A Londra i dipendenti stanno già svuotando gli uffici

Così Lehman Brothers affonda le borse mondiali

Stefano Feltri

A Londra i dipendenti di Lehman Brothers stanno già svuotando gli uffici, in settimana toccherà anche ai colleghi italiani, come conferma Rainer Masera, managing director del ramo italiano della banca americana che questa mattina ha dichiarato bancarotta. Sono 25 mila le persone che ora rischiano (anzi, sono quasi certe), di restare senza lavoro.

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    A Londra i dipendenti di Lehman Brothers stanno già svuotando gli uffici, in settimana toccherà anche ai colleghi italiani, come conferma Rainer Masera, managing director del ramo italiano della banca americana che questa mattina ha dichiarato bancarotta.
    Sono 25 mila le persone che ora rischiano (anzi, sono quasi certe), di restare senza lavoro. “Lehman Italia non esiste come società indipendente, ma dipende da Londra, le cui sorti sono chiare. Man mano che i curatori fallimentari prendono il controllo delle diverse attività ci sarà la chiusura degli uffici”, spiega Masera all'agenzia di stampa Radiocor.

    Le borse europee hanno perso pesantemente in mattinata (Piazza Affari il tre e mezzo per cento), anche se forse meno di quanto i pessimisti si aspettavano. E' a Wall Street, ovviamente, che si misurano le conseguenze di quanto è successo nel weekend, e per ora le perdite sono nell'ordine del due per cento. La quarta banca d'affari degli Stati Uniti, Lehman Brothers, è stata abbandonata al fallimento. Gli inglesi di Barclays la volevano comprare, ma chiedevano al Tesoro e alla Federal Reserve di assumersi i rischi delle eventuali (e quasi certe) sorprese negative che avrebbero trovato nei bilanci di Lehman. Henry Paulson, segretario al Tesoro, e Ben Bernanke, presidente della Fed, hanno detto di no. Dopo il salvataggio dei giganti dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac lo scorso fine settimana, era necessario dare un segnale ai mercati che il denaro pubblico non sarebbe stato usato per salvare chiunque si trovi in difficoltà, soprattutto se a causa di errori manageriali.

    Lehman è condannata, dunque, infatti ha già chiesto l'amministrazione controllata, ricorrendo al famoso Chapter 11, che consente ai manager di restare alla guida della società nella fase di crisi per chiudere o rilanciare l'azienda al riparo dall'assalto dei creditori. Il Wall Street Journal ha rivelato che le finanze della banca sono degenerate al punto che ora ha 613 miliardi di debiti, una cifra enorme dovuta al peggioramento della sua credibilità come controparte e alla riduzione della fiducia degli investitori nella sua capacità di sopravvivenza nel corso delle scorse settimane.

    Nel frattempo, Bank of America, che era stata in trattative anche per comprare Lehman, ha messo le mani su Merrill Lynch, un'altra grande banca d'investimento, con un'operazione di cui la dirigenza di BoA discuteva da mesi ma resa ora necessaria dal crollo di Lehman. L'acquisizione è stata negoziata e annunciata prima che il fallimento di Lehman potesse avvelenare, per le reazioni a catena che in queste situazioni non mancano mai, anche i bilanci della sua concorrente Merril Lynch. Le banche centrali di tutto il mondo vigilano, pronte a iniettare denaro in mercati in preda al panico, e si attende anche una conferenza stampa del presidente americano George W. Bush, che dovrebbe parlare nel tardo pomeriggio (intorno alle 11 per gli Stati Uniti). La crisi dei subprime non è affatto finita. L'amministrazione uscente, ma soprattutto il prossimo presidente, dovrà confrontarsi con le Borse “nella peggiore crisi dopo il 1929”, come ha detto l'ex presidente della Fed Alan Greenspan, e con le conseguenze nell'economia reale che questo comporta.

    Eppure non bisogna cedere alle semplificazioni. Questa non è una crisi di sistema, o almeno non solo. Il sistema della securization, dell'impacchettare i titoli più rischiosi e rivenderli a qualcun altro, è in difficoltà, l'età del credito facile è finita. Ma, come ricordava anche l'Economist qualche settimana fa, la colpa è soprattutto degli errori mangeriali. Richard Fuld, il gorilla di Wall Street, il numero uno di Lehman Brothers ha sbagliato tutto quanto poteva sbagliare. Ad aprile spiegava ai mercati che la crisi era alle spalle, che i subprime avevano già esaurito l'effetto, e si è mosso di conseguenza, con il risultato che ora Lehman ha in portafoglio oltre 80 miliardi di assets “tossici”, come li chiamano gli investitori, cioè prodotti e crediti di cui è impossibile liberarsi e che contribuiscono a far scappare gli investitori che sanno di non potersi fidare delle cifre scritte nei bilanci di Lehman.

    Fedele all'azienda per la quale lavorava da quarant'anni, Fuld ha resistito finché ha potuto all'idea di vendere i pezzi pregiati per salvare l'impresa che, anche per colpa sua, si era esposta troppo ai prodotti legati ai mutui subprime e si era decisa troppo tardi ad accettare le perdite che quelle scelte manageriali avevano determinato. “E' stata la hybris a causare il crollo di Bear Stearns e Lehman?”, si chiede Frank Partnoy sul Financial Times. Come Jimmy Cayne, il numero uno di Bear Stearns, salvata a marzo dalla Fed e JP Morgan, anche Richard Fuld si identificava totalmente con l'azienda che dirigeva e non concepiva l'idea di smembrarla per farla sopravvivere. Ma il prezzo dell'indipendenza ora lo pagheranno i mercati finanziari e gli azionisti di Lehman, tra i quali ci sono anche i dipendenti che, convinti da Fuld, hanno accettato di avere gran parte del loro stipendio in stock options che ora sono carta straccia.

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