Il riccio in padella

Marianna Rizzini

Vivere con “irresistibile efferatezza” è il motto di monsieur Arthens, critico gastronomico molto potente e molto temuto, protagonista di “Estasi culinarie” (e/o edizioni) di Muriel Barbery, autrice de “L'eleganza del riccio”. Un'opera prima, “Estasi culinarie”, che arriva in Italia dopo il grande successo del più fortunato “fratello minore”.

    Vivere con “irresistibile efferatezza” è il motto di monsieur Arthens, critico gastronomico molto potente e molto temuto, protagonista di “Estasi culinarie” (e/o edizioni) di Muriel Barbery, autrice de “L'eleganza del riccio”. Un'opera prima, “Estasi culinarie”, che arriva in Italia dopo il grande successo del più fortunato “fratello minore” e che di quello sembra il prequel, tanto si sente, nel libro, l'aria del palazzo di rue de Grenelle che farà da sfondo a “L'eleganza del riccio”. L'ambiente – un edificio borghese popolato di inquilini altoborghesi con vite altoborghesi e poche eccezioni a un'esistenza di fisime altoborghesi – è lo stesso, e, sebbene en passant, anche in “Estasi culinarie” appare Renée, la portinaia autoironica che, con cinismo compassionevole, simula ignoranza per non dover spiegare il perché e il percome della sua cultura a quei palloni gonfiati che la guardano senza vederla, trapassandola con lo sguardo e credendosi infinitamente superiori. Soprattutto, in “Estasi culinarie” si sente già il gusto di rovesciare lo schema buoni-cattivi.

    Monsieur Arthens è quanto di più lontano possa esserci da un personaggio positivo: è arrogante, presuntuoso, fedifrago, egoista, spietato, indifferente. Ha incenerito con lo sguardo e con la penna un'intera generazione di chef, rovinando in un attimo reputazioni e vite. Ha schernito schiere di colleghi senza pietà. Ha fatto venire complessi orribili a amici, figli e parenti, tutti colpevoli, ai suoi occhi, di inadeguatezza. Non ha mai speso parole di gentilezza, se non con perfetti estranei. Non ha mai trascorso più di qualche giorno di vacanza con la famiglia, sempre proteso verso l'altrove, ma non ha neppure mai reso felici le sue amanti, prese dal nulla e ributtate nel nulla. Si è sposato per comodità con l'unica donna che ha sopportato di essere “quella da cui lui tornava” (per un giorno, e con sufficienza). Ha contraddetto la prassi del nonno bonario, dicendo chiaro e tondo che non voleva schiamazzi infantili intorno – ma sua nipote, bambina saggia, tutto sommato lo giustifica: “So che qui sono tutti scontenti perché nessuno ama la persona giusta”. Monsieur Arthens ha usato il potere fino alla nausea, e forse ne è pure nauseato, ora che, in punto di morte, rovista nella memoria alla ricerca del sapore perfetto, del cibo da riassaggiare prima di chiudere per sempre gli occhi, e intanto maledice pure “l'orrenda Madeleine” che faceva sognare Marcel Proust.

    Non è un arrosto con sugo da scarpetta, quello che sogna Arthens moribondo, né un piatto di ostriche prelibate, né un pranzo marocchino come quelli della sua giovinezza a Tangeri, né il sashimi, frutto di un mare di “asperità e tumulti”, né il sorbetto d'arancio, “stalattite dell'infanzia”. Non è maionese, non è tenero prosciutto, non è l'asparago della campagna dove Arthens, bambino, andava a caccia di profumi. Non è soffice mollica di pane. E' qualcosa di precedente, di rimosso, dice a se stesso Arthens mentre giace a occhi chiusi nella sua stanza, odiato da tutti, figli compresi, e idolatrato da Anne, la donna mai amata e mai fuggita di fronte alle malefatte di un marito assente e scostante. Eppure, è nell'efferatezza più incallita che comincia a crescere l'ironia – ma quanto rompono questi francesi con la loro mania dei vini pregiati, dice Arthens.

    E' nell'efferatezza che si sviluppa la sua umanità – Arthens ha la mania di “Via col vento” e un debole per Rossella O'Hara, l'unica che resta in vita in un mondo marcio, e in suo onore chiama il cane Rhett, e lo coccola, e del mondo marcio comincia a salutare gli sconosciuti, coloro che, a differenza dei suoi congiunti, non si aspettano per forza il bene, restando poi delusi se arriva il male. E' dall'efferatezza che nasce la lucidità – e Arthens, pur non pentendosi, ammette di non aver mai dato nulla ai figli (ma sarà poi davvero migliore di un padre siffatto una madre che sopporta tutto, e non scappa di fronte al non-amore, sembra chiedersi la figlia di Arthens?). E, in quella ricerca del sapore primordiale, in quell'andare a ritroso nel ricordo, Arthens si scopre più dolce del truce bignè che non osa divorare (pena la scomunica del mondo dei gourmet).

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.