Parla Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa Rebus

Il lavoro come mezzo (di recupero) per decongestionare le carceri

Piero Vietti

Il dibattito su come rendere le carceri italiane meno affollate sembra arenarsi su opinioni personali pro o contro l'uso del braccialetto elettronico e le espulsioni per gli extracomunitari colpevoli di reati: il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, è deciso ad andare avanti con la sua idea, forte del fatto che dopo il superamento degli effetti dell'indulto, la necessità di fare qualcosa di più di una semplice decongestione temporanea delle prigioni italiane è sempre più urgente.

    Il dibattito su come rendere le carceri italiane meno affollate sembra arenarsi su opinioni personali pro o contro l'uso del braccialetto elettronico e le espulsioni per gli extracomunitari colpevoli di reati: il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, è deciso ad andare avanti con la sua idea, forte del fatto che dopo il superamento degli effetti dell'indulto, la necessità di fare qualcosa di più di una semplice decongestione temporanea delle prigioni italiane è sempre più urgente. Nicola Boscoletto è il presidente del consorzio di cooperative Rebus, che a Padova fa da ponte tra il carcere e le realtà, profit e no profit, che organizzano attività lavorative per i detenuti. “Per uscire dalla situazione di sovraffollamento – dice al Foglio – la strada è quella segnata dall'articolo 27 della Costituzione: le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Altrimenti continueremo a trovarci in situazioni di intollerabilità come adesso”. Il lavoro in carcere però è più eccezione che regola in Italia, anche se i dati che Boscoletto cita dicono che solo l'uno per cento dei detenuti che in carcere hanno fatto un lavoro “vero” torna a commettere reati una volta fuori. Senza lavoro, la percentuale arriva al 90 per cento.

    Per Boscoletto soluzioni come l'indulto, il braccialetto elettronico o l'espulsione degli extracomunitari vanno bene “purché siano una boccata d'ossigeno per creare e attuare riforme strutturali che diano la possibilità di applicare la Costituzione”. Il punto dirimente sta tutto qua: “Se non si applica il recupero ci sarà una crescita costante della delinquenza. Le carceri italiane sono veri e propri istituti di formazione a delinquere: se uno entra sapendo scassinare un'auto, quando esce ha imparato dagli altri a scassinarne dieci. Non c'è sicurezza senza recupero. ‘Vigilando redimere' era il motto scritto sulle pareti del carcere di Noto nel '51: bisogna recuperare questo spirito, questa origine, altrimenti qualsiasi soluzione diventa inutile”. Occorre però partire subito con le riforme strutturali: “Ci vorranno vent'anni per risolvere il problema, perché per decenni nessun governo ha più fatto nulla per cambiare le cose. Più tardi si parte peggio è; non c'entra essere di destra o di sinistra, serve solo serietà”.

    A maggio gli stessi detenuti del carcere di Padova hanno chiesto un cambiamento: arresto immediato per chi commette reati, giudizio immediato, certezza della pena ma anche certezza del recupero. “Se non si completa questa ‘filiera' – spiega Boscoletto – i primi sono degli enunciati ipocriti che hanno due conseguenze: l'incremento dell'insicurezza sociale e quello della spesa pubblica”. Ogni detenuto costa centoventimila euro l'anno allo stato “per essere formato a delinquere più di prima”. A Padova la cooperativa Giotto ha “applicato la Costituzione, avendo come pilastro il lavoro, che è l'unica cosa che toglie il detenuto dalla recidiva”: perché è nel lavoro, “in azione”, che un uomo riscopre il proprio valore, capisce chi è. A Padova i detenuti fanno un mestiere vero, con uno stipendio e un contratto secondo le regole del mercato, ma in Italia sono solo 650 (su 55.000) i carcerati assunti da imprese o cooperative che agiscono nelle carceri. “Per questo abbiamo chiesto al governo – continua Boscoletto – di investire nel lavoro nelle carceri secondo il principio di sussidiarietà, permettendo a realtà imprenditoriali vere di creare posti di lavoro”.

    Il “censimento” dei delinquenti in Italia mostra che sono “sempre i soliti duecentomila” a commettere reati. Interrompere il circolo vizioso trasformandolo in virtuoso grazie al lavoro e al reinserimento sociale è “il solo modo per decongestionare le carceri e trattare chi sbaglia da persona umana. Sant'Agostino diceva che bisogna perseguire il peccato e non il peccatore, ma anche che è un peccato non scontare la pena quando si sbaglia”. E aggiunge: “Va ripensato anche il ruolo della polizia penitenziaria: non siano solo ‘guardie', ma parte attiva nel recupero dei detenuti”. Come dice la Costituzione.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.