Facce da Partito democratico - Hai presente Calearo?

Prodi vuole “volti nuovi” nel Pd perché non conosce la fisiognomica

Marianna Rizzini

Chissà a chi pensava, Romano Prodi, quando ha motivato il suo “no, grazie, non ci sarò” alla Festa del Pd a Firenze con la frase: “Servono facce nuove”, considerandosi, ovviamente, faccia non nuova e anche un po' impermalosita, nonostante il sorriso-ghigno pacioso.

    Roma. Chissà a chi pensava, Romano Prodi, quando ha motivato il suo “no, grazie, non ci sarò” alla Festa del Pd a Firenze con la frase: “Servono facce nuove”, considerandosi, ovviamente, faccia non nuova e anche un po' impermalosita, nonostante il sorriso-ghigno pacioso (ma incapace di celare l'amarezza per il trattamento riservatogli in fase preelettorale, quando la consegna nel partito era: “Meglio tacere sul governo Prodi”). Chissà chi aveva in mente, l'ex premier. Perché, a scorrere l'elenco-partecipanti dell'appuntamento fiorentino, le facce appaiono piuttosto collaudate, se non addirittura usurate dallo scorrere del tempo politico – e però vien da dire “meglio così”, se i nuovi volti del partito sono quelli, originali finché vuoi ma non esattamente accoglienti, dell'ultima infornata elettorale. Ogni partito ha le facce che si merita, ma non tutte le facce sortiscono lo stesso effetto sull'elettore (specie se demotivato).

    Prendi un Matteo Colaninno, metà Giovanni Floris metà Enrico Letta, un po' meno arcigno di Floris, un po' meno professorale di Letta, un po' più allegro di Floris un po' più accessibile di Letta, eppure infinitamente meno paziente, nello sguardo, di Floris e Letta messi insieme (due che oltretutto, di per sé, non appaiono molto pazienti). Prendi l'inconsapevolmente neopalladiano Massimo Calearo, boccoli corti oleosi e risata pingue, a suo modo irresistible per la terrificante simpatia ma poco rassicurante nella sua quadratura da uomo del nord-est che sta a sinistra ma poteva stare a destra e ha entusiasmi genuini e uscite altrettanto genuine (e fuori linea), e ancora conserva la naïveté che gli permette di non accorgersi del sarcasmo profuso da Massimo D'Alema nell'augurargli buone vacanze con un: “A Cuba sì che troverai il comunismo vero”.

    Prendi, poi, la consapevolmente postraffaellita Marianna Madia – ricci lunghi domati dal pettine e occhiata obliqua che mai si apre al sorriso. Hai voglia a presentarla come l'inesperta che si fa forza della propria inesperienza: sempre distante all'elettore appare. E certo non aiuta la comunicazione con la base il fatto che Madia stia spesso con le braccia conserte, giacché tutti gli psicologi lo dicono: braccia conserte uguale chiusura verso l'interlocutore. Prendi, infine, l'involontariamente ostico generale Mauro Del Vecchio, uno che nelle interviste risulta puntuale, preciso e conciso, e però il suo aspetto non è ancora quello di un compassato parlamentare, ma, ohimé, quello di un Massimo Boldi (in magro) pronto a partire per il fronte nel cinepanettone.

    E non è certo colpa di Del Vecchio, disponibilissimo con l'elettore, ma l'aria vanziniana, unita al titolo militare, non aiutano lo scioglimento del ghiaccio con gli elettori, specie se ex diessini. Poco male, perché Del Vecchio, Madia, Calearo e Colaninno a Firenze, al massimo, faranno una puntata. Onnipresente, invece, alla Festa, è Pina Picierno, ministro ombra dei Giovani nota anche per aver investito in tivù, con voce oltremodo indignata, un sornione Luca Barbareschi. Non è certo per responsabilità dell'energica Pina, epperò i muscoli sempre tesi sul viso minuto, il sorriso che sembra sempre sul punto di farsi rimbrotto – e il trucco curato come neppure al centro benessere – non facilitano a Picierno il compito di fare del Pd il partito sereno dei giovani per i giovani.

    E allora perché sputare sul vecchio, se il vecchio ha il volto solido di Massimo D'Alema, sardonico e aguzzo quanto si vuole ma tutto sommato umano nella sua impostata rigidità? Nessuna nuova faccia, finora, ha eguagliato il solenne sembiante di Anna Finocchiaro, con quell'espressione severa e affettuosa da mamma che sa educare. Nessun Colaninno ha suscitato l'empatia di un Piero Fassino in mezzo alla tempesta, con la piega lignea che gli solca le guance e le spalle chiuse come a volersi proteggere. Nessuna Madia ha smussato antipatie quanto il volto scuro di Rosy Bindi che si fa accessibile per un'esitazione, fino a prendere le sembianze della fata bonaria, quella che saltella con la bacchetta magica in mano.

    Né il giovane Colaninno ha mostrato, finora, la presenza scenica di Goffredo Bettini, maschera maestosa addolcita dall'incancellabile romanità. Dove trovare, poi, qualche ruga di affidabile preoccupazione se non sul volto di Sergio Chiamparino? Chi, se non Paolo Gentiloni, può intenerire con quell'aria da fidanzato del liceo? Chi, se non Pierluigi Bersani, può ancora permettersi di portare le dita alla fronte e non sembrare disperato, bensì profondamente e proficuamente pensoso?

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.