Il cacciatore di libri

Giulio Meotti

I talebani lo hanno sbattuto in prigione con l'accusa di diffondere materiale “satanico”. Hanno sequestrato e bruciato i suoi libri in un grande falò pubblico. Eppure Shah Mohammed Rais è ancora lì, a Kabul, da molti anni gira il paese per diffondere la cultura afghana con la sua libreria ambulante dopo averla salvata dalla furia dei suoi inquisitori.

    I talebani lo hanno sbattuto in prigione con l'accusa di diffondere materiale “satanico”. Hanno sequestrato e bruciato i suoi libri in un grande falò pubblico. Eppure Shah Mohammed Rais è ancora lì, a Kabul, da molti anni gira il paese per diffondere la cultura afghana con la sua libreria ambulante dopo averla salvata dalla furia dei suoi inquisitori. Suo malgrado, perché ha denunciato l'autrice norvegese Asne Seierstad, Rais Rais è ormai noto come “Il libraio di Kabul”, titolo di un celebre romanzo. Rais è stato un perpetuatore e un collezionista di materiale destinato a morire sotto il regime degli studenti di Allah, i talib, che vietavano alle donne di uscire sole da casa, che bandivano qualsiasi musica che non fossero le melodie coraniche lette rigorosamente da voci maschili, che imponevano il divieto di rasarsi, delle immagini, della danza nelle feste di matrimonio, per i sarti di confezionare vestiti alle donne. Fino alla censura totale per qualsiasi tipo di gioco o divertimento, sino all'embargo contro ogni volo di aquilone.

    Era il 1999 e gli squadroni inviati dal mullah Omar, molti dei quali non sapevano leggere, gettarono tra le fiamme le opere antiche di Rais. Lui si mise a piangere davanti alle fiamme. Oggi i ricercatori delle principali università di tutto il mondo, a partire da quelle americane, sono pronti a pagare cifre enormi per le sue pubblicazioni, anche solo per poterle fotocopiare. Anche soltanto per poterle visionare. “Non dimentichiamo mai che la principale ragione della guerra in Afghanistan sono i talebani che sostengono al Qaida e il terrorismo nella regione” spiega Rais in questo lungo colloquio con il Foglio. “Dietro questa guerra, che è una minaccia alla cultura afghana, c'è una più grave ideologia che annienta la tradizione del popolo. I talebani sono responsabili di un attacco culturale all'Afghanistan, soprattutto per aver ospitato Osama bin Laden e al Qaida. Sfortunatamente gli islamisti sono di nuovo all'offensiva. Prima del loro avvento al potere, l'Afghanistan aveva una grande ricchezza etnica. Dopo il loro arrivo, per fare un esempio, i molti indiani che vivevano in Afghanistan sono emigrati in Europa o sono tornati in India. Così è avvenuto anche per quelli di origine iraniana. I talebani hanno bandito le celebrazioni del nuovo anno che risalivano al 1387 con la crescita di una nazione libera. Hanno bandito i giochi e i festival, come gli scacchi, i racconta storie che sono così importanti di inverno specie per donne, bambini e anziani, ma anche i giochi di aquiloni. E poi c'è stata la distruzione di due giganti di 55 metri e 33 metri, i buddha di Bamyan. I talebani bandirono i libri attraverso una speciale lista fatta arrivare a ogni libreria, compresa la mia. C'erano i libri con immagini di esseri viventi, i libri importati dall'Iran, i libri di altre religioni, i libri che sostenevano l'occidente e gli Stati Uniti. Era una lista molto lunga”.

    Metà del paese è ancora in guerra sotto il dominio talebano. “In questa situazione non possiamo aspettarci grandi cambiamenti, la guerra ha fermato la prosperità culturale, le donne non sono al sicuro in quelle zone e le ragazzine non possono andare a scuola sotto i talebani. Nelle zone pacificate invece, al centro e al nord, la gente si sente al sicuro, beneficia delle opportunità culturali differenti che sono arrivate con gli americani e gli europei. Ci sono segnali positivi di cambiamento, ci sono entusiastiche corse di cavalli, la celebrazione di diversi festival e manifestazioni, ci sono i combattimenti dei cani, gli aquiloni, le gare di uccelli e molto altro ancora. In queste zone l'economia va meglio, un certo numero di intellettuali afghani sta lavorando con le forze straniere per tradurre le differenti culture. Una considerevole letteratura è stata prodotta dal 2001 e lentamente il tramonto della letteratura di guerra ha lasciato spazio alla normale morale afghana. Io ho venduto 1650 copie di Shakespeare in persiano dal 1982 al 1992 e soltanto 125 dal 1992 al 2002 sotto i talebani. Da allora abbiamo importato 12.000 copie di Shakespeare e le abbiamo vendute tutte. Questo dimostra la libera partecipazione afghana alla cultura. Resta il pericolo della povertà”.

    Rais è chiarissimo quando spiega come la maggioranza del popolo afghano rigetti l'idea islamista dei talebani. “Il padre del misticismo islamico, il sufismo, è nato in Afghanistan e in occidente è noto come Rumi, circa 900 anni fa. E' stato il primo essere umano ad aver iniziato la guerra alla mentalità oscurantista e all'islam fanatico introducendo la saggezza dell'islam con la matematica, la filosofia, l'arte, l'astronomia, la medicina e la geometria nei libri di scuola. I talib e i mullah hanno rigettato tutto questo e così è iniziata la guerra. Da allora gli afghani stanno cercando di tornare liberi dagli estremisti islamici”.
    Rais ricorda quegli intellettuali ebrei che nell'Europa dell'est misero in salvo i tesori della cultura ebraica dagli sgherri di Alfred Rosenberg. “La resistenza e la lotta in Europa e nei paesi asiatici sono molto differenti, da trentacinque anni molti pochi di noi stanno cercando di salvare il patrimonio culturale del nostro paese, sfortunatamente siamo pochi a fare questo lavoro, in tanti provano invece a distruggerlo. I talebani hanno bruciato i miei libri e le mie cartoline nel 1999, hanno arrestato i miei dipendenti, distrutto i musei afghani e polverizzato i miei amati buddha”.
    Mentre parliamo, Rais si trova in Europa.

    “Tornerò in Afghanistan, nella mia città Kabul, dopo la fiera del libro di Francoforte di ottobre. Quando i talebani entrarono nella mia libreria, distrussero per prima cosa i libri illustrati. Secondo loro è assolutamente proibito adorare le immagini. Mi dissero di piantarla di pubblicare e di comprare questo materiale. Ma per me era fondamentale continuare a fornire ai bambini afghani la possibilità di sognare con le immagini. Due anni prima di lanciare il mio progetto di libreria ambulante che è arrivato in ogni angolo remoto del paese spendendo centomila dollari americani, numerosi amici mi dissero di non sprecare il denaro in questo progetto così rischioso in un Afghanistan mai salvato. Io risposi che quando si ama il proprio paese si deve restare nei tempi difficili. Oggi l'Afghanistan è di nuovo in difficoltà, e questi progetti non devono essere promossi in tempo di pace, ma di crisi. Dobbiamo preservare la cultura. E tenere aperta la finestra della speranza agli afghani”. In questi ultimo anno abbiamo assistito a una recrudescenza martirologica della guerra fra Kabul e i talib. “Il terrorismo suicida, il martirio, è del tutto estraneo alla tradizione afghana. A inventare questo metodo furono i giapponesi, oggi è un'arma dai grandi vantaggi. E chi la sfrutta sono i talebani e al Qaida provenienti dalle zone confinanti con il Pakistan, dove la gioventù afghana è sottoposta al controllo degli islamisti. E' un fenomeno che in Afghanistan cresce nella povertà. Sono gli arabi ad aver introdotto in Afghanistan il martirio. La prima volta avvenne quando uccisero il leader del nord, Ahmad Massoud. Fu il via libera all'11 settembre. Con una sola vita da sacrificare riescono a distruggerne molte. E' un'arma incredibile”. Il kamikaze è il segno più evidente e scintillante della differenza fra cultura afghana e visione talebana.

    “Le differenze fra la fede ordinaria degli afghani e quella dei talebani sono come il cielo e la terra. Gli afghani comuni vogliono uomini e donne che spalla a spalla lavorano a ricostruire il paese. I talebani ignorano la forza degli afghani e preferiscono imprigionare le donne nelle proprie case. Anche nelle zone più sperdute dell'Afghanistan la gente sogna di vedere un giorno bambini e bambine insieme andare a scuola, noi vogliamo approfittare dell'attenzione del mondo per ricostruire, ma i talebani diffamano gli afghani con il loro sostegno ai terroristi e ai produttori di droga. I talebani non hanno da offrire nulla alla popolazione. Vogliono soltanto imporre la propria visione al popolo afghano, i quali si oppongono intimamente alla loro idea di islam. Il parziale supporto della popolazione ai talebani dobbiamo spiegarlo come il fatto che questa gente non ha davvero alternative. I talebani significano ordine. E poi c'è la questione della povertà. Il governo centrale ha grandi colpe nella ricostruzione del paese dopo il 2002. Se non ci sono alternative, finisci per appoggiare i talebani. In alcune parti del paese, oltre ai talebani, non ci sono partiti, gruppi e movimenti alternativi”. Rais ricorda le colpe dell'occidente. “Questa più che una guerra, è un gioco. E' una guerra quando il più forte sconfigge il più debole e finiscono le ostilità. In Afghanistan non è così. Quando i talebani governavano l'Afghanistan, io vivevo a Kabul. Quando presero il potere, i media e le potenze occidentali rimasero a guardare. Dalla Bbc all'intelligence dei paesi occidentali, nessuno fece nulla. L'occidente ha guardato inerme i talebani che bombardavano i buddha di Bamyan. Come le torri gemelle di New York, i talebani stavano annientando la diversità”.

    Sono cinque le donne afghane che hanno sfidato l'ideologia dei talebani. Malalai, Shaima, Safia, sono state uccise, Zarghuna è costretta alla fuga. Solo Jamilla ha deciso di resistere. Shaima Rezayee era la conduttrice del programma televisivo “Hop” sulla prima tv indipendente afgana. Presentatrice tv afghana di appena ventiquattro anni, Shaima è stata uccisa con un colpo alla testa. Come Malalai Kakar. Rezayee, che sotto i talebani era costretta a indossare il burqa come tutte le donne afghane, aveva raccontato che “quando la gente mi riconosce per strada ci sono molti che mi insultano, ma molti di più sono quelli che mi incoraggiano”. Safia Amajan era a capo dell'ufficio provinciale del ministero per gli Affari femminili dal 2002. Un compito ingrato e a dir poco rischioso nella capitale dei talebani. Già negli anni bui in cui le donne erano private di ogni diritto e a cui era stato vietato di uscire di casa da sole, l'ex insegnante Safia aveva gestito una scuola segreta per le ragazze che osavano sfidare famiglie e potere. Negli ultimi quattro anni Safia aveva fondato sei scuole nella sola Kandahar, insegnando a oltre mille donne e ragazze cultura di base ma anche cucito e cucina per dare loro un lavoro.

    Una settimana fa i talebani hanno assassinato la poliziotta afghana più famosa, Malalai Kakar. Donna. Poliziotta. Liquidatrice di killer islamisti. Avversaria del burqa. Quindi un obiettivo allettante per i guerriglieri di Allah. “In Afghanistan abbiamo un gap di leader nazionali e questo è un grave problema per noi. Ad esempio Ahmad Shah Masoud non era un leader amato da tutti, era una figura carismatica tra i suoi seguaci ma anche un nemico per una buona parte del paese. Credo che il sacrificio di Malalai Kakar sia una manifestazione della forza popolare nel rigetto dell'odio e della distruzione. Malalai Kakar proveniva dalla stessa etnia di mia moglie, i Kakar, sono dei celebri pashtun. Era una donna molto giovane quando entrò nell'accademia di polizia. E' cresciuta lì. Si muoveva a Kandahar, la capitale dei talebani. Un giorno riuscì a uccidere tre islamisti. Non glielo hanno mai perdonato”.

    Quando Malalai era a Kabul, si fermava sempre da Rais. “Veniva sempre nella libreria, domandava della mia famiglia, parlavamo sempre. La sua morte è una notizia davvero triste, perché non era la sola donna nella polizia afghana e non è la prima donna di valore ad essere uccisa dai talebani. Tre anni fa Safiya Amajan, responsabile della questione femminile a Kandahar, era stata assassinata dagli islamisti. Era molto famosa. I talebani stanno colpendo contro la polizia, le donne, la gente ordinaria. Non si curano delle loro vite, non si curano dei civili. Il burqa non è nel dna e nella storia afghana. E' stato introdotto dalle forze britanniche che si trovavano qui nel XIX secolo. Malalai Kakar deve il suo nome da una eroina, Malalai, che combatteva per le donne afghane contro gli inglesi nel 1880. E' un nome leggendario fra i pashtun. Malalai Kakar non soltanto visitava la nostra libreria, vi portava anche una serie di altre donne. Era una donna molto intelligente e una madre premurosa dei suoi figli, amava sempre regalare dei libri ai suoi bambini e amici, è molto inusuale per gli afghani regalare libri”.

    Qual era il sentimento più diffuso fra gli afghani durante il regno talebano? “Beh, il silenzio. Il silenzio”. Sul suo autobus Rais ha scritto: “I libri e i fiumi”. “Perché i libri sono come i fiumi, portano la vita. Mille anni fa uno studente andò dal proprio maestro e gli fece una domanda. Il maestro gli rispose di andare a cercare nei libri. Lo studente dopo un po' tornò da lui e gli disse che non aveva trovato nulla nei libri. Il maestro rispose ancora di cercare nei libri perché se si cerca bene in un fiume si può trovare una perla. Da qui ho deciso di chiamare il mio bus ‘libri e fiumi'. Io sono ottimista. Perché mi domando, pensando alla guerra, ai talebani, all'oriente all'occidente sotto pressione, ‘perché? Perché gli afghani devono soffrire?' E' su questo che c'è da essere ottimista. Nel marzo del 2006 in quaranta giorni abbiamo visitato cinque province del nord con ventimila chili di libri educativi. Abbiamo sostato nelle aree universitarie e gli studenti accorrevano felici di comprare i libri. Fu davvero come un fiume in piena in una terra arida”.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.