Liuti e tamburi contro il polpottismo islamista

Le cantate di Bacha, la lira pashtun condannata a morte dai talebani

Giulio Meotti

Nella tradizione pashtun l'unico rito non accompagnato dalla musica è il funerale. Renderla muta significa ucciderla. Uno dei momenti più emozionanti della liberazione dell'Afghanistan fu la grande festa musicale allo “stadio degli orrori” di Kabul.

    Nella tradizione pashtun l'unico rito non accompagnato dalla musica è il funerale. Renderla muta significa ucciderla. Uno dei momenti più emozionanti della liberazione dell'Afghanistan fu la grande festa musicale allo “stadio degli orrori” di Kabul, trentamila afghani accorsero al primo concerto di Farhad Daryala, al rientro in patria dall'Europa dove si era ritirato in esilio all'inizio degli anni Novanta. Lo stesso stadio fu, nei sei anni dei talebani al potere, teatro di torture e morte. Era lì che gli sharioti praticavano punizioni corporali ed esecuzioni, sotto gli occhi di tutti. La gente tirò fuori le radioline a transistor per ascoltare Radio Kabul. E dai bauli delle auto vennero fuori i nastri sottratti alla furia talebana.

    Dalla sua vittoria sulle milizie dei mujaheddin nel 1996 alla guerra del 2001, la gestapo del mullah Omar vietò ogni tipo di musica, tranne le nenie coraniche recitate da voci bianche maschili. Le basi talebane furono contrassegnate dai nastri neri delle cassette di musica appesi ai lampioni. Impiccarono in pubblico gli strumenti musicali e vietarono i concerti. Adesso fanno lo stesso nelle aree di frontiera tra Afghanistan e Pakistan. Niente più “tappa”, il parente prossimo del rap, niente “logari”, la musica orchestrale, niente “attan”, la musica da ballo ai matrimoni.

    Una delle ultime vittime si chiama Nazar Gul. Faceva il suonatore di tamburi. Il suo strumento era il dohl, il tamburo classico della tradizione afghana, a forma di cilindro allungato in pelle bovina, da appendere al collo e portare alle feste di paese, alle nascite e ai matrimoni, alle celebrazioni pubbliche. La sua arte, il suo dohl e lui stesso erano giudicati “impuri”. Nazar è stato lapidato e finito con una baionetta. Davanti agli occhi del figlio di dodici anni. E' stato assassinato un altro suonatore di dohl, Hazrad Din, aveva appena lasciato un matrimonio. Il cantante Qhurban Nazar e sei membri della sua orchestra sono stati crivellati di proiettili sempre a un matrimonio. Shaima Rezayee era la conduttrice del programma musicale “Hop” sulla prima tv indipendente afghana. E' stata uccisa con un colpo alla testa. Giustiziata. Ora il bersaglio prescelto dai talebani è il celebre musicista Haroon Bacha, l'idolo delle canzoni pashtun, il serbatoio etnico dei talebani.

    Minacciato di continuo di morte assieme ai familiari perché canta la pace e l'amore, Bacha è stato costretto a scappare a New York abbandonando temporaneamente la famiglia. Viene da una regione dove gli ulema islamisti hanno emesso una fatwa che proibisce persino di suonare ai matrimoni. “Me ne sono andato per non mettere in pericolo la famiglia” ha detto Bacha. “E non posso tornare perché mi ucciderebbero”. Come rischia grosso Mohamed Yassin, l'unico suonatore di “dilruba” rimasto a Kabul, lo strumento simile al magico e vibrante sitar indiano. E' un obiettivo anche la diciottenne Lima Sahar, la cui voce si è aggiudicata il ruolo di protagonista della serie televisiva “Afghan Star”. Oggi vive sotto scorta a causa delle minacce degli estremisti islamici. Lima lavorava come domestica presso un ex comandante dei mujaheddin. E guadagnava due dollari al giorno. Non sa scrivere e legge a stento. Ma è l'usignolo proibito dell'Afghanistan. Dopo che i talebani hanno ucciso la sua protettrice, la poliziotta eroina Malalai Kakar, Lima ha di nuovo paura.

    A New York, Bacha ha trovato un inatteso alleato nella influente comunità ebraica, che gli ha organizzato il primo concerto nel suo centro di Forest Hills: “Non c'entra che sia musulmano”, ha detto il rabbino Gerald Sholnik. “La sua causa è la nostra”. In patria Bacha è una star, dozzine di album e registrazioni, è un baritono che parla di tolleranza e di “resistenza all'islamismo”, nei suoi versi musicali e malinconici si riflette la tradizione, la frammentazione etnica e linguistica, la varietà straordinaria di colori, stoffe e fogge di quelle antichissime terre. Bacha ha dovuto abbandonare la sua casa a Peshawar per le ripetute minacce di morte degli studenti di Allah. “Queste persone stanno dando un pessimo nome ai pashtun, io da parte mia devo lavorare per spiegare al mondo che non siamo come queste persone. Se le cose continueranno così e questi fanatici assumono il potere, la nostra fabbrica sociale, le nostre istituzioni, tutto verrà distrutto”.

    A Kabul c'è una scuola di musica che non ha nome né insegne. I 55 alunni maschi entrano dalla porta principale, mentre una dozzina di ragazze devono passare dalla porta posteriore, per il timore di attentati talebani e dell'acido solforico che vorrebbero gettare loro in faccia. La scuola è stata fondata dal cantante Nazir Khara. Dice di voler proteggere le alunne dal polpottismo coranico di “chi pensa che un uomo non dovrebbe udire la voce di una donna”. Un tempo la polizia religiosa dei talebani sequestrava i televisori come facevano i khmer rossi. Molti afgani li seppellirono in giardino in attesa di tempi migliori. La loro speranza, assieme a quella di Bacha, risiede in un celebre proverbio pashtun. “Non potete impedire agli uccelli di cantare”.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.