Al Cav. ormai tutto je rimbarza e dopo l'opposizione sparisce pure la satira

Stefano Di Michele

E alla fine – e nonostante le battutacce sul nano e sul cerone, sulla miracolosa ricrescita e sullo svettante tacco, sui cactus e sulle bandane, sulle bonazze militanti e oggettivamente sulla stessa forzaitalia – neanche più col Cav. funziona la satira politica. Come dicono a Roma, ormai “je rimbalza”.

    E alla fine – e nonostante le battutacce sul nano e sul cerone, sulla miracolosa ricrescita e sullo svettante tacco, sui cactus e sulle bandane, sulle bonazze militanti e oggettivamente sulla stessa forzaitalia – neanche più col Cav. funziona la satira politica. Come dicono a Roma, ormai “je rimbalza”: tanto ha dato, il premier, al settore e al suo indotto, che adesso gli addetti ai lavori non sanno più da che parte considerare la faccenda. Ultimi, hanno alzato le mani quelli di “Zelig”, che non riescono a trovare nomi nuovi per prendere in maniera efficace per il culo il Cav. (e ovviamente Veltroni e il resto della compagnia). Si capisce, ci sono sempre i soliti – il sublime Albanese, il grande Marcorè, l'immensa Littizzetto, il bravissimo Crozza, il geniale Guzzanti, ecc. – ma i pargoli satirici latitano, i delfini annaspano, se ci provano non fanno ridere, si confonde sempre più facilmente l'invettiva con la risata. In fondo, un altro trionfo berlusconiano: prende per sfinimento, fornisce molto più materiale di quello che si riesce a elaborare, quando un comico arriva lui è già avanti di chilometri con un'altra paradossale trovata. E' il metodo, aggiornato, di Giulio Andreotti – il metodo, diciamo così, di chi si appresta a durare. L'andreottismo fu pane e companatico per generazioni di comici della prima Repubblica – dalla gobba alle orecchie a sventola, dal lungo potere al suo celebrato cinismo. Sfottendolo per decenni, ne hanno fatto la perfetta maschera italiana – così che anche adesso, a quasi novant'anni, si prepara divertito a ricevere a Roma, sotto un albero di fico, il premio “Er mejo fico der bigonzo” (notizia vera, mica satira). Una consacrazione, poco da dire. E c'è quasi da scommettere: tra Alitalia e Quirinale, un'altra possibile aspirazione di Berlusconi che poco fico certo non si considera. Ha fregato i satirici – tutti, si capisce, a lui avversi: un satirico berlusconiano sarebbe troppo pure per un satirico – costringendoli alla rincorsa, lasciandoli senza fiato, ansimanti sul bordo del fiume in attesa del cadavere del Caimano e intanto costretti a giochini di parole sul CaiNano. In quindici anni, da questo punto di vista, ha fatto il lavoro di dieci Andreotti: un'immensa riforma comicarola, alzando sempre più la soglia di sbarramento per riuscire efficacemente (e ferocemente) a prenderlo in giro. Se vi truccate, ha già fatto; se vi mettete la parrucca, ha già ricomprato i capelli; se salite sui trampoli, già svetta; se chiamate le soubrette, rapido mostra il governo. Così finisce che mentre quelli dell'opposizione scoprono l'alba, quell'altro è già arrivato all'ora di pranzo. Il grido di dolore di “Zelig”, la presa d'atto che sfottere con efficacia il Cav. sta diventando un'impresa da titani della scena, è destinata a lasciare il segno. Praticamente, mancano le parole. Funzionano certi epigoni del berlusconismo – Cetto Laqualunque è ormai immortale, il Ministro della Paura lo diventerà – ma l'attacco diretto incide poco (e male). Eppure, non è tempo di poca satira. Se a New York pure Veltroni ha avuto modo di dolersi di Grillo (“da quando c'è al governo la destra è sparito”, guarda te uno in cosa si deve trovare impicciato oltreoceano), il Secolo pubblica un dettagliato articolo per raccomandare possibili oggetti di sfottimento a Serena Dandini che prepara il suo “Parla come me” – compresi “La Russa in divisa da lagunare” e i “Papalini su Giove”, essenziale seguito ai “Fascisti su Marte” – e contestare così le scelte in cantiere. Però, ecco, sempre lì siamo: e Berlusconi? Pure chi era pischello al tempo della scesa in campo adesso dovrebbe, alle soglie della maturità, aver acquisito una coscienza comica, un istinto battutista, una percezione surreale. Invece niente: come si preparano a mettere in scena qualcosa, il Cav. sta già montando un nuovo spettacolo – e li confina in seconda visione. Sarà stata la stagione girotondina – a forza di indignazione perenne si gonfia il fegato e si appesantiscono le parole – ma ciò che fu capace di dare a suo tempo un Benigni è da considerarsi irripetibile. Sì, si farà un Capezzone, una Meloni, vabbè capirai… Paradosso berlusconiano: dell'opposizione oltre Veltroni non si sa chi mettere in scena (quale genio artistico potrebbe rappresentare Franceschini?), di là vanno bene tutti, ma con un principale così esageratamente pop ormai si deve gettare la spugna.