La carta stampata sarà come l'opera lirica? Sì, no, forse

Il web non spazzerà via i giornali, dice Tatò. “Ma dovete produrre reddito”

Michele Arnese

"La carta stampata come un'opera lirica? Va bene, dibattiamo pure, il tema è intrigante. D'accordo, la carta stampata ha un profumo particolare, che induce alla riflessione. Sosteniamo anche che produce sensazioni intellettuali uniche. Sì, la carta stampata è come un libro, è un bene culturale.

    "La carta stampata come un'opera lirica? Va bene, dibattiamo pure, il tema è intrigante. D'accordo, la carta stampata ha un profumo particolare, che induce alla riflessione. Sosteniamo anche che produce sensazioni intellettuali uniche. Sì, la carta stampata è come un libro, è un bene culturale. Ok, d'accordo, purché non si arrivi però al corollario che occorre sovvenzionarla ancora con i fondi statali”. Franco Tatò è un manager di lungo corso: nato nel 1932, si è laureato in Filosofia all'Università di Pavia e nel 1956 è entrato a far parte del Gruppo Olivetti, restandovi fino al 1982. Dal 1982 al 1984 è stato presidente della Mannesmann-Kienzle in Germania. Dal 1984 al 1986 e nei primi anni Novanta ha ricoperto la carica di amministratore delegato dell'Arnoldo Mondadori Editore. Nel 1986 è presidente della Triumph-Adler AG e nel 1989 il Gruppo Olivetti lo nomina amministratore delegato della Olivetti Office. Dall'ottobre 1993 al febbraio 1995 è stato anche amministratore delegato di Fininvest.

    Tatò non si sottrae a parlare del futuro della carta stampata, anche se non è molto ottimista: “No, sono realista. Bisogna prendere semplicemente atto che ci sono delle onde storiche inarrestabili. Ora per giornali e periodici è il momento di una redistribuzione degli spazi competitivi”. Cioè? Una formula per dire che saranno spazzati via dal web? “Internet non è in concorrenza con la carta stampata, checché se ne dica – dice Tatò al Foglio – il web rappresenta invece un ampliamento della possibilità di comunicare. D'altronde basta ricordare quando ci fu l'avvento della televisione. Tutti pensarono che la radio aveva gli anni contati. Invece ora c'è un vero e proprio revival della radio, che si è riposizionata trovando nuovi spazi d'ascolto”.
    Per Tatò, comunque, il punto di riferimento è uno solo: “Si produce solo se c'è reddito. Non vale sostenere che siccome si comunicano idee allora è giusto che lo stato le sovvenzioni. No, potranno essere pure le idee più nobili, ma non comprendo perché lo stato, quindi tutti noi, debba contribuire alla diffusione di idee che magari non condividiamo. Parliamoci chiaro: non comprendo il motivo per cui occorre mantenere in vita forme e mezzi di comunicazione che sono rifiutate dal pubblico”.

    Ma non c'è contraddizione nel sostenere da un lato che i giornali sono un'opera lirica e dall'altro che la carta stampata non può usufruire di sovvenzioni pubbliche proprio come le opere liriche? “Nessuna contraddizione – risponde Tatò – infatti per me neppure le opere liriche dovrebbero ricevere soldi dallo stato. Mi chiedo infatti perché tutti gli italiani debbano sovvenzionare, ad esempio, la Scala di Milano. Perché la Scala non la pagano i milanesi?”. Riecco Kaiser Franz: “Vorrei ricordare che il Metropolitan di New York non viene finanziato dallo stato ma da donazioni private. C'è quindi un interesse economico, ma non c'è un interesse politico. Piuttosto se si intende sostenere un'iniziativa culturale perché non prevedere incentivi fiscali automatici? Così sono i cittadini a scegliere chi aiutare e non lo stato”. Quindi tagliamo i fondi pure ai teatri e alle produzioni cinematografiche? “Certo. A produttori e cineasti bisognerebbe dire: signori, il cinema è un'attività economica come un'altra, è business, quindi cercate se ci riuscite di guadagnare dalla produzione di pellicole. Perché non comprendo le ragioni per cui i contribuenti debbano pagare film spesso barbosi che poi sono visti nelle sale da poche migliaia, per non dire centinaia, di spettatori”.

    Ma Tatò non risparmia neppure la società che ora guida, visto che è amministratore delegato della Treccani: “Qui c'è ancora chi pensa che lo stato debba sovvenzionare professori che scrivono voci enciclopediche per ricche pubblicazioni con i bordi dorati. Ma noi dobbiamo guadagnarci il diritto a vivere vendendo quello che produciamo. Facciamo tranquillamente a meno del Principe. Anche se qui c'è ancora qualcuno che rimpiange le penne d'oca, altro che Internet”. Tatò ricorda di aver avviato alla Treccani “la digitalizzazione di tutte le opere e una fase sperimentale sul web. Ma le due attività convivranno. Certo, la parte cartacea sopravviverà, ma orientandosi sul libro di lusso, sull'opera d'arte artigianale, che da noi raggiunge livelli eccelsi”.