La voce del pallone
E' sempre una voce. Comincia mezz'ora prima della partita da un angolino della tribuna stampa: ci sono cataste di fogli, ci sono le cuffie sulle orecchie, c'è Beppe Bergomi, ci sono i capelli che gli scendono sulla fronte. Non si vede niente, si sente soltanto. Lo stadio in sottofondo. Benvenuti al cazzeggio del finesettimana: tu in poltrona stravaccato, Fabio Caressa lì che ti racconta.
E' sempre una voce. Comincia mezz'ora prima della partita da un angolino della tribuna stampa: ci sono cataste di fogli, ci sono le cuffie sulle orecchie, c'è Beppe Bergomi, ci sono i capelli che gli scendono sulla fronte. Non si vede niente, si sente soltanto. Lo stadio in sottofondo. Benvenuti al cazzeggio del finesettimana: tu in poltrona stravaccato, Fabio Caressa lì che ti racconta. Vediamo che cosa dice oggi: “Dicono sia stata trovata una strana vettura nel piazzale. Dicono che lì vicino abbiano visto pascolare strani animali: sembravano cervi, ma erano più grossi. Dicono che per lo stadio si aggiri uno strano signore, con una grande pancia e gli occhialini tondi. Dicono che sia vestito di rosso. E' un periodo di grande lavoro, ma pazienza. Doppio turno il 24 notte. Oggi, qui, non si può mancare. Dallo stadio San Siro di Milano, Inter-Milan, Milano e il mondo”.
Non togliete l'esordio del collegamento, non tagliate nulla. Caressa è un amico che ti sta raccontando una storia. Stravagante? Meglio. Inventata? Fa niente. E' l'abbrivio dell'emozione, l'inizio di un dialogo immaginario dove parla soltanto uno, anzi due, cioè lui e Bergomi. Tu ascolti, ma in fondo t'illudi che stiano parlando con te. “Il derby è come un gatto. Il derby è come il gatto della strega. S'annida e guarda lì lontano, entra nei pensieri e non sai come scacciarlo. Ogni tanto ti blandisce e ti struscia, ogni tanto invece graffia. Si muove di scatto, oppure sta immobile, fisso, lascia che non succeda nulla. Non ti puoi mai fidare del gatto della strega. Non ti puoi mai fidare del derby, figuriamoci ad Halloween”.
L'inizio è la differenza, lo scarto, il cambiamento. L'inizio è un marchio, anche un vezzo. Caressa non vuol essere invisibile, no. E' la voce di una generazione diversa dai telecronisti trasparenti. Lui racconta, interpreta, fa considerazioni, chiacchiera, spiega, si diverte. Non s'incazza, tranne quella volta con Zidane. Sempre quella, sì. Nove luglio 2006: “Eh no, eh no, eh no! Non si può. Rischia di rovinare una carriera con una testata indecente, Zidane. Bella ce l'abbiamo tutta, tienila, tienila. Un'indecenza, un'indecenza. L'ha visto (Bergomi), no non l'ha visto ma gliel'hanno detto... Rosso per Zidane che se ne va giustamente sotto la doccia, sotto la doccia, sotto la doccia, sotto la doccia”. La ridondanza ha creato uno stile tutto suo che è diventato collettivo. Cioè è di Caressa, ma è un po' di tutti: arrivi su un campo di calcetto e trovi chi lo imita. “Francesco To-t-t-i, To-t-t-i, To-t-t-i”. Il nome trascinato per cinque, sei, sette, dieci secondi, è un marchio, una specie di certezza che accompagna il weekend. Il gol arriva quando Fabio alza la voce.
Ha studiato parecchio: la televisione, il calcio, la metrica. Si vede, si sente, si capisce. Lui l'ha spiegato qualche tempo fa in un'intervista a Claudio Sabelli Fioretti, sul Magazine del Corriere della Sera: “Ho ripreso dagli speaker degli stadi tedeschi l'abitudine di scandire i nomi. ‘Andrea' (pausa) ‘Pirlo' (pausa) ‘uno a zero'. In Germania se segna Kirsten lo speaker dice: ‘Per il Bayern (pausa), ha segnato Ulf'. E tutto lo stadio in coro: ‘Kirsten'. E lo speaker: ‘Ora il punteggio è eins…' E tutto lo stadio: ‘nu zul'. Allora lo speaker dice: ‘Danke'. E tutto lo stadio: ‘Bitte'. Una grande scenografia”. Un giorno spiegherà perché adora la Germania. Perché c'è chi è cresciuto con la passione del calcio inglese, chi con quella per il calcio spagnolo, invece Caressa seguiva la Bundesliga e si divertiva un casino. Forse non era ancora la prima voce del pallone criptato. Epoca di Telepiù comunque, dove lui è arrivato da Roma, da Canale 66 e da Teleroma56. “La tv dei radicali”. Ci tiene e a Sabelli ha fatto capire che la politica era qualcosa di più e poi è diventato qualcosa di meno: “Frequentavo i giovani socialisti, ma quando qualcuno cominciò a farmi dei discorsi sulle tessere, da prendere, da comprare, mi sono imbestialito e me ne sono andato. Credo di essere stato l'ultimo a intervistare Bettino Craxi in tv, due mesi prima che morisse. Fu molto emozionante. Ogni volta che si parlava d'Italia si commuoveva e si metteva a piangere. I radicali, poi: Rutelli era il più simpatico, era un battutaro. Pannella aveva carisma, gli andavo a comprare le Gauloises, cinque o sei pacchetti alla volta. Stanzani era un burbero, però ti dava sempre un consiglio. C'era anche chi non mi piaceva. Teodori, Taradash e Negri: tutti un po' presuntuosi”.
La nemesi è arrivata dopo il Mondiale di Germania 2006. E' da allora che circolano strane voci sulla sua di presunzione. Gli hanno detto che è troppo protagonista, che esagera, che si mette al di sopra di tutto. Le ha lette le critiche, forse gli hanno fatto male, forse invece non l'hanno toccato. Sa di essere il più bravo, ma non lo dice. Quando glielo chiedono, ricorda che a cambiare la telecronaca non è stato lui, ma Sandro Piccinini. Che poi è uno dei suoi maestri. Però adesso c'è lui, più di quell'altro. La nicchia di Telepiù non è più una nicchia. Caressa è un nome che conoscono tutti, Fabio è un volto che conoscono tutti. “C'è chi dice che sono presuntuoso, che mi metto al di sopra dell'evento. Ma io sono un medium, uno strumento. Il filo conduttore tra quello che succede in campo e ciò che arriva a casa. Ha tirato di destro e ha segnato? Va bene, l'hanno visto tutti. Io voglio far filtrare l'emozione con la mia voce. Nulla è improvvisato. Studio sempre quello che devo dire. Ho fatto studi di metrica. Gli antichi poeti usavano la metrica per fare un racconto emozionale. Se lo facevano loro, allora posso farlo anche io. Il telecronista è la colonna sonora dell'avvenimento. E' come la musica di un film, se quando c'è aria di gol io riesco a fare in modo che tu a casa ti sposti sulla punta della poltrona, allora ho fatto bene il mio lavoro”.
Succede. Succede sempre. Lui e Bergomi, Bergomi e lui. Popolari eppure snob: entrare in quel mondo significa non uscirne più, restare incollati a quel modo di raccontare che trasforma novanta minuti in una serata in confidenza. Il loro pallone dev'essere anche quello degli altri. La telecronaca è perfetta. C'è la tecnica, c'è la storia, c'è il gossip. Beppe fa il tecnico, Fabio il giornalista. Personaggi. Non c'era mai stata una coppia pallonara in tv così affiatata. Funzionano da prima che facessero gli spot di Sky, tipo quello post Mondiale 2006. Caressa lì è diventato il numero uno. In Germania, quando la sua voce è entrata anche dove non c'era mai stata, quando è diventato un ritmo musicale, una storiella da raccontare. “Chissà quanti glien'ha presi Buffon a Trezeguet in allenamento... Lo conosci... Lo conosci... Non è gol, non è gol, non è gol, non è gol, non è gol! E mica è sempre Natale!”. Prima c'era già, Fabio. Era il posticipo. E' da lì che nasce, di fatto. E' da lì che è partita la sua voce. Uno baciato dal trionfo della rivoluzione criptata: Telepiù, la scoperta collettiva dei diritti tv, l'arrivo della domenica sera, della partita più importante. Quant'è bello l'appuntamento della domenica sera: da allora sai che alle 20.30 c'è sempre qualcosa da vedere e finisce che resti deluso quando non è la partita più interessante.
Negli anni Ottanta quando la notturna apparteneva alle coppe europee e basta, succedeva che andavano tutti in sovraeccitazione persino per una partita di coppa Italia giocata sotto i fari. Ora fanno tutti gli schizzinosi. Leggi e senti gli antimodernisti che fanno il tifo per “tutte le partite la domenica pomeriggio”. Il posticipo ha sdoganato la domenica sera, ha trasformato quello che per molti italiani era uno dei momenti peggiori della settimana in una appendice di divertimento, ha riempito quel vuoto insopportabile che andava una volta da Domenica Sprint fino alla Domenica Sportiva. Che senso avevano quelle due ore senza calcio? La domenica deve avere il pallone e il posticipo è diventato il culmine della giornata. Il meglio che viene alla fine.
Che poi adesso c'è anche l'anticipo. Il sabato sera, altro punto fermo. Puoi programmare il tuo weekend che comincia alle 18 del sabato e finisce praticamente a mezzanotte del giorno dopo. Trenta ore per la vita. Dicono che il calcio si sia venduto alla tv. E' una cosa brutta? Perché? In fondo alla fine ce lo godiamo noi, no? La televisione esiste perché c'è qualcuno che la guarda. Quattro milioni di persone hanno l'abbonamento al satellite, adesso è arrivato anche il digitale terrestre: sono loro che si sono comprati il calcio, di fatto. I network comprano perché queste persone pagano per vedere il pallone. Chi non paga ha quello che aveva prima, può vivere esattamente nelle stesse condizioni: accende la radio, ascolta, poi aspetta le sei e dieci del pomeriggio e si guarda il suo Novantesimo o qualunque cosa sia, perché che si chiami Controcampo o “chissacosa” quello che conta sono i gol, le immagini, il rigore non dato. La propria squadra, quindi, cioè quello per cui impazziamo tutti. Però non va bene. C'è un pezzo di questo paese che chiede più o meno sibillinamente di tornare indietro, c'è un movimento neanche poi tanto sotterraneo che cambierebbe la libertà con l'obbligo. Questo è e questo ti prendi. Non s'accetta che quei quattro milioni di italiani possano guardare le partite in diretta e gli altri no. Meglio che non le guardi nessuno, perché se stiamo tutti un po' peggio, allora saremo certo più felici. La colpa è della tv, sempre. I calciatori sono padroni del mondo per la tv, gli allenatori fanno i personaggi per la tv, i presidenti fanno affare per la tv. Cioè per noi, perché la tv siamo noi, di nuovo. Il calcio criptato non ha tolto, ha aggiunto. Non è che oggi non si veda meno di prima, è il contrario. Gli intellettualoidi pallonari lo sanno, ma non vogliono ammetterlo. Soprattutto è la gente che lo sa. E' per questo che quando i benpensanti hanno cominciato a criticare, i tifosi stavano già tutti nei bar e nei pub e nei ristoranti a guardarsi tranquillamente le partite. Perché chi non poteva permettersi l'abbonamento al satellite, pagava cinquemila lire e andava nel posto giusto che trasmetteva il match giusto.
Oppure s'andava a mangiare una pizza nella pizzeria con il maxischermo. Erano scene da anni Sessanta, quando gli italiani si riunivano per guardarsi l'Italia, però adesso non andavano più bene. Troppa modernità, stiamo scherzando. Si sono abbassati i prezzi e il satellite è entrato nel nostro modo di vivere, è arrivato il digitale e la concorrenza ha fatto diminuire ancora di più il costo degli abbonamenti. Qual è il problema ora? Che le esigenze televisive hanno spalmato le partite: il campionato si gioca in tutto il weekend, la Champions League martedì e mercoledì. Uno schifo, certo. Uno schifo me-ra-vi-glio-so. Se non ti piace cambia canale e non rompere le scatole. Qui si può avere tutto quello e poi si può scegliere. Facciamo quello che fanno gli altri, all'estero. Perché non è che possiamo continuare a fare i furbi provinciali, quelli che si riempiono la bocca col calcio inglese che rispetta le tradizioni, che non smentisce se stesso, che non ha cancellato il passato, però facciamo gli gnorri quando c'accorgiamo giocano più di noi e si fanno comandare più di noi dalle tv: si gioca quando decide Skysport e persino i numeri delle maglie di tutte le squadre devono avere lo stesso carattere e la stessa dimensione per esigenze televisive. Onore al calcio moderno, imperfetto, veramente finto ed emozionante. Guarda, guarda, guarda. Arrivano i canali all news di solo sport e in quel solo sport c'è per il novanta per cento calcio. Vai.
La verità è che si vive su due piani che neanche si parlano: il pallonaio domenicale e il pallonaio perenne. La tv contemporanea fatta dai contemporanei ha ridato emozione, gioia, felicità. La telecamera che t'accompagna dove non arriveresti mai. Non è lo stadio, ma se uno deve guardare il calcio in televisione oggi ha tutto quello che vuole. Hai il bordocampista, per esempio. Sia benedetto per sempre, perché è lui che ti fa sapere che cosa dice l'allenatore, chi si sta riscaldando, chi entrerà, quello che succede in panchina. Caressa lo usa come si deve. “Andiamo da Stefano De Grandis”. E Stefano racconta. Se c'è un reality show che funziona è quello lì: vuoi sapere tutto perché vorresti essere al posto del mister. Vuoi sapere tutto e vuoi che chi sta lì ne sappia più di te, perché sennò che pago a fare per sentire quello che già so? Questo ce l'hai. Perché la guerra delle tv ha aumentato la competenza, la qualità, il ritmo. Pace all'anima di Martellini, sia lodato sempre Bruno Pizzul, ma teniamoci stretta la generazione dei Caressa. “Arriva il pallone, lo mette fuori Cannavaro. Poi ancora insiste Podolski... Cannavaro. Cannavaro. Via il contropiede per Totti, dentro il pallone per Gilardino... Gilardino lo può tenere anche vicino alla bandierina, cerca l'uno contro uno, Gilardino, dentro Del Piero, Del Piero... Gol! Aleeeex Deeel Piero!!! Chiudiamo le valigie. Andiamo a Berlino. Andiamo a Berlino. Andiamo a prenderci la coppa! Andiamo a Berlino”. E' così che si vive il pallone da spettatore: sapendo che c'è uno che ti sta raccontando con il tono giusto e con la confidenza giusta.
Il telecronista è un amico, il compagno di banco che ti spiega senza farti sentire un imbecille. Gianni Brera diceva che “il calcio è il gioco più bello del mondo. Purtroppo, o per fortuna, non sempre amare il calcio significa capirlo”. Un telecronista non può permetterselo, però. Deve conoscerlo, deve capirlo, deve spiegarlo. Deve amarlo per fartelo amare ancora di più. E' questo che fa la tv, adesso. Le nuove voci aggiungono il dettaglio e trasmettono quello che sentono: tu non sei in campo, io sì e te lo faccio sentire. Allora vai con Stefano De Grandis, il socio. Di poker e di pallone. Parlano tra di loro, ancora. Bergomi si mette in mezzo. Tu dove sei? A casa, però lì. Vedi? E' qui che cambia la storia, quando chi sta lì ti porta in dentro, quando chi si gode il privilegio di essere protagonista fa in modo che a casa la gente si autocoinvolga. Non è tifo, questo. Allora tutti vogliono sapere da che parte sta. Dicono “è romano”: allora o è laziale o romanista. Dicono “vive a Milano”: allora o è dell'Inter o del Milan. Dicono “ha seguito tanto la Juventus”: allora è juventino. Caressa non ha mai dichiarato niente.
Tiferà per qualcuno, ma sinceramente chissenefrega. In telecronaca non si capisce e se si capisse affari suoi. C'è Bergomi accanto. E' interista, ma qualcuno s'azzardi a criticarlo. La capacità scavalca le passioni e mette in imbarazzo i censori. Qui si parla di pallone. Il calcio sarà pure quello, però è anche altro. L'inizio o la fine di una domenica. Seduti su una poltrona. Lo stadio in collegamento: “Buonasera tifosi di Inter e Juve. Tutto bene? L'avete aspettata tanto, avete tante cose da dirvi, adesso ci siamo... Siete comodi? Avete qualcuno dell'altra squadra a fianco? Stringetegli la mano, si fa così. Adesso mettetevi sulla punta della poltrona, alzate il volume, concentratevi, vi stiamo portando dentro, vi stiamo portando allo stadio... E' solo una partita di calcio, ma è la partita”.
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