Gli eroi dell'eroe, antologia dell'happy warrior John McCain
“Why Churchill is a hero”. Il Daily Telegraph accoglie in Inghilterra l'“happy warrior” John McCain pubblicando un estratto del suo ultimo libro, “Hard Call”. L'eroe del Vietnam ha citato Winston Churchill per spiegare l'impegno americano contro il terrorismo.
Dal Foglio del 21 marzo 2008
“Why Churchill is a hero”. Il Daily Telegraph accoglie in Inghilterra l'“happy warrior” John McCain pubblicando un estratto del suo ultimo libro, “Hard Call”. L'eroe del Vietnam ha citato Winston Churchill per spiegare l'impegno americano contro il terrorismo di al Qaida: “Dovremo combattere nelle spiagge, dovremo combattere sulle piste d'atterraggio, dovremo combattere nei campi e nelle strade, dovremo combattere sulle colline; non dovremo mai arrenderci”. Leggere “Hard Call” è un po' come introdursi nel mondo di McCain, scoprire gli eroi dell'eroe. Troviamo il teologo protestante Reinhold Niebuhr, affascinante patrocinatore dell'interventismo nella Seconda guerra mondiale, l'ex presidente Gerald Ford come esempio di umiltà verso il distrutto Richard Nixon e il capitano Robert Gould Shaw. Figlio di abolizionisti di Boston, Shaw durante la Guerra civile addestrò e comandò il 54° reggimento volontari di fanteria del Massachusetts, la prima unità combattente formata soltanto da uomini di colore un tempo schiavi. Secondo McCain, Shaw è “colui che ha reso realtà la Proclamazione dell'Emancipazione”. Non poteva mancare Reagan contro l'Unione sovietica, gli astronauti dell'Apollo 11 e Harry Truman (“non era il più grande intelletto per occupare la Casa Bianca, ma aveva istinti giusti e umiltà per riconoscere che devi subordinare le ambizioni personali a un bene più grande”).
Spiccano i nomi del grande scrittore e dissidente russo Alexander Solzhenitsyn e del primo ministro d'Israele Menachem Begin e del presidente egiziano Anwar Sadat. “Entrambi erano guerrieri che usarono la violenza per le rispettive cause, entrambi si sono battuti per i propri paesi, entrambi hanno capito quando era il tempo della pace”. Nell'antologia di McCain spicca anche Bernard Fall, “the unquieth frenchman”. E' lo studioso con l'elmetto che morì saltando su una mina vietcong mentre andava a verificare le sue tesi sul campo, insieme agli americani. Nato nel 1926 a Vienna da genitori ebrei di origini polacche che si rifugiarono in Francia all'avvento del nazismo, Bernard perse la madre Anna ad Auschwitz, mentre il padre Leo fu torturato a morte dalla Gestapo. Bernard prese il suo posto nella Resistenza, affiancato da un gruppo di sionisti uccideva uomini delle SS e collaborazionisti. Decorato con la Ordre de la Libèration, Fall ha lavorato per il tribunale di Norimberga. Poi in Indocina, lì apprese le tecniche di controguerriglia che avrebbe messo al servizio degli americani in Vietnam.
“Per chi suona la campana” di Ernest Hemingway è il libro di guerra preferito da McCain. “Lo scontro di ideologie può essere la genesi della guerra, ma per qualunque soldato ogni conflitto si riduce a combattere per i propri compagni” scrive il candidato repubblicano. Si passa a “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque, dove “tutta la vanità se ne va via quando il protagonista impara a odiare la cosa che pensava sarebbe stata un'avventura”. La guerra. “Il romanzo di Remarque ci ricorda che al di là del fatto che un conflitto sia necessario o meno, giusto o ingiusto, la guerra è un affare mortale”. E' lo stesso Wall Street Journal, contro chi accusa McCain di essere “un vecchio”, a ricordare che proprio Churchill aveva 65 anni quando entrò in carica come primo ministro. “Quando nel 1945 calò il sipario sul fronte europeo della Seconda guerra mondiale, ne aveva 70; divenne primo ministro un'altra volta nel 1951, all'età di 76 anni, e rimase in carica sino al 1955 quando ne aveva ben 80. E in quella fase, portò il paese alla vittoria nella Seconda guerra mondiale e influenzò il corso della storia dell'occidente in un'altra battaglia contro il totalitarismo all'alba della Guerra fredda”. Grande John McCain lo è perché gli eroi e la guerra li sottrae alla dimensione retorica: “Vorrei poter dire che tornai come un perfetto individuo motivato solo dai più nobili principi, ma non è vero. Ho avuto il privilegio di servire in compagnia di eroi, ho fallito anche in prigione”. Non si è mai perdonato la “confessione” a cui lo costrinsero i vietcong. Aveva rifiutato per cinque anni di firmare, finché, con mano tremante, fu costretto a cedere. “Ho fallito, non sono stato abbastanza forte, dovevo resistere più a lungo”.
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