Pop corn al Festival della Capitale
A Roma vince un film girato malissimo - Leggi e guarda il video di Mariarosa Mancuso
A Locarno e a Berlino – dove gli spettatori perlopiù sono svizzeri o tedeschi, mai farebbero i pianisti votando doppio – il voto del pubblico viene raccolto con cartoline e biro. Al Festival del Film di Roma (dalla vecchia testata è scomparsa anche la parola Cinema), il voto popolare era raccolto tramite computer. Schierati a decine, incutevano timore reverenziale.
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A Locarno e a Berlino – dove gli spettatori perlopiù sono svizzeri o tedeschi, mai farebbero i pianisti votando doppio – il voto del pubblico viene raccolto con cartoline e biro. Al Festival del Film di Roma (dalla vecchia testata è scomparsa anche la parola Cinema), il voto popolare era raccolto tramite computer. Schierati a decine, incutevano timore reverenziale. E francamente non abbiamo mai visto gente in coda per votare, almeno quando transitavamo noi (con l'intenzione, mai messa in pratica, di avvicinarci per sperimentare il nuovo meccanismo: nei primi due anni ad assegnare i premi era una giuria scelta tra i lettori di Ciak). Abbiamo letto da qualche parte che il presidente Gian Luigi Rondi si sarebbe fatto garante della regolarità del voto con un notaio di sua fiducia. Abbiamo letto da qualche altra parte che esisteva un meccanismo di compensazione per non penalizzare i film con meno spettatori di altri. Infatti, nonostante il trionfalismo sulle sale occupate al 90 per cento, le poche volte che siamo andati a vedere un film con il pubblico, c'erano parecchi posti vuoti in sala. Quindi tutto è regolare.
Il vincitore (rullo di tamburi) del Festival Internazionale del Film di Roma (rullo di tamburi) è Giacomo Battiato (rullo di tamburi) con “Resolution 819”. Si porta a casa il Marc'Aurelio d'oro, l'unico trofeo che a nostra conoscenza abbia l'apostrofo, e da oggi fa bella mostra di sé sia sul caminetto di Al Pacino (in nome e per conto dell'Actor's Studio) sia nell'abitazione di Gina Lollobrigida (in nome e per conto della sua carriera internazionale, ecco perché in Francia le tette si chiamano “lollos”). Lo ottiene con un film impegnato sul massacro di Srebrenica, con Benoit Magimel ispettore dell'Onu, ampio uso di resti ricuperati dalle fosse comuni, madri in lacrime. Girato, questo è il punto, con l'approssimazione di una fiction tv. Avevamo giurato di non usare mai “televisivo” come un insulto, ma quando ci vuole ci vuole (e poi il regista mica si vergognerà di “Karol 1 e 2”, appropriatamente titolati “Un uomo diventato Papa”, “Un Papa rimasto uomo”).
La giuria dei critici, altra novità 2008, ha premiato “Opium War” dell'afghano Siddiq Barmak: sempre una scelta un po' marpiona, per dimostrare che anche in un ambiente ostile, dove di rosso è rimasto solo il tappeto, il cinema lotta insieme a noi, esponendo alla finestra le bandiere pacifiste. Ma almeno “Opium War” è un film, e neanche tanto antiamericano come è sembrato ai signori della giuria. Premio per la migliore attrice a Donatella Finocchiaro in “I galantuomini” di Edoardo Winspeare, eroica perché recita da sola (Fabrizio Gifuni non è all'altezza) e porta sulle spalle tutto il film. Premio per il migliore attore a Bogdan Stupka per “Il cuore in mano” di Krzysztof Zanussi (lo meritava tutto il cast, recitano anche i sassi). Menzione speciale, detta anche contentino, al magnifico “Aide-toi et le ciel t'aidera” di François Dupeyron: la banlieue parigina come non l'avete mai vista. Con i cadaveri in cantina come in “Arsenico e vecchi merletti”. E altrettanto divertente.
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