L'analisi di Lodovico Festa
Il Cav. e lo Zar
Alcune prese di posizione “internazionali” di Silvio Berlusconi mi hanno dato un brivido lungo la schiena. Quando dice che non capisce l'improvviso innamoramento degli americani per la Georgia, trascurando come siano quindici anni che Washington cerca di costruire sistemi liberaldemocratici nell'est europeo e in centro Asia.
Alcune prese di posizione “internazionali” di Silvio Berlusconi mi hanno dato un brivido lungo la schiena. Quando dice che non capisce l'improvviso innamoramento degli americani per la Georgia, trascurando come siano quindici anni che Washington cerca di costruire sistemi liberaldemocratici nell'est europeo e in centro Asia. Quando compara le vicende dell'Abkhazia (regione in cui si sono scambiate limitate prepotenze tra etnie diverse) a quelle del Kosovo (con i suoi inumani episodi di pulizia etnica, in uno scenario di feroce guerra civile, per alcuni drammatici anni). Oppure quando dice che in fin dei conti gli abkhazi sono loro che hanno scelto l'indipendenza. Sì, dopo espulsioni di georgiani durate mesi. Il brivido scorre forte. D'altra parte soltanto pochi anni fa aveva paragonato la vicenda cecena, con tanto di terribili stragi a Grozny, a una sorta di battuta di carabinieri a Orgosolo. Non mi sfugge il metodo della gaffe provvidenziale che Berlusconi usa in Italia per spiazzare una discussione pubblica spesso mummificata. Nella diplomazia internazionale, però, le parole hanno un effetto ben più dirompente. Sono come gli armamenti: vanno rigidamente controllate.
D'altra parte, però, se invece che sulle parole ci si concentra sull'iniziativa internazionale di Palazzo Chigi, si deve considerare come questa abbia una certa efficacia. In coppia con Nicolas Sarkozy, è riuscita in qualche modo a bloccare i russi e ad aprire un defatigante ma utile negoziato. Al di là delle “parole”, sui fronti che scottano (missili antimissili in Polonia, possibile allargamento all'Unione e alla Nato di Georgia e Ucraina) non si è ceduto alla prepotenza russa. Anche Franco Frattini ha discusso a Tbilisi di Nato. Persino su oleodotti e gasdotti che dal centro dell'Asia dovrebbero arrivare in Europa, escludendo la Russia, Roma mantiene l'iniziativa. E la visita del presidente della Repubblica turco in Armenia rafforza questa prospettiva. Insomma certe “parole” – che continuano ad apparirmi avventate – non hanno impedito di sviluppare atti politici dotati di senso. Senza abbandonare le riserve sulla tattica da gaffeur all'estero di Berlusconi, si deve riconoscere che in qualche misura alcuni elementi del suo comportamento (la personalizzazione dei rapporti, l'estremo pragmatismo, la volontà di confrontarsi senza pugnalarsi alle spalle) hanno dato una mano all'Europa per giocare un proprio ruolo.
In realtà l'Unione ha potuto fare la sua parte anche perché ha scelto una via realistica nell'approccio, evitando di puntare a essere “un polo” come cercarono di fare nel 2002 sulla vicenda Iraq quei due immensi pasticcioni di Gerhard Schröder e Jacques Chirac, rinunciando persino a essere un “lato”. L'Europa dei saggi Angela Merkel, Sarkozy e Berlusconi si è presentata con evidenza come parte di una leadership occidentale attenta a non creare incidenti, ma non disposta a rinunciare a obbiettivi di fondo come l'espansione della democrazia.
La politica delle gaffe, in questo senso, è paradossalmente servita a depotenziare quel pensiero retorico che nel recente passato aveva spinto leader europei a inseguire sogni multipolaristici o a considerarsi in un assetto multilaterale separati dagli Stati Uniti. Un certo declassamento delle prese di posizioni ufficiali è stato utile per tenere alta l'efficienza delle prestazioni concrete. D'altra parte una qualche prudenza, a due mesi da elezioni americane che indicheranno le nuove linee della politica estera di Washington, era inevitabile. Forse il nostro grande chiacchierone, alla fin fine, non ha commesso errori gravi. Anche se Frattini, perfetto conoscitore del linguaggio di stato, conquistandosi un po' di spazio dalla naturalmente esigente nuova fidanzata, non farebbe male a dare un'occhiata alle prossime dichiarazioni del suo premier.
Comunque si è visto come anche la gaffe libica (le basi in Italia da cui attaccare o non attaccare Tripoli) non è stata così drammatica: tanto è vero che ha persino aiutato a preparare il viaggio di Condoleeza Rice. Di quel viaggio, tra l'altro, va notato come la frase della Rice (“gli Stati Uniti non hanno nemici ‘permanenti'”) sia un evidente messaggio pure verso i russi di cui tenere conto per lo sviluppo dell'iniziativa politica europea e italiana.
Il mondo multilaterale che abbiamo di fronte non è una realtà “rose e fiori”. Non solo c'è l'incubo dell'atomica iraniana, non solo c'è un Pakistan (così decisivo per il vicino Afghanistan) già nuclearizzato e dagli equilibri incerti. C'è anche la Cina, dalle mille meraviglie ma dalla natura autoritaria che non aiuta previsioni sicure sui suoi comportamenti. In questo multilateralismo multispinoso non si procede senza una leadership occidentale omogenea. Anzi ci sarebbe bisogno di una Mosca che condividesse il fardello di una nuova stabilizzazione. Ma prima la Russia deve convincersi di vivere nel XXI secolo, non nel XIX.
Un conforto viene da una politica italiana che ha affrontato la recente crisi russo-georgiana con sostanziale spirito bipartisan, come ha notato Giorgio Napolitano. Clima non rovinato neanche da qualche alzatore di ditino, e neanche da coppie di ditini alzati come nel caso di Pier Ferdinando Casini e Filippo Andreatta. Andreattino, poi, almeno esibisce una coerenza di visione che gli viene dal grande genitore. Casini, invece, continua ad apparire, come quando contava nella politica italiana e faceva una volta lo “spagnolo” filo Usa e un'altra il “tedesco” europeista, uno che si occupa di questi argomenti per assicurarsi un posto nel cda Rai o la presidenza di una Asl o un assessorato qui o lì.
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