Riparliamo di concupiscenza
Ripubblichiamo l'articolo con cui Giuliano Ferrara l'8 luglio 2006 introduceva la serie di saggi brevi sulla concupiscenza. Per tutto il mese di agosto il Foglio.it ne riproporrà uno al giorno.
Leggi l'articolo di Ferrara. Clicca qui per leggere il primo saggio, Parliamo della vecchia, cara concupiscenza carnale di Camillo Langone
Ripubblichiamo l'articolo con cui Giuliano Ferrara l'8 luglio 2006 introduceva la serie di saggi brevi sulla concupiscenza. Per tutto il mese di agosto il Foglio.it ne riproporrà uno al giorno.
Il Foglio intende pubblicare quest'estate un certo numero di saggi brevi sulla concupiscenza, intesa come pena derivante dal peccato originale, come disobbedienza dell'umanità a se stessa nella ricerca disordinata ed eterodiretta del piacere, in conseguenza della disobbedienza a Dio. La capitale del mondo occidentale, New York, ha come logo una Grande Mela. Ogni giorno, basta accendere la televisione o leggere un romanzo moderno o dare una sbirciata alle intercettazioni telefoniche o alla pubblicità o partecipare a un gay pride o a un talk show della domenica, ogni giorno mangiamo tranquilli la nostra razione di mela, perdiamo l'innocenza intesa come stato razionale e perfettamente volontario in cui propagare la specie secondo le regole del paradiso terrestre o Eden, quando la nudità e il sesso non erano sottoposti alla fragile legge della verecondia perché scollegati dalla colpa, dal rapporto con la morte e con la finitezza di un essere che non partecipa alla sua origine trascendente.
La voglia di scopare, insomma, e di sentirsi liberi e sovrani nel farlo senza rimorsi, dannando come retaggio dell'arretratezza la cosiddetta sessuofobia: ecco uno degli approdi più visibili e paradossali del tempo moderno, che nessun ministero per la famiglia, nessun pacs o matrimonio omosessuale, nessun prurito censorio o bigotto può curare. Vediamo di scriverne con alti e bassi, elevando ad altezze teologiche, se possibile e se lo si ritenga giusto, la cronaca sessuomaniacale e sessuofobica che abbiamo sotto gli occhi. Campo libero, come sempre, e un suggerimento disinteressato di tipo editoriale: coniugare, come dicono le persone molto colte, l'ironia con una trasparente e seria adesione al tema trattato, che non è l'ultimo degli argomenti in base ai quali un giornalino può cercare di valutare quel che gli succede intorno.
PROLOGO.
Richler, Flaubert e S. Agostino sapevano tutto degli amorazzi. Tre libri sono indispensabili per capire tra le altre cose il nostro piccolo scandalo Lewinsky, il giochino di sesso e potere, di piacere e di colpa e di sogno televisivo trasferitosi temporaneamente dalla Casa Bianca a Palazzo Chigi, alla Farnesina, al fatale Viale Mazzini 14. Intanto il quattordicesimo libro della Città di Dio di Sant'Agostino, quinto secolo dopo Cristo. Poi Madame Bovary, romanzo di metà Ottocento scritto da Gustave Flaubert. Infine la Versione di Barney di Mordechai Richler, roba di ieri.
Cominciamo con Barney Panofsky. Miriam è più che la madre dei suoi figli, è la sua Beatrice, la sua Eloisa, il suo angelo, il suo oggetto d'amore perduto, la sua divina dannazione, il suo Paracleto e il suo Alzheimer. Ecco una scena del loro amore statu nascenti. «Poi ci fu il pomeriggio, memorabile, in cui lo facemmo sul tappeto del mio ufficio. Miriam era venuta senza preavviso, dritta dallo studio della ginecologa… Dopo aver chiuso la porta a chiave, si era tolta la giacca e sfilata la gonna. “Mi hanno detto che è qui che fai i provini alle attrici”. “Oh, Signore” esclamai fingendomi inorridito. “E se entra mia moglie?”. “Non sono solo tua moglie e la madre dei tuoi figli” fece Miriam slacciandomi la cintura. “Sono anche la tua puttana”». Prodi, che ha detto la cosa più banale che si potesse dire di questi amorazzi e peccatucci in luogo pubblico («strumentalizzazione della donna»), si legga il romanzo, che gliene verrà del bene.
Da ragazzo lessi Madame Bovary e non compresi la bellezza e perfidia del libro (i ragazzi, di regola, non capiscono un cazzo). L'ho riletto da vecchio e ho capito che Emma Bovary è un'adultera, stupida, idealista, sognatrice, una starlet in balia degli eventi che rovina se stessa, la famiglia, un modesto e buon marito, una figlia sventurata. Eccola qui, la versione di Emma. «Ripresero ad amarsi. Spesso, addirittura nel bel mezzo della giornata, Emma all'improvviso gli scriveva… Rodolphe arrivava. Per sentirsi dire che lei non ne poteva più, che il marito era odioso e l'esistenza orrenda… Quel suo attaccamento era rafforzato da una necessità, da una ragione che lo sosteneva. Quella tenerezza, infatti, traeva ogni giorno maggior alimento dalla repulsione per il marito. Più lei si abbandonava a uno, più detestava l'altro. Mai Charles le sembrava tanto sgradevole, con le dita così tozze, la mente così ottusa, i modi così ordinari come quando se lo trovava davanti rientrando da un convegno con Rodolphe. Allora, pur facendo la sposa tutta virtù, prendeva fuoco pensando a quell'altra testa dai capelli neri che si arricciolavano sulla fronte abbronzata, a quella figura così robusta e insieme così elegante, a quell'uomo, insomma, che aveva tanta dirittura nel giudizio e tanto slancio nella passione. Era per lui che si limava le unghie con la perizia di un cesellatore, per lui non aveva mai abbastanza cold-cream sulla pelle o pasciulì nei fazzoletti. Si copriva di bracciali, anelli, collane. Quando lui doveva venire riempiva di rose i due grandi vasi di vetro azzurro e preparava la casa e se stessa come una cortigiana in attesa del principe». Madame Bovary c'est moi, diceva Flaubert, consapevole che certi attaccamenti sono rafforzati da una necessità che Agostino chiamava pena della colpa o del peccato. Vittorio Emanuele IV o Salvatore Sottile sono io, dovremmo aggiungere tutti noi maschi. Ed Elisabetta Gregoraci o Monica Lewinsky sono io, tutte noi femmine dovremmo aggiungere.
Infatti arriviamo al vescovo d'Ippona, che fu uomo d'inaudita e sbrigativa sensualità, poi retore impareggiabile, teologo angelico e soprattutto santo. Dei ventidue libri della Città di Dio, il XIV è dedicato alla teoria dei due amori (amore di Dio, amore di sé) che generano le due città, quella dei giusti e quella degli iniqui, commischiate nell'ordito pazzo della storia e separate con cura escatologica, nella eterna prescienza dei fini ultimi, dalla Provvidenza divina. Ma Sant'Agostino va sullo specifico, e dedica una lunga digressione, di cui confusamente si scusa con il lettore, sfidandolo però a capirne la centralità e il valore per tutto il suo discorso, alla concupiscenza. La cui sostanza è questa: da volontario che era, nel paradiso terrestre, dopo la caduta l'organo riproduttivo maschile diventa un muscolo involontario. Disobbediente a Dio, l'uomo diventa disobbediente a se stesso, incapace di imbrigliare l'eros nell'agape, e questa è parte inquieta, temibile, decisiva della sua condanna. Il santo si fa sessuologo, anatomopatologo, ginecologo ed entra in ogni particolare con naturale verecondia sebbene senza risparmiare nulla del reale “appreso nel pensiero”, come direbbe il filosofo. La sua filosofia della storia e la sua teologia morale sono strettamente intrecciate con la più distinta, sottile, sobria ma avvolgente analisi della vampa d'amore che sostituisce impudicamente il pieno e controllato dominio razionale della differenza sessuale e del suo scopo biblico, la procreazione. L'uomo e la donna che partecipavano della pienezza dell'essere, in obbedienza al comando divino, potevano fecondare nella gioia naturale, quasi in vitro, senza che a questa gioia si mischiassero desiderio e timore.
Una brava teologa femminista, durante una recente trasmissione televisiva, insisteva con me sul fatto che la chiesa cattolica è sessuofobica. L'ho lasciata dire e ridire, poi ho risposto con tono cortese e dubitativo: «Ma non le pare che la sessuofobia possa avere le sue ragioni?». Non sapevo ancora fino a che punto fossi nel giusto. Il corso principale di educazione sessuale, lo sport educativo oggi così in voga in certe scuole americane in cui si insegna alle bambine come mettere un guanto a un cetriolo, dovrebbe avere questo semplice oggetto: come spiegarsi la paura del sesso, e come accettarla.
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