Lotta di classe

Lodovico Festa

Solo un poveraccio come Walter Veltroni può dire che il consenso al governo Berlusconi nasce dalla tv. Il sostegno popolare deriva dall'ampiezza del fallimento di Romano Prodi, dalle preoccupazioni della gente comune e dalla capacità realizzativa che Palazzo Chigi dimostra nel gestire l'emergenza.

    Solo un poveraccio come Walter Veltroni può dire che il consenso al governo Berlusconi nasce dalla tv. Il sostegno popolare deriva dall'ampiezza del fallimento di Romano Prodi, dalle preoccupazioni della gente comune e dalla capacità realizzativa che Palazzo Chigi dimostra nel gestire l'emergenza (da Napoli all'Alitalia, dai pasticci “ecologici” bruxellesi alla crisi finanziaria) e anche gli interventi di sistema (dalla finanziaria al federalismo fiscale). Naturalmente man mano che la situazione diventerà più difficile – come è inevitabile – i problemi si moltiplicheranno. Non sarà facile tenere questi livelli di consenso. Per farlo è bene essere anche più aperti ma mai al prezzo di bloccare le decisioni. Comportamento che in mezzo a una crisi economica è decisivo.

    Si prendano questioni, già a lungo discusse, come l'urgenza di una sferzata di produttività e di aumenti salariali legata all'estensione della contrattazione aziendale. Il governo ha un ruolo indiretto ma fondamentale grazie alla carta dell'ulteriore defiscalizzazione di straordinari e premi. Deve usarla senza esasperare le rotture. Ma anche senza permettere che si ceda ai poteri di veto. Tenere fermi questi elementi non è semplice perché la Cgil allo sbando utilizza ogni apertura di dialogo per bloccare qualsiasi scelta. In questo senso l'esplicita disponibilità ad accordi separati è l'unico strumento di sindacati modernizzanti e Confindustria per mettere Guglielmo Epifani di fronte alle sue responsabilità. Si usi il garbo necessario ma non si disarmi chi si batte per lo sviluppo.

    Così nella battaglia, campale per lo sviluppo, indirizzata a smuovere la realtà scolastica, è preliminare a qualsiasi riforma il riportare sotto controllo “l'amministrazione”. Così si vuole fare nelle elementari, dove riaffermare la funzione del maestro prevalente non è una riforma ma una correzione sensata a provvedimenti ispirati dalla concezione della scuola come ammortizzatore sociale. In questo contesto le necessità educative – universalmente accettate – di ragazzini tra 6 e 9 anni che richiedono una figura centrale nel processo formativo sono passate in secondo piano rispetto alle esigenze di dare sbocco occupazionale a nuove leve di insegnanti. Anche le altre minori razionalizzazioni impostate nella scuola servono essenzialmente a questo fine: far comprendere come lo stato italiano non abbia più margini per sprechi e che quindi gli investimenti nell'istruzione, necessari anche per implementare le indispensabili riforme, sono possibili solo se “l'amministrazione” (tanto più con processi di regionalizzazione del sistema in corso) è riportata sotto controllo.
    Le università italiane, poi, ancora più degli altri livelli di istruzione sono in una situazione da Alitalia: più si buttano dentro soldi meno risultati si producono.

    Le riforme Berlinguer-Martinotti, non corrette da Letizia Moratti, hanno licealizzato ulteriormente un'istituzione che ha senso solo se produce alta cultura. Visto, dunque, che non si possono vendere le università all'Air France o a Colaninno, è indispensabile aprire spazi al rinnovamento. Sapendo che la riforma delle riforme è la costituzione di un sistema competitivo tra atenei per ridare razionalità al settore e consentire quindi alla qualità della cultura italiana di esprimersi. Finché la risposta dei rettori sarà una risposta da hostess, fronte compatto tra chi gestisce grandi politecnici e chi atenei delle “mogli”, dei “figli” e delle “fidanzate”, tra chi guida sedi di ricerca eccellente e talvolta eccezionale, e chi realtà accademiche municipalistiche, la linea di condotta non può che essere amministrativa. Perché mai un operaio che lega gli incrementi di salario alla crescita di produttività, un bottegaio che ogni mattina alza la saracinesca o un impiegato del catasto inseguito da Renato Brunetta dovrebbero sacrificarsi per chi usa il suo peso corporativo non solo per difendere una condizione obiettivamente privilegiata ma per bloccare la modernizzazione dell'Italia?

    I rinfocolatori di proteste dovrebbero riflettere bene sul fatto che non c'è più spazio per atteggiamenti irresponsabili. Naturalmente le forze risanatrici e riformatrici non possono limitarsi all'amministrazione. Devono affrontare le battaglie culturali per la riforma. Sarebbero utili forum destra-sinistra finalizzati a questo fine, e anche leghe per la riforma di elementari, superiori o università che accompagnino l'impegno della maggioranza di centrodestra. Sempre che sia chiaro che senza prima riportare sotto controllo l'amministrazione, le battaglie culturali non servono a niente.