Il mio cuore umano, storia di una cantautrice di campagna
Nada non doveva nascere (e non voleva cantare), così ha scritto un romanzo
Quando la mamma di Nada rimase incinta (una sera di Carnevale che erano andati a ballare in un paese vicino e lei ballò tanto che le si consumarono i tacchi e continuò a piedi nudi, la notte tardi lui fermò la vespa in una stradina di campagna e c'era la luna piena), il medico le disse che assolutamente non poteva portare a termine quella gravidanza.
Quando la mamma di Nada rimase incinta (una sera di Carnevale che erano andati a ballare in un paese vicino e lei ballò tanto che le si consumarono i tacchi e continuò a piedi nudi, la notte tardi lui fermò la vespa in una stradina di campagna e c'era la luna piena), il medico le disse che assolutamente non poteva portare a termine quella gravidanza. Aveva già avuto una figlia, un aborto spontaneo e un esaurimento nervoso “che non si esaurì mai”, scrive Nada in questo romanzo che è il romanzo della sua famiglia e della sua infanzia, anni Cinquanta e Sessanta nella campagna toscana, ci voleva il pullman per arrivare a Livorno. “Il mio cuore umano” (Fazi Editore) è la storia di una bambina magra che non doveva nascere perché era troppo pericoloso. La madre doveva prendere delle medicine a giorni alterni per interrompere tutto, ma finì che non volle prenderle, fece come sempre di testa sua. “Se lo devo perdere questo figlio lo perderò naturalmente”. Così si mise a spaccare quintali di legna, lavare lenzuola, coperte, salire di corsa le scale, farsi portare dal marito in vespa nelle strade sterrate piene di sassi con lo scopo di prendere ogni buca “Ma nonostante tutto non succedeva niente, io ero sempre lì”.
Era sempre lì e alla fine nacque e la chiamarono Nada come una zingara incontrata una volta sulla spiaggia che aveva letto la mano alla madre e le aveva detto: “Signora, vi nascerà una bambina che vi darà tante soddisfazioni e voi girerete il mondo con lei”. “Il mio cuore umano” è una bambina con il soffio al cuore (la mamma ansiosa continuava a dire: è malata! è malata!, lo diceva a tutti e piangeva, finché la nonna Mora sbuffò: “Che vuoi che sia questo soffio al cuore! In fondo è un cuore umano”, e da allora si tranquillizzarono e non ne parlarono mai più e Nada smise di pensare che stava per morire), non è l'autocelebrazione della brava cantautrice con la voce roca e il sigaro in mano, non è la dimostrazione di quanto fosse già fighissima e anticonformista a cinque anni, è il racconto della vita di campagna dei suoi nonni, gli amori degli zii, la bellezza un po' folle della madre, i litigi, il giorno in cui misero il bagno in casa con i soldi che aveva lasciato sotto il materasso lo zio Tito, la volta in cui lei si immaginò di uccidere il maestro di canto sferrandogli un colpo in testa con la pompa della bicicletta.
Nada a canto non ci voleva andare, non gliene importava niente, voleva stare a casa con sua sorella, con la nonna, voleva leggere i libri del prete del paese, andare al cimitero con le amiche per vedere se c'erano i fantasmi, innamorarsi di qualche compagno di scuola. “Tutti erano felici mentre io ero triste”, e al matrimonio di sua sorella svenne. Non racconta gli esordi, “Ma che freddo fa”, i concerti, le minigonne, il successo, racconta la sua campagna, la gente del paese, la neve, le angosce che le trasmetteva sua madre, la paura di perderla quando andava in ospedale e non tornava mai (le fecero anche l'elettroshock, e a un certo punto le diedero, negli anni Sessanta, delle medicine per cui tutte le mattine si svegliava ridendo, “a volte rideva così forte che io mi spaventavo”). E la nonna che diceva sempre alla madre, visto che nessuno in famiglia aveva i capelli rossi di Nada: “L'avrai fatta col cenciaio!”. Un libro di famiglia, sulla sua famiglia, dedicato solo “al grande cuore di Gerri”, suo compagno da sempre. Quando prese il treno per andare a Roma per un'audizione, il dolore fu così forte che ebbe paura per il suo cuore umano.
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