Né con né contro

Marianna Rizzini

I sociologi della politica si ritroveranno presto per le mani un nuovo fenomeno da studiare, è certo, perché la “manifestazione propositiva” – espressione con cui il Pd ha ribattezzato il corteo “Salva l'Italia” del 25 ottobre prossimo – è un ossimoro mai visto sulle nostre piazze.

    Roma. I sociologi della politica si ritroveranno presto per le mani un nuovo fenomeno da studiare, è certo, perché la “manifestazione propositiva” – espressione con cui il Pd ha ribattezzato il corteo “Salva l'Italia” del 25 ottobre prossimo – è un ossimoro mai visto sulle nostre piazze. Piazze per tradizione poco adatte al contestare costruttivo di cui parla Goffredo Bettini o al costruire critico a cui allude Walter Veltroni con il suo sì al dialogo “ma anche” al corteo e con il suo inno “all'opposizione di responsabilità” e alla “piazza meno traumatica di Berlusconi al Bagaglino”. E dunque nel Pd, in questi giorni, si cerca di capire come essere “fermi ma morbidi”, idea che seduce Enrico Letta, e come passare dai “ma anche” ai “né né”. Lo scopo è fare, appunto, un'opposizione “né gridata né di sua maestà”, come suggerisce il ministro ombra dell'Economia Pierluigi Bersani, e consolidare “l'alternativa che non sta né con l'estrema sinistra né con Di Pietro”, come raccomanda il senatore Giorgio Tonini.
    Quale che sia la scelta finale dello slogan, comunque, è evidente che il suddetto ossimoro – manifestazione propositiva – ha già prodotto una piccola gaffe mediatica e vari problemi di logistica, per usare il gergo dell'epoca in cui le manifestazioni erano ancora manifestazioni e basta. Nella giornata di lunedì, infatti, il numero due del Pd, Dario Franceschini, intervistato da Repubblica, si lanciava in un'invettiva contro la linea economica del Cav., definita “macelleria sociale”, proprio mentre, sul Corriere della Sera, il collega Enrico Letta lodava il decreto anticrisi di Giulio Tremonti e diceva “sì” all'unità nazionale invocata da Pier Ferdinando Casini. Non che nel Pd ci siano due linee, ché il partito si vanta di non avere correnti (Red e Quarta Fase ci tengono a non definirsi tali). E' l'idea di piazza propositiva, in sé, a costringere i poveri politici democratici a equilibrismi dialettici di grande arditezza.

     

    La Melandri scappa da Barack
    Peggio va nella pratica. Trattasi, in sostanza, di studiare una strategia di controllo dei due tronconi di corteo che confluiranno al Circo Massimo, a Roma, cercando al contempo di essere “contro” e “per” – contro il governo (ma non troppo) e per il paese (ma senza dimenticare che si è pur sempre contro). Il fatto è che il manifestante medio, non raggiunto o non convinto dai “ma anche” o dai “né né” di Veltroni, porterà con sé, magari, il solito striscione con scritto “No Cav.”, e magari griderà qualche filastrocca non proprio propositiva, anche se non truculenta come la tremenda “cloro al clero, diossina alla Dc, piombo piombo piombo all'Msi”, sopravvissuta ai Settanta e ricomparsa durante il governo Berlusconi 2001-2006, con parole adattate ai nuovi governanti (“cloro al Cavaliere, diossina al suo stalliere, piombo piombo piombo al sistema di potere”, udita in occasione della marcia anti Bush a Roma, nel giugno 2004). Non si vedrà nulla del genere, ovviamente e per fortuna, epperò nessuna ipotetica commissione di censura Morando-Bettini potrà fermare il militante con cartello antitremonti o antigelmini, né potrà far sparire le redivive bandiere arcobaleno issate dai pacifisti (orripilati per i soldati in strada). Anche perché su quello che W. chiama “ciò che riguarda la vita delle persone”, ovvero i temi della piazza del 25, c'è ancora più confusione. Per un Veltroni critico sulla scuola voluta da Mariastella Gelmini, infatti, c'è un Franco Bassanini (ex ministro della Funzione pubblica di centrosinistra) che dice: “Un'opposizione seria non può fare la guerra a misure che essa stessa ha voluto quando era al governo”. Il marasma si aggrava, poi, se si tocca l'argomento primarie – Rosy Bindi e Roberto Giachetti sono inferociti contro i colleghi che, a loro dire, le boicottano dall'interno.
    Si capisce che, a questo punto, è quasi impossibile far sbollire gli spiriti dei militanti che da ben cinque mesi attendono questo momento – la manifestazione del 25 ottobre fu indetta, in un periodo di smanie revansciste, a inizio estate. “Non li possiamo deludere”, ha detto persino l'economista e senatore Pietro Ichino, tramutatosi improvvisamente in un riformista di piazza, preoccupato per “le centinaia di migliaia di militanti che hanno prenotato la propria presenza a Roma” (che sia un wishful thinking?, devono aver pensato, leggendo Ichino, i funzionari piddì che temono, se non proprio il flop, un'affluenza moderata). Tale e tanto è lo stress, dunque, che c'è chi preferisce più concrete battaglie, prima fra tutti Giovanna Melandri, ministro ombra della Comunicazione che domani volerà in Pennsylvania a fare campagna “porta a porta” per Obama, al grido di “questi sono i momenti nei quali si deve obbedire”.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.