Per Bush è stata una buona estate. E per noi?

Giuliano Ferrara

Arriva la ripresa, dopo una mediocre estate piena di vago scontento. L'economia americana, se non sbaglio, va un po' meglio di quella europea, almeno in termini di crescita e di controllo dell'inflazione.

    Arriva la ripresa, dopo una mediocre estate piena di vago scontento. L'economia americana, se non sbaglio, va un po' meglio di quella europea, almeno in termini di crescita e di controllo dell'inflazione. Hanno tagliato le tasse, e parecchio. Hanno creato squilibri di tipo, come si dice oggi, mercatista. Debiti di ogni genere, consumi a briglia sciolta, una certa vitalità degli investimenti del Pentagono, diciamo così, e molta spensierata allegrezza nella spesa delle famiglie, persino una certa spregiudicatezza nella spesa federale. La finanza scoppiettante dei mutui e dei loro derivati, in un vortice di inaffidabilità, ha fatto tante vittime bancarie, è entrata nella vita americana come calcolo del rischio e rischio incalcolabile.

    Si vive sul crinale di rapporti geoeconomici sempre anomali tra le monete, in evidenza quello oscillante e virtuoso con l'euro e le monete asiatiche. I fronti sono numerosi, molti i doveri politici, la Russia si è messa di nuovo a rompere i coglioni, mentre trionfa a est il dispotismo olimpionico cinese. Intanto si fa mercimonio, senza paura di sfruttare la terra, delle materie prime e dei loro prezzi a spirale, ballonzolanti come per il petrolio, i metalli, il cibo. Terribile, no? Eppur si muove.

    Ecco. Vorrei mi si spiegasse questo mistero. Noi europei, prudenti, risparmiatori, filosofi regolativi, statalisti onnipotenti e fiscali, controllori e arbitri di tutto quel che circola, siamo in recessione trimestrale; gli americani invece se la cavano. Come mai?
    Altro mistero è il saccente giudizio su Bush che circola tra i progressisti, con qualche eccezione di buon senso e buona fede. Anche qui, se non sbaglio, l'amministrazione compie il secondo mandato, economia a parte, con molte realizzazioni di ogni tipo, specie in campo diplomatico, e alla guida di un braccio di ferro prenucleare con l'Iran, idee chiare e sanzioni dure, pare anche abbastanza efficaci. Con il surge di Petraeus, Bush ha vinto anche la guerra in Iraq, particolare o dettaglio non irrilevante.

    D'Alema, per dire tutta la sconsideratezza del presidente americano, disse una volta che andare a Baghdad e abbattere Saddam era come se gli arabi fossero venuti in Europa a occupare Parigi: pazzesco. Pazzesco, forse, ma è andata. Le parti sono rovesciate. Non siamo noi che abbiamo scatenato una guerra di civiltà a sfondo religioso e un'ondata di terrorismo contro gli islamici, non abbiamo abbattuto i loro simboli e minacciato di sterminarli come maiali, portando morte e distruzione nei loro luoghi sacri con un esercito guidato da un nostro profeta pazzo e crociato. E' avvenuto esattamente l'opposto, e la reazione è stata quella doverosa e possibile, prima ancora che giusta. E c'era questo Bush lì a guidarla, la reazione. Fino a Parigi, cioè a Baghdad. Per esportare la Costituzione invece che la sharia.

    Di fronte a questi risultati, impressiona il compiacimento intellettuale europeo. Invece di fornire referti politici obiettivi sul destino di Chirac, di Schroeder, di Zapatero, di Prodi, personaggi giudicabili in modi diversi ma che hanno lasciato macerie e retoriche sulla scena internazionale successiva all'11 settembre, contrapponendosi regolarmente a Bush, va di moda questo esercizio sofistico, eccitato dai sondaggi d'opinione. Se Bush alza la voce con Putin in Georgia, è uno che mette in pericolo la pace. Se si comporta con prudenza, mandando avanti Sarkozy, poi reagendo con il passo temperato di chi è consapevole della propria forza, allora è un debole sopravanzato da noi europei. La stessa vittoria in Iraq è giudicata la vittoria di un Bush ravveduto, che finalmente si è fidato dei consigli del New York Times. Ragionare così non è difficile, ma non è propriamente un ragionare.

    Leggi Anche così l'America ha salvato la sua economia di Stefano Feltri

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.