La scoperta del tramonto/4

Sembra abbia sempre le cuffie dell'iPod e la testa altrove. L'innamoramento non c'è più

Annalena Benini

Ci sono cose in cui Walter Veltroni va davvero forte, è insuperabile, smagliante, credibilissimo. Queste cose non comprendono un'opposizione reale. Queste cose sono l'utopia, il sogno, il respiro jazz.

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    Ci sono cose in cui Walter Veltroni va davvero forte, è insuperabile, smagliante, credibilissimo. Queste cose non comprendono un'opposizione reale. Queste cose sono l'utopia, il sogno, il respiro jazz. Quando Walter fece quella citazione sudamericana che gli provocò una specie di incoronazione a nuova speranza del mondo libero, aveva già raccontato molto di sé: “L'utopia se ne sta all'orizzonte e non si lascia raggiungere, tu cammini dieci passi e l'orizzonte si allontana dieci passi più in là, e allora a cosa serve l'utopia? A questo serve: a camminare”.

    Walter è un grande camminatore, ma verso il nulla. Non ha l'arrivo, non ha il pensiero delle cose quotidiane, non ha il respiro corto, sa dire dell'avversario soltanto banalità da girotondo, cose capaci di far felice Antonio Di Pietro, ma niente di più. “Democrazia svuotata”, “modello Putin”, “pensiero unico”, “ struttura autoritaria”, sono frasi da poco, già sentite qualche legislatura fa e sconfessate dalla realtà, non infiammano i cuori, non fanno venir voglia di combattere con lui, di credere di nuovo in lui. Anche i giornali che l'hanno sempre sostenuto si sono disamorati, pubblicano foto di Walter con la camicia azzurra chiazzata di sudore, oppure primi piani delle sue scarpe impolverate, che hanno tanto camminato senza arrivare da nessuna parte. Perché è come se lui per primo non ci credesse, ma dicesse tanto per dire, affinché non gli si rimproveri di non fare opposizione, di non cantargliele a quel settantaduenne col lifting da rinfrescare periodicamente che, però, misteriosamente continua a vincere, a batterli.

    Davvero Walter sembra con la testa altrove: a New York, a Robert De Niro, al prossimo romanzo, a quella canzone ancora da scaricare, all'Africa, a quant'era bella la Notte Bianca, a Charles Dickens. L'unica parte che funziona nella sua intervista da leader dell'opposizione è quella su Dickens, infatti: “Era il migliore e il peggiore dei tempi, era il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l'inverno della disperazione”. Lui va alla grande nelle citazioni, va alla grande quando può volare alto, staccarsi dalla realtà, raccontare i fatti suoi e i suoi scrittori preferiti, far ascoltare musica, far vedere film, far immaginare un altro mondo possibile e irraggiungibile. La bella politica, appunto, cioè un bel racconto, belle immagini, un po' di d'aria (non è roba da poco, e lui è l'unico che lo sa fare così bene). Ma adesso c'è un Partito democratico semi abbandonato, ci sono un sacco di cose da fare, c'è un leader distratto: sembra che abbia sempre le cuffie dell'iPod infilate.

    “Non bisogna lasciarsi vivere”, aveva detto Veltroni in una delle sue lezioni a teatro, quelle in piedi sul palco in cui poi crollava tutto per gli applausi. Anche se fa un po' Venditti, Walter è a quel punto lì. A parte comprare casa a New York, da bravo padre amorevole, e andare a feste organizzate dal “Pd per gli italiani nel mondo”, abbracciare Ingrid Betancourt, incontrare dieci volte al giorno Kathleen Kennedy, a parte far intravedere al paese questa prossima grande manifestazione di piazza, non ci sono scosse. (Anche se dice che sui suoi divani si sono messi d'accordo Colaninno ed Epifani alla prova Alitalia). E' come se gli avessero spento il fuoco della passione, come se non lo riguardasse più, come se fosse passato a lui per primo l'innamoramento. Una storia finisce, e nessuno dei due ha il coraggio di dire: è stato bello ma adesso davvero non me la sento più, non mi fai battere il cuore, anzi forse mi stai perfino sulle palle. Walter Veltroni è lì, o almeno sembra: in bilico tra la propria voglia di mandare tutti a quel paese e la voglia di questo paese di mandarlo al diavolo e trovarsi qualcun altro per fare l'opposizione seria, per riprovarci, con meno sogno ma più marcia verso il traguardo.

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    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.