sinistra era attonita e basita”. Al termine dei cento giorni è rimasta “quest'impressione di grande operosità, tra l'altro ri-trasmessa periodicamente da alcuni ministri, non senza qualche ossessività comunicativa”. Anselmi si riferisce ai fannulloni che il ministro Brunetta “dice ogni giorno di voler colpire”, ma soprattutto alla “smania da annuncio” del governo nel suo complesso, non sempre accompagnata da provvedimenti di sostanza.

    Epperò l'operatività del Cav., dice Anselmi, è ora bilanciata, in negativo, da ciò che sulla Stampa è stato sintetizzato con il titolo “Rieccolo”. Si tratta del “ritorno del Berlusconi in veste 2001-2006, con la solita esplosione di problemi giudiziari e la sensazione – già provata – che gli interessi del premier prevalgano sull'interesse generale”. Tuttavia il direttore della Stampa si dice “sicuro” che non si possa parlare di “regime”. Epperò, “mettendo insieme il lodo Alfano, l'ipotesi del rinvio dei processi e le intercettazioni, si può parlare comunque di una attenuazione della legalità”. E in questo momento, dice Anselmi, il cittadino, a dispetto dei reiterati annunci del premier, “capisce che la priorità non è la riforma della giustizia”. Una riforma “necessaria non nel senso della punizione della casta dei magistrati, ma di una maggiore efficienza”.

    Quanto al decisionismo economico del governo, Anselmi considera “un ottimo punto di partenza lo slogan berlusconian-tremontiano del ‘non ci sono soldi, non faremo miracoli'”. Come pure gli sembra “serio” il discorso di Giulio Tremonti sulla “necessità di tenere in ordine i conti pubblici, su un filo di coerenza con il predecessore Tommaso Padoa-Schioppa, vista anche la previsione di crescita piatta fino al 2011”. Tremonti poi, dice il direttore della Stampa, ha fatto bene all'immagine del governo “quando ha mostrato di voler mantenere le promesse fatte, come la detassazione degli straordinari e l'abolizione dell'Ici, che pure non era una priorità”. Il problema è che Tremonti ha compiuto “qualche passo sul terreno del populismo: la Robin Hood Tax, alla fine, dà ai poveri soltanto il dieci per cento. Quanto alla speculazione, che Tremonti critica anche legittimamente, siamo sempre sul piano dell'analisi da economista. A livello di provvedimenti immediati è stato fatto troppo poco”.

    Eppure il governo ha appena varato una mini-Finanziaria, con grande disappunto delle categorie investite dai tagli. “Le proteste caratterizzano le finanziarie di ogni colore politico. E in questo caso tutti sapevano che i tagli erano necessari. Solo che non puoi cominciare la guerra contro gli sprechi senza definire con più esattezza sprechi che non sono distribuiti in maniera uniforme”.
    Anche l'altro cavallo di battaglia del Cav., la sicurezza, agli occhi di Anselmi appare azzoppato: “Su questo terreno il governo aveva davanti a sé un portone spalancato perché, sul tema dell'immigrazione, l'atteggiamento del precedente governo è stato di grande lassismo. Se ne lamentavano anche i sindaci di centrosinistra. Solo che poi bisognava essere oculati nelle indicazioni pratiche”. E invece, “la questione delle impronte digitali è stata gestita molto male”. E' stata percepita come “un provvedimento odioso contro la parte debole di una minoranza, ma la cosa in sé aveva un senso”. Insomma, il governo “si muove bene” ma “dichiara troppo”, “e l'eccesso di annunci fa sì che gli annunci stessi, alla fine, si elidano a vicenda”.

    Va così anche per l'Alitalia: “Segnali su segnali, sembra sempre che la soluzione sia vicina. Poi, da Banca Intesa, arriva la notizia che le cose non vanno troppo bene”. Ora che – “si spera”, dice Anselmi – “la questione ‘giustizia' nel senso di processi del premier sembra, di male minore in male minore, finalmente alle spalle, non si commetta l'errore di voler apparire fedeli alle promesse fatte dichiarando tutti i giorni qualcosa in ordine sparso”. L'attivismo della Lega, invece, “non è un pericolo per Berlusconi, “anzi”, dice il direttore della Stampa. “Al di là delle dichiarazioni di Umberto Bossi su questioni che in fondo interessano poco, come l'inno nazionale, la Lega è un elemento di equilibrio. Non lascerà questa alleanza, almeno non in tempi brevi, e rappresenta un condizionamento per evitare eventuali trovate berlusconiane che la gente non capirebbe. La Lega non è una costola della sinistra, come diceva Massimo D'Alema, ma una realtà democratica che mantiene con l'elettorato un rapporto intenso e concreto”.

    Anche se il tema “processi del premier” sembra alle spalle, resta lo stallo sulle riforme istituzionali. Anselmi individua nel ritorno del Berlusconi “versione 2001-2006” la “molla scatenante” dell'interruzione del dialogo, anche se, dice, “nell'opposizione c'era già un fuochino che bruciava contro Veltroni. Un po' perché quando uno perde le elezioni non può aspettarsi gratitudine nel suo schieramento, un po' perché l'atteggiamento del leader del Pd appariva troppo compromissorio. In questo contesto, da un lato ha preso piede Antonio Di Pietro. Dall'altro, tra i vecchi Ds, è riemersa l'antica rivalità D'Alema-Veltroni. Tutto è esploso, e il povero Veltroni ha dimostrato che tra lui e Obama c'è parecchia distanza. La vera opposizione, in un clima di tensione sociale che rischia di sfociare nel cosiddetto autunno caldo, oggi è incarnata dalla Cgil, assieme al partito dell'ex pm”. Il Veltroni che “si arrabatta come può”, secondo il direttore della Stampa, “ha trovato sostegno in eventi che con la politica hanno poco a che vedere, ma che sulla politica incidono. La vicenda Telecom non è un fatto in sé politico, ma mette in difficoltà alcune persone che, tra gli ex Ds, sono avversarie o non alleate di Veltroni”. E però la priorità del Pd, ora, dev'essere un'altra: “Dare al suo elettorato la sensazione di avere una ragion d'essere”.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.