Un soldo per il tuo sorriso - 2

Obama rinuncia ai soldi pubblici e scandalizza i liberal

Christian Rocca

New York. La decisione di Barack Obama di rinunciare al finanziamento pubblico, cioè ai limiti di spesa nella campagna elettorale non è piaciuta ai grandi giornali liberal e gli ha provocato, per la prima volta, una quasi unanime bocciatura.

    Dal Foglio del 21 giugno 2008

    New York. La decisione di Barack Obama di rinunciare al finanziamento pubblico, cioè ai limiti di spesa nella campagna elettorale, e di continuare a raccogliere fondi privati da qui al voto presidenziale del quattro novembre non è piaciuta ai grandi giornali liberal e gli ha provocato, per la prima volta, una quasi unanime bocciatura per la decisione in sé, per non aver rispettato una promessa solenne e per la futilità delle giustificazioni adottate, anche perché tutti sanno che l'unico motivo per cui ha detto di no ai contributi federali è che si è accorto di poter raccogliere privatamente molti più soldi per la sua corsa alla Casa Bianca.

    Obama è il candidato del cambiamento, della riforma, della politica nuova che tradizionalmente in America sono elementi che si declinano con la battaglia per tenere lontani i soldi dalla politica e dal processo democratico. Il finanziamento pubblico è stato istituito nel 1974 esattamente per questo, per morigerare i costi delle campagne elettorali, e da allora è un pilastro della politica americana. Nessuno, nemmeno il liquidissimo George W. Bush del 2004, ha mai avuto il coraggio di rinunciarci.
    Obama è sempre stato a favore dei contributi pubblici – quest'anno 84 milioni di dollari per ciascuno dei due contendenti alla Casa Bianca, versati dai contribuenti che hanno devoluto al sistema tre dollari dalle loro dichiarazioni dei redditi – ma la sua straordinaria campagna di autofinanziamento e la certezza che grazie alla sua organizzazione potrà raccogliere, e quindi spendere, molto più denaro l'ha convinto a rinunciare ai soldi pubblici. Secondo David Brooks, del New York Times, “Obama è il politico con la personalità più sdoppiata che ci sia”, non solo l'uomo della speranza e del cambiamento, ma anche uno capace di assestare gomitate, altro che ingenuo e idealista. “Obama – ha scritto Brooks – è la creatura politica più efficace che si sia vista in decenni”, come dimostra tutta la vicenda dei soldi.
    Le associazioni che da anni si battono contro le lobby e che vedevano in Obama un campione della riforma della politica hanno dettato dichiarazioni imbarazzate e dispiaciute. “Sono molto deluso”, ha detto il presidente di Democracy 21, Fred Wertheimer, il più noto tra i sostenitori del finanziamento pubblico. “Il sistema è datato, ma il senatore Obama aveva detto che l'avrebbe accettato se il suo oppositore avesse fatto lo stesso, quindi per questo merita di essere bocciato”, ha detto Bob Edgar, presidente di Common Cause. “Questa non è una buona decisione”, ha detto il senatore democratico Russ Feingold che con John McCain nel 2000 ha scritto una delle leggi che limitano i finanziamenti privati alle campagne elettorali. Feingold, inoltre, ha ricordato che il sistema funziona male soltanto riguardo alle primarie, “non per le elezioni generali”, smontando una delle giustificazioni di Obama.
    Anche l'altra motivazione non ha avuto grandi successi di critica: Obama, infatti, ha spiegato che è stato costretto a rinunciare al finanziamento pubblico anche perché McCain non ha preso le distanze da quei comitati di azione politica indipendenti, non soggetti a limiti di spesa, che nei prossimi mesi si impegneranno in una campagna negativa nei suoi confronti. Ma il Wall Street Journal, quotidiano peraltro contrario ai limiti di spesa collegati al finanziamento pubblico (“un monumento di ipocrisia”), ha ricordato che proprio ieri è cominciata un'ampia campagna di spot televisivi di MoveOn.org con una giovane mamma che accusa McCain di volergli prendere il suo neonato per combattere la guerra in Iraq.
    Un editoriale molto duro del New York Times sostiene che “queste elezioni saranno ricordate per la prima donna che ha conteso la candidatura fino all'ultimo e per il primo afroamericano nominato alla presidenza”, ma “sarebbe una vergogna se passasse alla storia anche per essere l'anno in cui il finanziamento pubblico è morto”.

    Il Washington Post è stato ancora più diretto: “Nemmeno 85 milioni di dollari sono stati sufficienti a Barack Obama per mantenere la sua promessa”. Il tono dell'editoriale è insolitamente sarcastico con il tentativo obamiano di giustificare la rinuncia ai limiti di spesa in nome della difesa del finanziamento pubblico: “Obama non ha abbandonato la sua promessa di accettare i soldi pubblici per le elezioni generali perché è nel suo interesse. Certo che no. Non è il primo candidato che dai tempi del Watergate guiderà una campagna interamente alimentata dai soldi privati perché sarà in grado di raccogliere molto più degli 85 milioni che avrebbe preso se fosse rimasto fedele alla sua promessa – cosa che ora anche il suo avversario John McCain dovrà fare. No, il signor Obama, almeno così vuol farci credere, ha rinunciato ai soldi perché è davvero impegnato a favore del finanziamento pubblico”. Il giornale della capitale ha scritto che, in questa occasione, “Obama aveva l'opportunità di dimostrare di essere davvero un politico diverso, capace di mettere i principi e le promesse davanti ai calcoli politici”. Il Post riconosce che “i politici fanno ciò che i politici hanno bisogno di fare, ma quando lo fanno dovrebbero però risparmiarci le auto-congratulatorie pacche sulle spalle”.

    Il paradosso, per Obama, è quello di aver ricevuto gli elogi soltanto dalla pagina degli editoriali del New York Sun, tra le più conservatrici del paese. Il Sun è un giornale liberista, convinto sostenitore che le campagne elettorali, così come il sistema sanitario e previdenziale, abbiano bisogno di maggiore libertà, non di regolamentazioni pubbliche. Le critiche, piuttosto, sono per McCain e per la sua lunga storia di moralizzatore della politica che, secondo il New York Sun, confina con la violazione del primo emendamento della Costituzione americana sulla libertà di espressione, perché se si limitano i finanziamenti privati alle campagne politiche si limita anche il diritto al free speech: “Non ci spingiamo fino a dire che McCain merita di perdere le elezioni, ma se perde perché resta fedele alle restrizioni di una campagna finanziata dai contribuenti, il suo dessert conterrà un elemento di giustizia”.