Dal Lingotto a Vladimir Putin, che cosa è successo a Veltroni?

La scoperta del tramonto / 2

Stefano Di Michele

A conoscenza tanto del pensiero di Totò – “ogni limite ha una pazienza”, quanto dell'opinione di John Belushi – “quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare” (ha raccontato che a scuola la sua era “una classe pazzesca, una specie di Animal House”: praticamente il Pd con decenni d'anticipo, quindi si è fatto le ossa per tempo), Walter è finalmente passato al contrattacco.

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    A conoscenza tanto del pensiero di Totò – “ogni limite ha una pazienza”, quanto dell'opinione di John Belushi – “quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare” (ha raccontato che a scuola la sua era “una classe pazzesca, una specie di Animal House”: praticamente il Pd con decenni d'anticipo, quindi si è fatto le ossa per tempo), Walter è finalmente passato al contrattacco. Siccome non di sola gloria letteraria si vive, e quel che apprezzano a New York non fa lo stesso effetto alla Garbatella, era ora. Prima che per le sorti del centrosinistra – qui un cero a qualche santo ben piazzato risulta, al momento, più appropriato – per quelle dello stesso leader. Veltroni si è fatto l'estate da uomo assediato – e che stiamo, a Forte Alamo?, avrà pensato con gran turbamento – sia dall'esterno che dall'interno del Pd.

    Per settimane, il tiro al Walter è stato una specie di sport nazionale. Con i tipi del governo che, avendo varcato il Soglio di Palazzo Chigi, vivono una specie di ubriacatura da acqua santa, considerando ogni critica una bestemmia, pur non avendo, stando alla semplice metratura, un Altissimo da esibire. E con una parte della compagnia democratica che, con poco da fare, si è scatenata in una sorta di “disamistade” casareccia – e a Walter soccorre la cara immagine del Tafazzi. Troppa signorilità non paga, troppo garbo viene maliziosamente accostato alla coglionaggine.

    Uno abbozza e sopporta e patisce, poi sbotta. Lui si porta in casa – “su quei divani là in fondo”: altri ci avrebbero già messo una targa d'ottone – Epifani e Colaninno, nel caso non gli fa mancare né pane e vin come al Maramao della felice canzoncina, li convince a venirsi incontro, e per tutta risposta è un generalizzato coro di pernacchie. Poteva fare due cose: tornarsene a New York, che tanto prima che uno si passi tutti i parenti dei Kennedy è già tempo di elezioni europee, o tirare finalmente fuori la grinta. Ed è quello che ha fatto. Ora, non essendo – nonostante il capolavoro comico del titolo di apertura del Giornale di ieri: “Veltroni è ritornato comunista” – mai stato comunista, Walter non ha svoltato ricorrendo a Brecht che aveva la citazione appropriata (“Nessuno può essere buono a lungo se non c'è richiesta di bontà”), piuttosto a Dickens – che sarebbe come opporre Babe maialino coraggioso a Freddy Krueger, ma è già qualcosa.

    Sistematicamente, con il curioso contributo di parte dello stesso Pd, si lavorava alla demolizione del leader dell'opposizione – e c'era del metodo, in questo, non solo accanimento da parte governativa e ingenuità di certi dell'opposizione. Certo, Walter a volte ha messo qualcosa di suo dentro una simile pignatta, ma da gran tempo il grottesco si era trasformato in pericolo. Sistemate le vicende editoriali (beh, e allora? quell'altro non è forse andato a farsi massaggiare in piena bagarre, comparendo poi di colpo davanti alle telecamere da dietro un cancello, vestito con uno strano effetto da otto di coppe?), e quindi quelle aviatorie, era giusto cominciare pure a battere qualche pugno sul tavolo.

    Perché è chiaro che quello che Walter deve più temere, adesso, non è Berlusconi che diventa come Putin – che fa, si fa biondo? – quanto il Pd che diventa una sorta di asilo Mariuccia, senza capo e senza coda, dove ognuno apre bocca e piglia fiato, mentre impazza il festival degli acronimi e prosegue la svestizione di ogni dignità di comando del capo. Buttato lì Vladimir, tra la dacia e la costa Smeralda, Walter ora deve afferrare il mattarello in casa propria – dove quasi nessuno ha osato riconoscergli quello che persino Confalonieri gli ha pubblicamente riconosciuto. Non è questione di avere ragione o torto, dire il giusto o la frescaccia, ma un partito allo stato brado, a ravanare su terreni improbabili, in tempi autunnali di opportuna transumanza (perciò, in fila e in ordine: presente D'Annunzio, “settembre, andiamo”? Casomai chiedere lumi a Realacci), non è cosa saggia e intelligente: il gregge rischia di non vedere il pascolo manco per il 25 ottobre.

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