Quanto guadagni?

Annalena Benini

L'ultima domanda tabù, ha scritto Lucy Kellaway sul Financial Times, è stata definitivamente spazzata via dai crac americani, dalle crisi economiche, dalle complicate quarte settimane del mese: non è più scabroso e indecente domandare a un collega quanto guadagna, e il collega è tenuto a rispondere educatamente e senza vaghezza. “Mi pagano abbastanza”.

    Benedetta Cibrario racconta in “Rossovermiglio” (romanzo Feltrinelli che ha vinto il Premio Campiello) che fra l'aristocrazia torinese era vietato parlare delle tre “s”: sesso, servitù e soldi. Argomenti inadatti alla nobiltà. Naturalmente i tempi cambiano e le conversazioni sono democraticamente piene di sesso anche solo sognato e di badanti da regolarizzare. L'ultima domanda tabù, ha scritto Lucy Kellaway sul Financial Times, è stata definitivamente spazzata via dai crac americani, dalle crisi economiche, dalle complicate quarte settimane del mese: non è più scabroso e indecente domandare a un collega quanto guadagna, e il collega è tenuto a rispondere educatamente e senza vaghezza. “Mi pagano abbastanza”, con l'aria imbarazzata, non è più, d'ora in poi, una risposta accettabile: occorrono cifre esatte comprensive di benefit, precisazioni sull'auto aziendale, sul telefono, sugli scatti futuri. Per potersi confrontare, per imitare quelli che lavorano di più e guadagnano di più, per incentivare la crescita, dicono.

    In America e in Inghilterra è così, e anzi c'è un sito, www.glassdoor.com, che in nome della trasparenza ha pubblicato gli stipendi di gente che lavora per 11 mila aziende in cento paesi (ma, nota la Kellaway, è strano che, ad esempio, un alto dirigente della JPMorgan, banca d'investimento non in crisi che anzi si sta molto arricchendo grazie alla crisi, risulti guadagnare solo 62 mila dollari l'anno – forse allora il titolo di alto dirigente comprende gli addetti alle pulizie dei bagni). L'intento è nobile ma non tiene conto delle tremende frustrazioni che provoca scoprire che il collega giovane e stronzo guadagna molto di più (“dichiarare uno stipendio basso è come ammettere di non valere abbastanza”, scrive la Kellaway). Sarebbe meglio non sapere, ma ormai è impossibile: quando in Italia, mesi fa, vennero messe on line le dichiarazioni dei redditi di chiunque, aumentarono i tentativi di suicidio, le crisi familiari e aziendali, le rapine, e molti pur di non sembrare poveri dichiararono pubblicamente di evadere mostruosamente le tasse.

    La trasparenza fa molti danni, e soprattutto le mogli andrebbero tenute all'oscuro di quel che accade a Wall Street e alla Lehman Brothers: stanno infatti spaventosamente aumentando le richieste di divorzio tra i ricchi dell'alta finanza, travolti dalla crisi del credito. Un avvocato di New York ha ricevuto dalla moglie la richiesta di separazione perché il suo reddito annuale è sceso da venti a otto milioni di dollari l'anno. E un top manager in bancarotta si è suicidato impiccandosi in smoking sopra l'ex letto matrimoniale (lei l'aveva appena lasciato causa crac). Parlare di soldi non è più cafone, pare, ma è di certo assai poco saggio.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.