Sarko e gli stati generali
"Come volete che la gente compri il giornale in edicola se lo può leggere gratis su Internet?”. La domanda, disarmante e provocatoria, era stata lanciata dal presidente francese, Nicolas Sarkozy, la primavera scorsa, parlando alla radio Rtl. “E' vero che così aumentano i lettori, ma non aumentano gli introiti".
"Come volete che la gente compri il giornale in edicola se lo può leggere gratis su Internet?”. La domanda, disarmante e provocatoria, era stata lanciata dal presidente francese, Nicolas Sarkozy, la primavera scorsa, parlando alla radio Rtl. “E' vero che così aumentano i lettori, ma non aumentano gli introiti. Infatti, se il giornale è gratuito, non vedo perché dovrei andarlo a comprare. C'è un problema di diversificazione, un problema di soglie… bisognerà creare gruppi multimediali, mentre oggi si fa di tutto per evitarli”.
Da allora l'interrogativo ha fatto il suo corso. E il 2 ottobre all'Eliseo lo stesso Sarkozy ha inaugurato gli stati generali della stampa francese, dichiarando guerra all'“immobilismo, al corporativismo e alle cattive abitudini”. Voleva aprire un dibattito sull'indipendenza della stampa e le garanzie alla libertà di opinione? Ha dato mandato a Emmanuelle Mignon, consigliere di stato già addetta a questioni delicate come l'islam e le sette, di organizzarlo e l'ordine del giorno ha preso forma. Divisi in quattro gruppi di lavoro, professionisti ed esperti si riuniranno per due mesi per discutere dei problemi connessi al mestiere del giornalismo, alle conseguenze della rivoluzione digitale, alla concentrazione dei gruppi e alla distribuzione. Sarkozy è stato come al solito chiaro. “Non credo che arriverà il giorno in cui nessuno vorrà comprarsi il giornale la mattina – ha detto – Ma è una follia pensare che la pubblicità finanzierà tutta l'informazine”. La gratuità, ha spiegato, è “una cosa mentale e segna la morte della stampa scritta”, anche se si è ben guardato dal contrapporre la free press alla stampa a pagamento. La stampa, dunque, deve diventare “redditizia”, ché è poi “il modo migliore per essere indipendenti”.
Il problema in realtà è urgente. Da anni, infatti, la stampa francese conosce un calo delle vendite, che s'accompagna a una riduzione inesorabile degli introiti pubblicitari (e molti ora temono gli effetti negativi della crisi finanziaria), mentre i costi di fabbricazione sono in aumento. Sarkozy, del resto, per spiegare la crisi della stampa ha sempre insistito su due aspetti chiave, i pochi punti vendita e la sottocapitalizzazione. Che esista un problema di distribuzione è un fatto noto. Les Nouvelles Messageries de la Presse Parisienne, nate nel dopoguerra per garantire la circolazione di tutti i giornali, si sono trasformate negli anni in un'onnipotente corporazione, che in regime di quasi monopolio impone tariffe draconiane e percentuali inarrivabili. La riforma delle Nmpp adesso è all'ordine del giorno.
Esiste poi il problema della sottocapitalizzazione. I grandi editori non investono sulla stampa, perché la legge sull'audiovisivo vecchia ormai di vent'anni glielo vieta, fissando per ogni gruppo soglie di concentrazione al 49 per cento di capitale per una tv, al 15 per una radio, e al 5 per un quotidiano. Sarkozy ha sempre detto di voler far emergere “gruppi di comunicazione forti”, dando a intendere una riduzione delle soglie di concentrazione. L'idea è di consentire ai grandi gruppi di svilupparsi, come ha spiegato Emmauel Mignon in un re forum pubblicato da Libération. Il che non vorrà dire attentare al pluralismo, anche se data la consuetudine tra Sarkozy e i magnati della stampa francese, Dassualt, Lagardère, Martin Bouygues, Bernard Arnault e Bolloré, molti ora paventano che potrebbe egli stesso ispirarne la riorganizzazione.
Eppure, un recente rapporto affidato al segretario nazionale dell'Ump Danièle Giazzi, ha stilato una trentina di raccomandazioni. Fra queste figura la liberalizzazione del paesaggio mediatico, l'apertura del capitale dell'Agence France Presse, per trasformarla in una società anonima, l'abolizione delle norme antitrust, per consentire allo stesso gruppo di possedere un canale tv, una radio e un quotidiano nazionale. Il fine insomma è rafforzare il pluralismo, per garantire l'indipendenza della stampa. Per raggiungerlo non bastano gli investimenti e la concorrenza, servirà anche un osservatorio del pluralismo della stampa, e nuove prerogative per il Consiglio superiore dell'audiovisivo, organismo a metà strada tra la nostra commissione parlamentare di vigilanza e l'autorità delle comunicazioni, ma con poteri esorbitanti di nomina dei responsabili delle reti pubbliche. Infine, si dovranno sviluppare forme di mecenatismo, concentrare gli aiuti di stato alla stampa di informazione generalista e politica, senza trascurare la free press e i siti di informazione sul web, che in Francia, minaccia a parte, costituiscono una risorsa di prima grandezza con dieci milioni di blogger per centinaia di migliaia di siti.
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