L'analisi di Lodovico Festa
L'ira del fondatore
Forse il clima nazionale sta cambiando davvero. Certo, in una situazione economica e internazionale così difficile, tutto può andare bruscamente per aria. Ma alcune cose stanno cominciando a muoversi.
Forse il clima nazionale sta cambiando davvero. Certo, in una situazione economica e internazionale così difficile, tutto può andare bruscamente per aria. Ma alcune cose stanno cominciando a muoversi. Quattordici anni dopo il debutto politico, due anni dopo il governo 2001-2006, Silvio Berlusconi sembra avere inteso bene la necessità di una politica “aperta”. Ogni tanto gli slitta la frizione, s'irrigidisce e insulta gli avversari. Ma tutto sommato sta operando con intelligenza. Questo comportamento, pur indispensabile, da solo, però, non basterebbe a cambiare il clima.
Una mano viene da avversari come Romano Prodi. Si consideri il caso delle intercettazioni. Nella solidarietà berlusconiana c'era anche una dose di paraculaggine perché le conversazioni prodiane malandrine – pur messe a disposizione sciaguratamente dai soliti magistrati – erano state pubblicate da stampa di proprietà di famiglia. Anche se sostenere che Maurizio Belpietro sia un velinaro di Palazzo Chigi è da mentecatti. Ma la risposta del professore bolognese (malamente coperta dal vigliacchetto abituale Walter Veltroni) è stata così meschina e rancorosa, la sua idea di farsi passare – lui uomo dai mille intrighi di potere – da terziario francescano così ridicola, da far fare a Berlusconi la figura del gigante e metterlo dalla parte della ragione.
Già a Napoli il premier si era mosso con intelligenza non cercando vendetta verso gli amministratori di parte avversa pur tanto compromessi. Ma il vero segnale del sorgere di un nuovo clima viene dalla vicenda dell'Alitalia. Anche dando per scontati mille errori, numerose forzature. Pur disponibili a considerare che forse era meglio vendere ad Air France-Klm (cosa di cui non sono affatto convinto anche solo per la condanna a morte di Malpensa che così si realizzava). Senza entrare troppo nel merito. Resta il senso politico dell'operazione. Il governo del centrodestra si lancia in un'operazione di grande valore economico, e di consistente peso mediatico e dunque politico, e l'affida a due uomini, Corrado Passera e Roberto Colaninno, che non solo sono del tutto indipendenti dall'esecutivo ma sono politicamente distanti dal centrodestra.
Basta considerare quanto questa vicenda faccia impazzire Eugenio Scalfari e Alberto Statera, per comprenderne la sua rilevanza.
Il fondatore della Repubblica cerca di inchiodare Colaninno sr. alle sue responsabilità perché non solo vorrebbe fare profitti ma anche collegare questo obiettivo all'assunzione di rischi per il bene del paese. La volontà di collegare la normale ricerca di profitti di un imprenditore agli interessi nazionali non è così difficile da comprendere ma sconvolge Scalfari. Mentre Statera si concentra sul fatto che tanti investitori nella nuova Alitalia sarebbero anche interessati all'Expo di Milano. Mentre nel mondo si elogiano gli industriali finlandesi che hanno costituito un consorzio per fare centrali nucleari e contare nel futuro su energia a buon prezzo, i colleghi italiani che investono per dotare uno dei prossimi più importanti eventi internazionali (e su cui pure contano di fare del business) di aerei e aeroporti adeguati, sarebbero dei malfattori.
Per non parlare di Romano Prodi. Non è passato molto tempo da quando il già traballante governo Prodi ebbe un'occasione analoga a quella berlusconiana. Telecom Italia si avvitava. Corrado Passera e Mediobanca si misero a studiare una compagine societaria che potesse comprendere Roberto Colaninno, Mediaset e qualche altro soggetto italiano, magari lo stesso Carlo De Benedetti. Era una mossa dal respiro industriale, perché nel medio periodo tv e telecomunicazioni si debbono incontrare. Esponeva Mediaset a qualche rischio perché Telecom Italia ha aspetti gestionali complessi. Ma definiva una prospettiva per il paese. Con la possibilità anche di superare elementi del conflitto d'interesse ora in atto, di liberalizzare il sistema televisivo, di pesare di più in Europa. Prodi bloccò l'operazione. Decisero i tratti distintivi del suo modo di operare: l'ansia di privilegiare gli amichetti, di infilarsi e condizionare le cordate, di trarre vantaggi nei rapporti con gli spagnoli, l'odio politico. Ma anche la convinzione che tutto sommato la parte fondamentale delle élite (al di là delle vicende elettorali che avrebbero potuto rimettere in gioco il populista Berlusconi lasciando però a Prodi il rapporto con quelli che contano) sarebbe stata dalla sua parte perché comunque escludeva dal cerchio magico del potere un outisder alla fine fastidioso. Nei fatti sanzionò invece il suicidio del governo. Dalla Fiat, pure a lungo sponda dell'antiberlusconismo, fino alla “sua” Goldman Sachs, tutti si resero conto che una gestione da affaristi della parrocchietta non era più possibile. E così la pensarono forze come la Cisl e persino banchieri “prodiani” come Passera.
Così è iniziata la caduta del nostro muro di Berlino, quello della logica di un establishment che ha a lungo preferito rinsecchirsi piuttosto che dare spazio ai “nuovi”. E' un processo di grandissima portata, dagli esiti non scontati, che, però, può condurci finalmente a un'Italia in cui esisterà una destra e una sinistra ma non ci saranno più appestati. E' comprensibile l'ira di Scalfari che riteneva di avere acquisito per sempre un potere di scomunica. Però dovrebbe tenere un certo stile (si consulti con De Benedetti) nella sconfitta. Non si può per esempio dire che non c'è più un'opinione pubblica nazionale solo perché questa non si allinea automaticamente alla propria. Si rischia di finire soli in piazza Navona con quattro forcaioli furiosi e qualche sgallettata fuori di testa.
Il Foglio sportivo - in corpore sano