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I baroni rampanti
Che il fronte dei rettori delle università italiane sia spaccato è ormai un'evidenza, così come il fronte studentesco universitario, che al di là di alcuni gruppi in diversi atenei italiani, sembra per la maggior parte deciso a voler continuare a studiare e frequentare i corsi piuttosto che scendere in piazza a difendere i “baroni”.
Leggi Cuore freddo, cuori caldi - La finta occupazione a Torino in video
Che il fronte dei rettori delle università italiane sia spaccato è ormai un'evidenza, così come il fronte studentesco universitario, che al di là di alcuni gruppi in diversi atenei italiani, sembra per la maggior parte deciso a voler continuare a studiare e frequentare i corsi piuttosto che scendere in piazza a difendere i “baroni”. Ingigantite da alcuni media, le proteste di piazza hanno costretto i rettori a prendere posizione. Polemiche sulle parole pronunciate da Silvio Berlusconi a parte, la maggioranza dei rettori non ha condannato i tentativi di occupazioni né le manifestazioni degenerate in scontri. In certi casi hanno addirittura benedetto la “rivolta”: a Palermo Giuseppe Silvestri (rettore uscente, non riconfermato) ha sparato le sue ultime cartucce oscurando il sito Internet dell'Università di Palermo per alcune ore in segno di solidarietà alle proteste studentesche. Sulla sua stessa linea il rettore di Firenze, che ha sospeso le lezioni per permettere i cortei di protesta, precisando però ieri in serata di volere “ribadire che in questo periodo di agitazioni in ateneo l'attività didattica, salvo limitati episodi, è proseguita regolarmente”.
Fonti dalle varie università italiane confermano che gli atenei più caldi sono quelli in difficoltà con i conti, Pisa, Siena, Salerno, Napoli oltre alle già citate Firenze e Palermo. Molti addetti ai lavori non credono però che ci sia una regia comune che scatena più delle altre le piazze degli atenei in crisi. A livello locale alcuni professori invitano gli studenti a protestare e organizzano lezioni all'aperto ma, checché ne dicano alcuni mezzi di informazione, sono casi isolati: a Torino, sulla cui occupazione ieri titolavano molti siti Internet, le lezioni si svolgono regolarmente e “saranno tre o quattro professori in tutto a fare lezione fuori dalle aule”, assicurano gli studenti. Come dimostra un video sul sito Internet del Foglio, i banchetti dell'occupazione nell'ateneo torinese sono spesso desolatamente vuoti.
A Torino il rettore Elio Pelizzetti non ha ancora preso una posizione ufficiale sulla questione, anche se considera i blocchi delle lezioni controproducenti e non ha chiamato la polizia quando i collettivi hanno organizzato un concerto nell'atrio per timore di far parlare di sé in modo negativo. Ieri ha però parlato il suo vice, Sergio Roda, che ha detto che “ci si ritrova tutti dalla stessa parte della barricata, studenti e mondo accademico”. E' questo che fa storcere il naso a chi in piazza non è sceso: che gli studenti difendano i professori. Non è comunque compatta la schiera di chi appoggia la protesta: a Verona il senato accademico ha condannato la decisione di una facoltà (Scienze) di sospendere le lezioni, e il presidente della Crui (la Conferenza dei rettori), Enrico Decleva, ha fatto dichiarazioni equilibrate sostenendo da una parte la necessità di una riforma del sistema universitario e facendo notare dall'altra come i tagli imposti dal decreto Gelmini rischino però di mettere in ginocchio gli atenei. Giudizio critico sui tagli ma realismo sulla possibilità di riparlarne, alla luce soprattutto delle linee guida che a giorni il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, dovrebbe rendere note.
E' di fatto la stessa posizione di Aquis, l'associazione per la Qualità delle università italiane statali: vera e propria costola della Crui, Aquis riunisce le univeristà di Bologna, Calabria, Ferrara, Milano Bicocca, Politecnico di Milano, Politecnico delle Marche, Modena e Reggio Emilia, Padova, Roma Tor Vergata, Politecnico di Torino, Trento e Verona. I rettori di questi atenei si sono definiti “virtuosi” in base ad alcuni criteri oggettivi (soprattutto di buon governo amministrativo) e forti di questo hanno chiesto al governo di poter ridiscutere alcuni punti controversi dei tagli previsti dalla Finanziaria di Tremonti. Primo fra tutti il criterio per cui sono colpiti indiscriminatamente i bilanci di tutte le università italiane, senza premiare chi è virtuoso e punire chi spreca. Prendendo atto di come quasi nessun rettore sia disposto ad aumentare le tasse universitarie, si chiede al governo un “patto di stabilità” per ogni ateneo: in un'intervista al Sussidiario.net, il rettore del Politecnico di Milano, Giulio Ballio, osserva come un sistema centralistico sia incapace di rispondere ai problemi particolari: “Usciamo dal sistema di finanziamenti a pioggia – dice Ballio – Ognuno metta a disposizione la propria situazione con la massima trasparenza di fronte al ministero, il quale deciderà gli obiettivi che questa università dovrà rispettare”.
Sono però solo le università con i bilanci a posto a dirsi “convinte che anche gli atenei debbano fare la loro parte nell'azione intrapresa dal governo per il risanamento del bilancio dello stato”. Altrove si fatica a trovare posizioni realiste: a Firenze ad esempio il rettore osserva che “il costo del personale docente è cresciuto del 30 per cento, ma nello stesso tempo il fondo di finanziamento ordinario è aumentato solo del 14 per cento”, là dove il sottotesto palese è: “Dateci più soldi”. Una posizione simile è riscontrabile in tanti atenei, casualmente i più agitati. E se lo stesso Decleva riconosce una matrice politica alle proteste, a molti rettori le agitazioni di piazza continuano a far comodo.
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