Dopo l'editoriale del Foglio

I principi in gioco nel dibattito sul testamento biologico

Maurizio Crippa

"Ma allo stesso tempo, nelle parole del cardinal Bagnasco – spiega D'Agostino – non c'è nessuna apertura a pratiche eutanasiche, né di abbandono terapeutico. Non esiste alcuna presunta apertura sulla ‘disponibilità' della vita, né credo che la chiesa la farà mai".

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    Si spera, ad ogni modo, che questa Dichiarazione incontri il consenso di tanti uomini di buona volontà, che, al di là delle differenze filosofiche o ideologiche, hanno tuttavia una viva coscienza dei diritti della persona umana” e poiché inoltre “si tratta qui dei diritti fondamentali di ogni persona umana, è evidente che non si può ricorrere ad argomenti desunti dal pluralismo politico o dalla libertà religiosa, per negarne il valore universale”. La Dichiarazione sull'eutanasia “Iuri et Boni” promulgata dalla congregazione per la Dottrina della fede il 5 maggio 1980, quando prefetto era ancora il cardinale croato Franjo Seper – e che ancora oggi rimane un punto di riferimento dottrinale assieme alla dichiarazione del 2000 della Pontificia accademia per la vita, “Il rispetto della dignità del morente” – dimostra quanto fosse ben chiara già allora, la necessità di quella che si potrebbe definire un'alleanza con tutte le espressioni del pensiero laico disposte a riconoscere “l'eccellente dignità della persona umana e in modo particolare il suo diritto alla vita”. La Dichiarazione si rivolgeva anche alle altre fedi: “Quanto a coloro che professano altre religioni, molti ammetteranno con noi che la fede in un Dio creatore, provvido e padrone della vita – se la condividono – attribuisce una dignità eminente a ogni persona umana e ne garantisce il rispetto”.

    E' possibile che le valutazioni espresse dal cardinale Angelo Bagnasco, nella sua prolusione all'assemblea della Cei in merito alla opportunità di “varare, si spera col concorso più ampio, una legge sul fine vita” rappresentino un cedimento rispetto a una “posizione strategica sul tema della vita”? La domanda posta dall'editoriale del Foglio di ieri è legittima, in quanto viene logicamente e culturalmente prima del dibattito politico e giuridico che si scatenerà da qui alla (prevedibile) approvazione di una legge del Parlamento italiano. E se da un lato la domanda riguarda il tema “strategico” della vita, dunque la sua indisponibilità a leggi che vogliano manipolarla o addirittura interromperla, dall'altro lato è interessante capire perché – in questo caso – dalla gerarchia cattolica provenga l'indicazione che sia invece legittimo intervenire sulle indicazoni di fine vita, e addirittura, sebbene a certe condizioni, legiferarci sopra.

    Un giurista cattolico come il professor Francesco D'Agostino spiega al Foglio che “in questo caso l'utilità di dichiarazioni anticipate e univoche, che aiutino il medico a scegliere le terapie all'interno di un dialogo terapeutico con il paziente, sono giustificate dalla stessa complessità delle soluzioni oggi a disposizione della medicina. Ma allo stesso tempo, nelle parole del cardinal Bagnasco non c'è nessuna apertura a pratiche eutanasiche, né di abbandono terapeutico. Non esiste alcuna presunta apertura sulla ‘disponibilità' della vita, né credo che la chiesa la farà mai”. Piuttosto, prosegue D'Agostino, ciò che viene richiesto è il maggior “rigore procedurale possibile” nella stesura e nella pertinenza di tali indicazioni. Il che significa anche che, in loro assenza, debba sempre e solo valere il principio del “favor vitae”. D'Agostino sottolinea che non esiste, e non può esistere, “alcuna tecnica giuridica che possa consentire una cura coercitiva del malato: la persona è libera di rifiutare la cura”, dunque è legittimo che si possa esprimere al riguardo. Ma ciò non è in contraddizione con il dovere del medico di esercitare fino in fondo il dovere di cura, né con il richiamo della chiesa alla indisponibilità della vita umana.

    Per il pensiero giuridico cattolico, dunque, il punto dirimente non è la liceità della legge, che fa parte del diritto personale, ma la ammissibilità etica, e dunque giuridica, delle dichiarazioni stesse. Spiega ad esempio il professor Luciano Eusebi, docente della Cattolica ed esperto di legislazione bioetica: “Non ritengo che l'intervento del cardinal Bagnasco esprima una modifica del pensiero della chiesa sulla materia affrontata: il problema non attiene alla possibilità di formulare dichiarazioni anticipate circa i trattamenti medici, ma al loro contenuto legittimo. E in proposito il presidente della Cei dà indicazioni molto importanti: totale non pertinenza di pronunce che riguardino l'idratazione e l'alimentazione, carattere non burocraticamente vincolante delle dichiarazioni per il medico, che deve potere valutarne senso e attualità, esclusione di un loro contenuto anche indirettamente eutanasico, nel quadro del favor vitae fatto proprio dalla Costituzione. In questo senso, quanto affermato dal cardinale non significa ammettere dichiarazioni che vincolino per il futuro il medico ad astenersi dall'agire, dinnanzi a un malato incosciente, per una salvaguardia del tutto proporzionata della sua salute o a interrompere situazioni in atto di salvaguardia del tutto proporzionata della medesima. Laddove il concetto di proporzione garantisce un giudizio riferito a criteriologie condivisibili e non totalmente soggettivizzate, pur non escludendo valutazioni attinenti al vissuto personale. Significativamente, Bagnasco ribadisce che ‘la vita umana è sempre, in ogni caso, un bene inviolabile e indisponibile'. Principio, questo, che è del tutto compatibile con l'intento di evitare ‘inutili forme di accanimento terapeutico'”.

    Un altro giurista, Alberto Gambino, invita a non cadere nell'equivoco che quelle del presidente della Cei siano tout-court delle “aperture”: “Attenzione anzi, la parola ‘anticipate' non viene nemmeno usata. Il testo di Bagnasco è molto sorvegliato, e parla di ‘dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita'. E questo porta, sotto il profilo giuridico, a distinguere ad esempio tra il giudizio o la pre-comprensione da parte della persona che rende tali dichiarazioni, significa che una dichiarazione ‘resa prima', magari anni prima, in condizioni diverse, non può essere certa ed esplicita”.

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    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"