Brevi saggi più o meno concupiscenti/16
Dio è morto e la concupiscenza pure
Morte di Dio, morte della concupiscenza? Sì, morte di Dio e, in rigorosa conseguenza, morte della concupiscenza. Non è stato detto che con la morte di Dio l'uomo è assoluto padrone di sé e tutto gli è permesso? Ed ecco capitargli l'imprevedibile: nel momento in cui diventa padrone di se stesso, la concupiscenza gli si dissolve tra le mani.
Leggi Riparliamo di concupiscenza di Giuliano Ferrara
Morte di Dio, morte della concupiscenza? Sì, morte di Dio e, in rigorosa conseguenza, morte della concupiscenza. Non è stato detto che con la morte di Dio l'uomo è assoluto padrone di sé e tutto gli è permesso? Ed ecco capitargli l'imprevedibile: nel momento in cui diventa padrone di se stesso, la concupiscenza gli si dissolve tra le mani. L'infelice scopre – ma forse è tardi – che la concupiscenza è legata strettamente al sacro, vive nel sacro e del sacro. Chissà se non rimpiangerà i buoni vecchi tempi quando la concupiscenza lo assediava, lo sconvolgeva, lo trascinava dalla colpa al delitto. Tremava, soffriva, correva pericoli tremendi, ma aveva anche la possibilità di scorgere, proprio nel momento della massima angoscia – il naufragio nella colpa – il volto del divino. Adesso la terra desolata, nichilista e relativista, che altro può offrire a lui – lo “hollow man” – se non la cronaca sessuomaniacale delle veline e di Monica Lewinsky, o la scopata di Barney Panofsky con sua moglie Miriam?: “‘Poi ci fu il pomeriggio, memorabile, in cui lo facemmo sul tappeto del mio ufficio. Miriam era venuta senza preavviso, dritta dallo studio della ginecologa… Dopo aver chiuso la porta a chiave, si era tolta la giacca e sfilata la gonna'. ‘Mi hanno detto che è qui che fai i provini alle attrici'. ‘Oh, Signore' esclamai fingendomi inorridito. ‘E se entra mia moglie?'. ‘Non sono solo tua moglie e la madre dei tuoi figli' fece Miriam slacciandomi la cintura. ‘Sono anche la tua puttana'”. Spiritosa pochade, caro direttore, ma che c'entra con la cupa, misteriosa concupiscenza? Barney è partner succube di un capriccio di Miriam: nemmeno l'ombra di concupiscenza in lui, è Miriam la vogliosa di sesso. Normale, peraltro: è la donna, da Pasifae in poi, ad esser lussuriosa, lei “si concede”, lubrica e sfrenata.
La concupiscenza è passione tutta maschile. Pare sia stato Aristotile a stabilire, tenendosi stretto a Platone, che il piacere umano ha una connotazione spirituale e una materiale, e che la concupiscenza designa il desiderio di questa seconda specie di piacere. La definizione ha prodotto un mucchio di guai, però non subito: mi posso sbagliare ma credo che l'antichità classica non vivesse, non avesse il senso della concupiscenza. Ci volle il cristianesimo di Tertulliano e di sant'Agostino per fissare il paradigma della “concupiscentia carnis”. Si noti: il termine latino “caro/carnis”, il nostro “carne”, è, nel medioevo, termine essenzialmente teologico, di sentore quasi osceno, polemicamente impiegato in contesti violentemente negativi: la “carnis infirmitas” definisce la miseria stessa della condizione umana. Ecco dunque perché, per i due, la concupiscenza della carne va condannata. Spinge l'uomo al peccato essendo essa stessa figlia del peccato: “Tale vergognosa concupiscenza, che dagli spudorati viene spudoratamente lodata, non esisterebbe neppure se l'uomo non avesse peccato”, dice Agostino, e su questa china non ci si è più fermati. Il protestantesimo ci va giù di brutto, la concupiscenza è il peccato originale stesso per cui, alla nascita, l'uomo è già condannato; secondo i giansenisti la concupiscenza costituisce la ragione principale della corruzione umana, attraverso di essa l'individuo ha una naturale inclinazione per il male, e solo Dio può porvi rimedio concedendo ai suoi eletti la grazia di una imperscrutabile salvezza.
La dialettica tra peccato e salvezza si è messa in moto, non si fermerà più. Vi saranno santi divenuti tali solamente per aver lottato contro la concupiscenza così come Giacobbe lottò per una intera notte contro Dio. Anche Lutero conoscerà la tentazione, ma la schiverà sul piano dell'umano, troppo umano. Comunque, non basteranno san Tommaso con il suo realismo, o Luis de Molina con la sua teoria della libertà dell'uomo, a salvare la concupiscenza dal rogo, dalle fiamme eterne. Volete la cultura occidentale con le sue radici cristiane? Allora tenetevela così, la concupiscenza. O così – sublime e terribile – o niente.
Facciamo un po' di ordine, anche se nel regno dei sensi l'ordine non è gradito, anzi è indesiderato. Daccapo, dunque. C'è l'eros, bramoso (un eros senza brama, cos'è?) di carezzare, sfiorare, palpare, succhiare, leccare, titillare. E c'è l'erotismo, che immagina, progetta farnetica in infinite variazioni (e posizioni) i gesti, le gesta dell'eros. Eros ed erotismo si soddisfano nell'appagamento, l'appagamento è connaturato all'eros e all'erotismo. Non, invece, alla concupiscenza. La concupiscenza non comprende, non possiede l'atto in cui essa si compia e si dissolva, si plachi soddisfatta. Quando l'atto arriva, la concupiscenza si è dileguata. Resta, semmai, l'atto di una violenza che è altro dalla concupiscenza, forse è la libidine. La concupiscenza è, in certo modo, indifferente alla realizzazione di sé, è chiusa in se stessa, nel suo immaginario. Cresce con l'attesa, si inebria della lontananza che sfigura l'immagine e la rende più lontana, irraggiungibile. E' infatti legata alla vista, alla sola vista, al desiderio della vista. I vecchioni vedono Susanna nuda e la concupiscono.
Anche nei vecchioni, la vista misura una distanza che rimane incolmabile. Se fosse possibile colmarla, la concupiscenza si smorzerebbe, si vuoterebbe. La concupiscenza è, nei vecchioni, macerazione non condivisibile, ombra, torbido silenzio, lubrica complicità. Poi, la concupiscenza è elettiva, c'è in essa un elemento mentale. E' “cultura” insomma, e non condivido quel che ne scrive Giuliano Zincone. No, la concupiscenza non è l'astuzia della natura, non ha a che fare con la natura. Naturale è la lussuria, trascinamento inconsapevole dell'istinto sessuale così come la illustrò William Blake sulle orme di Dante, una bufera che trascina in tondo, irresistibilmente, eternamente, le anime. E ancora: l'erotismo è plurimo, la concupiscenza è paradossalmente fedele, anzi monotematica, ossessiva. È solitaria, muta vaneggiatrice. Quanto l'erotismo è solare, diurno, intercambiabile, infedele, volatile, giocoso, tanto la concupiscenza è notturna, temporalesca, lunare.
Nel suo nucleo centrale, è macerazione febbrile, fissa sul suo irraggiungibile obiettivo. E' immedicabile spina nella carne. Non tollera scambi nell'oggetto del suo concupire, che è unico e ossessivo. Chi ne è vittima (vittima!) è perfino un assassino in potenza. È pronta ad uccidere. Ha in mano, brandisce il coltello o il pugnale, potremmo dirla carattere eminentemente scespiriano. Ha poco a che fare anche con il libertinaggio. Don Giovanni, il grande libertino, sprofonda nell'inferno perché dissoluto trasgressore, per il quale il vedere, il desiderare e l'amare sono – dice Kierkegaard – tre momenti d'uno stesso gesto estetico: l'opposto della concupiscenza. Che, infine, non è neppure la brama, spacciata per suo sinonimo. Chi brama, è proteso verso la conquista dell'oggetto, dell'essere bramato, mentre la concupiscenza è immobile, torvamente chiusa su se stessa. Senza speranza. Invece del Dizionario dei sinonimi, a volte è più utile quello etimologico, spia maligna dei significati lessicali e delle loro sfumature.
L'erotismo, lo sappiamo tutti senza scomodare Freud o Marcuse, devia o è fatto deviare, con il trasferimento della libido e dei suoi meccanismi sull'automobile, il frigorifero o la velina, tutto il mercificabile a destinazione subliminale che l'ingegnosa società moderna si inventa allo scopo di aumentare il profitto (che ormai, proprio grazie a questi automatismi, si è trasformato in rendita). Ma che ha a che fare, tutto ciò, con la concupiscenza? Gli amorazzi tv possono essere tutt'al più figli della lussuria, che rientra nella categoria della generica cupidigia, fame istintuale di cibo o di cianfrusaglie di consumo, roba che ci apparenta alle gazze, ladre di qualsiasi cosa sbrilluccichi nel bosco. Sant'Agostino temeva forse questo degradato erotismo? E' di questo che parlava, quando parlava di concupiscenza? Poteva questo interessarlo, lui così preso dal suo altissimo rapporto con Dio? E' sulla sua scia, dietro al suo tormento, che i santi avranno a che fare con la concupiscenza; non certo Barney goffamente sbottonato dalla moglie sul tappetino dell'ufficio, roba che sta nella pratica, più o meno, di noi tutti che non abbiamo rapporto con Dio (o almeno così temiamo).
E me lo consenta, caro direttore, neanche Madame Bovary ha a che fare con la concupiscenza. Quella là è una borghesuccia, come la Kitty del “Velo dipinto” di Somerset Maugham per la quale una scopata in un retrobottega cinese sporco e puzzolente basta per dare sostanza ai sogni erotici frustrati dalla madre esosa. Semmai hanno a che fare con santa Teresa, con la sublime Salomè, con la manzoniana monaca di Monza, non a caso punita con una condanna crudele ma di adeguato contrappasso a quel peccato tremendo che è la concupiscenza, pozzo di ogni nequizie e di ogni pensiero d'abisso e d'inferno. La concupiscenza può, ahimè, esplodere nel ragazzo, che la patisce e non sa cosa sia. Il ragazzo concupisce naturalmente. E' tentato dalla pienezza dell'essere cui tende, vorrebbe toccarlo, goderne, insaziabilmente. Infelice, non conosce nemmeno il nome di questo suo desiderare.
Un giorno lo apprenderà, conoscerà quel nome, ma vedrà svanire il suo mistero, la sua ineguagliabile grandezza. Possiederà, finalmente; ma anche lui, “post coitum”, sarà triste: è una illusione, pensare di possedere e godere l'ineffabile. Forse, però, la concupiscenza non esiste. Se ne parla, e tutta la sua realtà e verità è in questo parlarne. Il parlarne che ne può fare il Torquemada di turno, uno di quelli che hanno bisogno, per sentirsi esistere, di frugare nella coscienza del primo malcapitato gli arrivi a tiro, per denunciarlo e vederlo torturare: come dire che la concupiscenza vive solo nella punizione che la colpisce, punizione di un crimine mai commesso perché impossibile. Ma perché lambiccarcisi sopra? Oggi come oggi la concupiscenza è morta. Morta dal momento in cui la teologia non è più la scienza del rapporto, mistico o razionale, tra l'inferno e il Dio dei sopramondi. Nessuno di noi, poveri uomini trafelati dietro la TV, può aver provato la concupiscenza, non credete a chi se ne vanta (colui che davvero concupisce non si vanta mai, la concupiscenza è torbida).
Comunque sia, degli altri non saprei dire ma io non ne posso parlare, non l'ho mai incontrata; forse perché non me la sono meritata, come non mi sono meritato di assaggiare altri frutti proibiti, rari e prelibati. Malinconicamente, mi ripeto anch'io, dietro a Eugenio Montale: “Ho vissuto solo al cinque per cento”.
Leggi Riparliamo di concupiscenza di Giuliano Ferrara
Leggi gli articoli di don Gianni Baget Bozzo, Oddone Camerana, Andrea Affaticati, Umberto Silva, Luigi Amicone, Sandro Fusina, Saverio Vertone, Giuseppe Sermonti, Edoardo Camurri, Francesco Agnoli, Ottavio Cappellani, Giuliano Zincone, Paola Mastrocola, don Francesco Ventorino, Mariarosa Mancuso e Camillo Langone
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