Il nuovo patto del diavolo
C'è qualcosa che non va se Clarence abbassa la testa. Non può. Non è tipo che ha bisogno di guardare il pallone: gli arriva e lo dà, oppure lo ferma, l'accarezza, l'accompagna. O un compagno o se stesso, o il passaggio o il dribbling. Come diceva il mister dei pulcini? “Prima di riceverla devi sapere già che cosa fare della palla”. Seedorf non ha mai sbagliato. Poi s'è fermato: per ragionare, per decidere. Questo non è lui, o forse non sono gli altri.
C'è qualcosa che non va se Clarence abbassa la testa. Non può. Non è tipo che ha bisogno di guardare il pallone: gli arriva e lo dà, oppure lo ferma, l'accarezza, l'accompagna. O un compagno o se stesso, o il passaggio o il dribbling. Come diceva il mister dei pulcini? “Prima di riceverla devi sapere già che cosa fare della palla”. Seedorf non ha mai sbagliato. Poi s'è fermato: per ragionare, per decidere. Questo non è lui, o forse non sono gli altri. Questo è il contrario: la carta che non scorre nella stampante, l'acqua che non esce dal rubinetto, è la semplicità che diventa complicata. Un tappo, uno stop, una sbarra. Il modello Milan inceppato e inibito? Le gambe impacciate del Clarence sono state la sospensione di un'era. Sciolto lui, scorre tutto il resto. Ronaldinho, Kakà, Pato. Guardali e divertiti, guardali e illuditi che sia tutto lì. Poi scendi più giù, dove non si vede la porta e dove conta il cervello. Allora attenzione a Seedorf, perché il centro è qui: otto, sette, sette e mezzo. Le pagelle raccontano la verità, ma non possono spiegare fino in fondo. La palla che gira, il torello, il tocco in profondità, il triangolo, gli esterni che salgono, cross, sponda, tiro, gol. Lo Zurigo non poteva bastare a nascondere la verità e forse non era sufficiente neanche la Lazio. La serata con l'Inter è una svolta. Passa tutto da qui: dalle gambe e dall'idea, da questo calciatore in grado di essere tre cose contemporaneamente rimanendo se stesso. Unico.
Senza Pirlo, il motore è Seedorf, che per la prima volta nella vita ha fatto l'anonimo, prima di tornare di nuovo. Che cos'era quella testa bassa? Clarence sapeva troppo per pensare che fosse tutto come al solito. La strada non era sgombra: c'era l'ostacolo, l'insidia, la buca. Il fatto è che per un po' ha scricchiolato la certezza: dal Milan non usciva mai un'indiscrezione. Quello lo faceva l'Inter con le sue mezze verità e le sue mezze bugie, con le cordate, i nemici-amici. “Il Milan è una famiglia”, dicevano. Lo dicono ancora e dev'essere così. Però lo spiffero che prima non arrivava in quei giorni difficili è arrivato: le voci sugli ultimatum ad Ancelotti, le presunte critiche alla campagna acquisti. Saranno tutte invenzioni, ma non è questo il punto. Il punto è che succede quello che non era mai successo: il modello che vacilla in campo, negli spogliatoi, in tribuna e nelle stanze del potere. C'è sempre stato un muro a proteggere il sistema a San Siro, come in via Turati, come a Milanello. Tutti a coprire: Ambrosini e Gattuso, poi Maldini, Nesta, Kaladze, Dida. Ancelotti protettivo e protetto.
Quando c'è una squadra non si vedono gli errori. A un certo punto, invece, s'è visto tutto: nudo Clarence, così come Sheva e Ronaldinho, così pure gli altri, da Ancelotti a Galliani. L'abbraccio a Carletto domenica scorsa contro la Lazio è la fotografia di un'idea, del ritorno alla vita dopo un mese di agonia: si capiscono e si prendono, lui e Ancelotti, lui e il club, lui e la gente. Cercati e trovati, ancora. Perché il gol di Seedorf ha rimesso in cammino il progetto. Forse. Clarence adesso rialza e si rimette a giocare. Certo dell'insicurezza. E' come se all'improvviso fosse svanita la paura, quel timore che gli deve aver fatto pensare cose così: “Se lo perdo, sono cazzi amari”. Era la sicurezza di avere dietro una diga che traballava. Clarence non può giocare in questo modo. Non è più abituato, forse non lo è mai stato. Per questo nell'Inter di dieci anni fa non era quello che era stato né quello che sarebbe diventato. Non può credere di essere tornato a quell'epoca e a quel timore: a 32 anni, con 16 anni di carriera alle spalle e un paio davanti non è cosa per lui, questa. Rivuole il modello, lo cerca, lo invoca. Si è visto con lo Zurigo, s'è rivisto con la Lazio: il tentativo del tocco di prima, della palla filtrante, della giocata. Il gol e quell'abbraccio ad Ancelotti, come due amici che si guardano e sanno già. Poi l'Inter, lui in mezzo a comandare tutto, a toccare, a giostrare, a essere perno, centro, cardine, riferimento, pilastro. Questo è lui, un numero dieci che in realtà sarebbe stato un numero otto; un talento unico al servizio di altri talenti. “Clarence, hai ragione. Tu sei il vero leader”, gli disse una volta Zvonimir Boban. Seedorf ha preso il complimento e se l'è appuntato al petto: adesso è anche tra i “dicono di lui” sul suo sito Internet. Ce ne è qualcun altro, tipo quello del giornale tedesco Der Standard: “Seedorf è uno dei calciatori migliori e più sottovalutati che l'Europa abbia visto negli ultimi quindici anni”. Un po' è vero ed evidentemente lo pensa anche lui. Non è stato valorizzato quanto avrebbe potuto, non è mai stato considerato la stella, ma una delle stelle. Anche al Real Madrid è stato così e non era ancora il Real dei Galacticos. E' così al Milan, è stato così alla Sampdoria perché c'era ancora Mancini, è stato così all'Ajax dove ha cominciato e dove è ricordato ancora per quel record che nessuno è riuscito a battere: il giocatore più giovane che abbia mai esordito con la prima squadra. Aveva 16 anni e 242 giorni.
E' da lì che è partito: da un altro modello che poi è finito, ricominciato e finito di nuovo. Non c'entra nulla col Milan, però aiuta a capire che Clarence è la sintesi della crisi della sua squadra: è la perfezione che a un certo punto viene messa in discussione, è l'età che avanza, è la gamba che non può più essere quella di dieci anni fa. Lui è la faccia delle contraddizioni: può diventare il più determinante di tutti, oppure può trasformarsi nel peggiore dei giocolieri inutili. L'anno scorso il Corriere della Sera lo attaccò: “E' un purosangue che quando ‘sente' la gara si eccita a tal punto da fare la differenza, diventando l'interlocutore privilegiato di Kaká. Quando però lo scenario è poco stimolante, eccolo trasformarsi da dottor Jekyll in mister Hyde: non più decisivo ma indolente, vanesio, pressappochista. E il Milan fatalmente resta al buio. Al grande calcio di Seedorf sono legate certe sfide storiche, le partite che hanno fatto la differenza e che rimarranno per sempre nella memoria collettiva dei tifosi. Senza andare troppo a ritroso nel tempo, ricordiamo il successo sul Bayern dello scorso anno oppure il 3-0 che ha marchiato la notte perfetta con il Manchester United. All'Olimpico, giusto una settimana fa, motivato da un cocktail fatto di visibilità e di prestigio, Seedorf ha narcotizzato la Roma: uscito lui, i giallorossi hanno subito ribaltato il risultato di una partita in cui avevano grandemente sofferto. Tre giorni fa, nel Milan strapazzato dalla Samp, l'olandese ha invece giochicchiato in punta di bulloni. Oggi a Torino, contro i granata, anche se il palcoscenico non è dei più luccicanti, il Milan si gioca credibilità e futuro prossimo. Come si regolerà Seedorf? Si darà al calcio metafisico, all'astrattismo tout court, oppure deciderà di fare Pasqua con noi, tornando sulla Terra?”.
L'organizzazione serve a questo. Che cos'è il modello sennò? E' qualcosa che maschera la magagna, copre il buco, riporta al massimo anche chi non lo è. Clarence fatica perché tutti gli altri faticano. Però il paradosso è che se gira lui possono girare gli altri, mentre se gli altri girano non è detto che lui ce la faccia. E' il ruolo che lo condanna: quella cerniera tra i fenomeni che gli stanno davanti e gli altri del centrocampo, è il ragionamento, l'ultimo tocco, l'interlocutore di Pirlo, l'alternativa o il suo gemello. Di più: da lui vogliono anche i gol, perché ha il dribbling, l'inserimento, il tiro. Bisogna ricordarsi di Monaco, quarti di finale di Champions 2007: il gol, poi l'assist di tacco per Inzaghi. Tanto, tantissimo. Abbastanza da far togliere il cappello a Kakà: “Per il Milan è essenziale che Clarence giochi. Con lui in campo siamo al massimo livello. E' stato incredibile, assolutamente fantastico. Se uno riesce a fare questo, allora è un grande giocatore”.
Quello è lui.
Le gambe enormi e agilissime, l'uno due destro-sinistro, il tiro forte e secco rasoterra, l'invenzione che smarca il compagno davanti al portiere. E' un atipico, per movimenti e posizione: se ne sta a sinistra, oppure a destra, s'accentra quando lo sente, quando lo vuole. Non è un trequartista classico: Clarence adora stare anche di spalle alla porta, difendere il pallone come un centravanti. Nella Samp ogni tanto giocava anche da prima punta: impossibile togliergli il pallone. Copre, copre e copre ancora: il corpo protegge il possesso palla. Come fai a fregarlo? Se c'è, con la testa e anche con il fisico, è praticamente impossibile. In questo è meglio di Kakà, di Ronaldinho e di molti altri: difficile che s'allunghi il pallone, che perda un controllo, che sbagli uno stop. I fondamentali glieli hanno insegnati come un'ossessione all'Ajax. A 32 anni non ha più niente da imparare e molto da far vedere agli altri: chi è che stato il modello di precisione di Gattuso? Rino è migliorato vedendo come tratta il pallone gente come Pirlo e Seedorf. Il problema non è tecnico. Forse è questione di testa e di muscoli. Clarence senza dirlo lo ammette. Lo ha fatto qualche giorno fa nel suo appuntamento video con i fan sul suo sito Internet. Era in macchina in direzione di Milanello, prima di andare a Lugano a giocare un'amichevole. “Gattuso s'è infortunato con la Nazionale. E' una perdita importante per noi e lo sarà per qualche settimana. A volte si gioca una volta ogni tre giorni. Non è facile. Forse bisognerebbe ridurre il numero delle partite, per ridurre il numero degli infortuni. Lo so che ci sono i diritti televisivi, le esigenze di tutti, però si gioca troppo”.
Troppe partite.
Lugano è stata la dimostrazione. Lugano è stata la punta della crisi del modello Milan: non si perde con una squadra della serie B svizzera, neanche in amichevole, neanche per gioco. Niente idee, niente gambe, niente testa. Troppo stress, troppi match, troppe prestazioni. Lo dicono tutti e lo dice anche lui: come fai a tenere il ritmo per tutto l'anno? Il talento non si può ripetere all'infinito, ha bisogno di freschezza, di elasticità. Gliel'ha detto anche il direttore della Scala, Daniel Harding. Lui che non ha altro calciatore di riferimento se non Clarence. Perché forse bisogna essere un po' artisti per capire fino in fondo Seedorf. Uno che non è appariscente come qualcun altro, ma che ha più classe di molti altri. Chi c'è di più tecnico nel campionato italiano? Si possono contare e non arrivi a dieci. Seedorf c'è da sempre e peccato che Van Basten se ne sia accorto troppo poco. Non è stato un grande rapporto quello con la Nazionale. E' andato, tornato, non è stato più convocato, poi è stato richiamato. Ora boh. La sua Olanda non aveva un modello, forse è stato questo il guaio. Clarence ha bisogno di una squadra da coccolare, ma la Nazionale è sempre stata solo un puzzle di giocatori diversi da mettere insieme. Solo all'Europeo di quest'estate non era così, però Seedorf non c'era. Van Basten è stato l'unico con cui ha litigato. Non si ricordano altre tensioni, altre difficoltà. E' un tipo tranquillo, Clarence. Qualche anno fa ebbe un piccolo battibecco a distanza con Ronaldo. Gli avevano chiesto di commentare l'addio di Ronnie all'Inter: “Deve imparare a stare zitto. Io sono suo amico, ma dico che deve imparare a parlare di meno, perché a fare promesse si gioca col cuore della gente”. Seedorf non ha una lingua leggera: non litiga, ma non dice neanche banalità. L'anno scorso, dopo la morte di Gabriele Sandri, fu l'unico di tutta la serie A che si domandò perché mai i calciatori dovevano giocare con il lutto al braccio. Lui non conosceva l'ultrà laziale, non sapeva perché era morto e prima di prendere una qualsiasi posizione voleva capire bene la situazione. “No grazie, io non la voglio”, fu la risposta al magazziniere del Milan che negli spogliatoi gli aveva offerto la fascia nera da mettere al braccio per la partita contro l'Atalanta. “Non abbiamo indossato il lutto per la morte del fratello di Kaladze non mi sembra giusto indossarlo adesso per una persona che non conosciamo e che non sappiamo perché è morta. La Federazione e la Lega Calcio non fanno mai niente quando la situazione è legata ai giocatori”. Seedorf è poi andato oltre dicendo la sua sulla sospensione della partita per motivi di ordine pubblico: “Il calcio ha perso ancora una volta. Speriamo che il sistema possa migliorare, ma mi sembra che chi si deve prendere le proprie responsabilità non se le prenda mai”.
A volte parla da sindacalista, lui che invece è un imprenditore. Modello Milan, anche qui. Questo funziona, adesso. Clarence ha messo su prima un team del motomondiale. Gli hanno chiesto se ne capiva qualcosa: “No, non sono mai andato in moto. Però che c'entra? Nemmeno Massimo Moratti ha mai giocato a calcio”. Poi ha creato On International, una società di management sportivo ed artistico. Studia, pure. E' iscritto a un corso della Bocconi, poi fa il consulente dei consulenti: l'Accenture si rivolge regolarmente a lui per svolgere seminari ed eventi. Sa parlare di tutto: di pallone, di politica, di musica, di storia, di economia. E' stato testimonial di Milano per l'Expo. Ecco Milano. Non si è ancora capito se gli piaccia o no. E' secondario, probabilmente addirittura insignificante. Vivrà ancora qui e qui farà affari. Tre anni di contratto ancora significano che finirà qui, a prescindere dal modello Milan. Sa che Ancelotti stravede per lui. L'ha sentito quella volta che Carletto ha detto: “Devo fare i complimenti a tutti, ma se c'è uno che li merita più degli altri, quello è Clarence”. Certe cose tra centrocampisti si capiscono in fretta, anche se uno era mediano e l'altro è più fantasista. Che poi non è neanche quello Seedorf. Che ruolo ha? E' difficile da codificare, non c'è altro calciatore più autonomamente diverso da una categoria. Come se fosse un free lance fondamentale, uno che non puoi chiudere in un'etichetta, ma senza il quale è impossibile giocare. Mezzapunta, regista, interno, boh. Va bene tutto e va bene niente. Forse non riesce a spiegarlo neanche lui. Ora no di certo perché non è aria: la testa bassa è il sintomo di un momento che funziona così e così. Hanno giocato male tutti e però forse lui più degli altri. Poi un rimpallo l'ha rimessa su: mento in alto e sguardo dritto. La Lazio è stato l'inizio, l'Inter è stata la conferma. Il modello Milan tornato, ripreso, reimpostato. Bisogna solo capire se è sospeso, o se si è rimesso in moto del tutto. Le gambe di Clarence mulinano, più dietro di prima, dove si vede meno, dove ora conta di più. E' lui che gestisce l'intensità: avanti, indietro, corti, lunghi. Tiene il pallone, dribbla, tocca indietro. Testa alta. Scontato, banale, semplice. Indispensabile.
Il Foglio sportivo - in corpore sano