Maradona, quello nuovo, uscito dal massacro del maradonismo
Diego si stupisce dello stupore. Forse fa finta: con lui non sai mai dove s'incrociano spontaneità e sovrastruttura. Vero, falso, sincero, costruito, sobrio, alterato: si tira a caso. Va come va, perché questo è Maradona.
Diego si stupisce dello stupore. Forse fa finta: con lui non sai mai dove s'incrociano spontaneità e sovrastruttura. Vero, falso, sincero, costruito, sobrio, alterato: si tira a caso. Va come va, perché questo è Maradona. Cioè tutto: il romanzo eterno di uno che a un certo punto è stato morto da vivo e che adesso torna non si capisce se per ritrovarsi o per avere una nuova scusa per autodistruggersi. Che s'aspettava, il silenzio? Lo sapeva, lo voleva. Allenatore lui. Dai. Le polemiche sono parte dello show, accompagnano il personaggio e il suo mondo, qualunque sia e qualunque sia stato. Poi è stato lui a cominciare, come sempre: “Quanto mi piacerebbe rubare il posto a Carlos Bianchi. Sarebbe come battere con un ko Tyson, Foreman o Monzon”.
Adesso che vuoi, Diego? L'anonimato? Uno che non ha mai di fatto vissuto da anonimo non può chiederlo agli altri. Non lo vuole, comunque: è tutta scena, tutta coreografia di uno spettacolo che ha lui come protagonista anche quando non l'ha chiesto. Stavolta sì: s'è preso la panchina dell'Argentina e adesso si prende i se, i ma, i forse. Fanno parte del gioco: prendi sta palla, Diego, e comincia a palleggiare. Bisognava aspettarlo, perché Maradona non finisce mai. Questo è un capitolo, un altro. Prevede nemici, perché senza quelli Diego non sa stare: a Barcellona aveva i difensori, a Napoli prima la stampa, poi Ferlaino, a Buenos Aires tutto il mondo, a Cuba tutto il mondo più Bush. Adesso la gente. Cioè quel pezzetto di Argentina che l'ha schiaffeggiato l'altro giorno quando Clarin ha chiesto se fosse giusto dare la panchina della Nazionale a Dieguito: 50 mila no, il 73 per cento delle persone che ha votato. E' uno stadio intero. Per Maradona sarà quello del River, da sempre pieno di gente che lo detesta. Cerca un pretesto e combatti. Però sa che dentro c'è gente del Boca, dell'Indipendiente, del Newell's, gente che lo amava e che non si fida. E' così, Diego.
Adesso può esaltarsi o deprimersi, affari suoi: se ti rimetti in gioco accetti di uscire dalla protezione collettiva, dal rispetto infinito verso uno che stava per andarserne, dall'adorazione di un vincente che ha rischiato di perdere tutto. Il Diego drogato, quello malato, quello in clinica avevano compattato il mondo nella pietà, nella preghiera isterica degli orfani. I sit-in fuori dall'ospedale, i santini, le tv di tutto il mondo a fare stand-up di fronte all'ingresso del reparto: “Ecco l'ultimo bollettino medico sulle condizioni del Pibe de Oro”. Da allenatore non è più un resuscitato: è vero, toccabile, insultabile. E' l'oleogramma che torna umano per l'ennesima volta.
Quanti ritorni ha avuto Diego? Non si contano più, non ci è riuscita neanche l'ex moglie Claudia, che a un certo punto se ne è andata. Questo è l'ultimo, per quelli che adorano la retorica è anche il più bello: Maradona in campo, anzi in panchina, comunque dentro, protagonista, sano, al lavoro. Sorridente, anche. Questa è la maradoneide: felice al pensiero che l'uomo sbagliato non ci sia più, cancellato da questo signore tirato e improvvisamente magro, lucido, normale. Uno che risponde al telefono ai giornalisti dalla macchina un'ora dopo aver avuto la notizia di essere stato scelto come commissario tecnico: “Mi sento come nei giorni nei quali sono nate Dalma e Giannina… Oddio sto commettendo un'infrazione ed è mancato poco che un camion mi schiacciasse”. Il cellulare, ecco. Dicono non sia un dettaglio se risponde direttamente lui. Perché mentre guariva, glielo avevano proibito. Lo teneva un amico che stava sempre con lui. Non Coppola, un altro. Rispondeva e filtrava le chiamate per evitare di farlo parlare con qualcuno che lo tentasse, con qualcun altro che gli offrisse la sua gioia in polvere. Se adesso risponde lui senza bisogno di nessuno, allora vuol dire che quell'epoca è finita. Anche quella. E chi l'ha visto conferma: il look, lo spirito, la voglia sono da uomo, non da clown a caccia di uno scopo per fare pena. Non si parla di soldi nel suo contratto. Non ancora.
Diego non ha problemi economici, è tornato una piccola azienda da tre milioni l'anno di sole comparsate e pubblicità. La federazione pagherà, certo. Quanto è ancora da vedere perché pare che Maradona abbia accettato senza neanche sapere quanto fosse l'offerta. Ha fame di se stesso, evidentemente. Lui più dei gufi che hanno sempre alimentato il suo mondo da eroe-sbagliato: perché c'era tanta gente che lo adorava rovinato? Perché hanno cercato sempre di prenderlo come esempio della rivincita, del riscatto, del sud che ce la fa? E' così che s'è rovinato, Diego. Sapendo che c'era un mondo adorante a prescindere, che c'era chi era pronto a stare con lui senza riserve. Dicevano fosse perché in campo era stato un dio. Invece sono vent'anni che il campo non c'entra nulla, che Maradona è stato preso per il totem dei diseredati a caccia di un sogno da vivere. Il suo è stato un incubo fatto di fantasmi che nessun film e nessun documentario potranno raccontare davvero.
Non c'è perdono, non c'è comprensione. Il maradonismo ha massacrato Maradona, trasformandolo in un'icona, l'ha banalizzato, ha offuscato la grandezza dei suoi gesti tecnici, la bellezza del suo calcio, la straordinaria capacità di far vedere che cosa si possa fare con un pallone tra i piedi. Diego personaggio che sovrasta Diego calciatore è stato un insulto incancellabile. Chi ha avuto pietà delle sue follie non s'è reso conto di aver ridotto a persona normale, uno che normale non era. Adesso sì. A 48 anni si può, forse si deve. Normale, ma eroe, perché sennò non sarebbe Diego. Ci dev'essere sempre un pretesto, ci dev'essere sempre un contesto. Ora c'è: l'Argentina pallonara che barcolla, arranca, si piega. Sconfitte, sconfitte, sconfitte. Diego è il salvatore, come nell'86, come ogni volta. I nemici non sono gli inglesi delle Malvinas, non sono gli italiani che fischiano l'inno argentino nella finale di Italia 90. I nemici sono ex amici: el pueblo, il suo. E' incerto, dubbioso, scettico. Diego è Diego, sì.
Ma la panchina? Qui non servono numeri, non servono i piedi, non serve la testa, non serve vedere dove gli altri non vedono. La panchina è un casino, dove non sempre vincono i più bravi. Non sono passati neanche due anni da quando gli chiesero quante chance avesse di fare l'allenatore della Nazionale. “Zero direi. Non diventerò mai commissario tecnico, perché non so se chiamarmi conviene ai dirigenti”. Allora Diego allenatore è una scommessa alla quale forse non crede neanche lui. “La formazione la faccio io”, ha detto. Il che suona paradossale, visto che Ferlaino dice che la faceva anche quando era giocatore. Il che suona paradossale al quadrato se pensi che Diego non avrebbe mai potuto allenare Maradona, perché sennò chi l'avrebbe fatta la formazione? Ha fatto sapere che farà fuori Zanetti, Cambiasso e Abbondanzieri. Non si sa di Aguero, cioè il genero, il fidanzato della figlia, che Diego considerava una mezza tacca fino a poco prima che scoprisse di ritrovarlo in casa per la cena di Natale. Giocherà, perché è forte. Giocherà perché fila con Messi, cioè il pupillo di Diego. Il resto è un'incognita che non sa risolvere nessuno. Sappiamo solo che la prima frase da commissario tecnico è stata questa: “La Nazionale ha bisogno di un uomo che faccia ridere e non piangere, di uno che renda felici e non tristi”. Anche lui ha bisogno delle stesse cose. Vuole ridere, vuole gioire. Gli altri ex compagni della generazione 86 lo aiuteranno: la federazione li sta chiamando uno a uno per farli entrare nel gruppo. Gli hanno messo Carlos Bilardo a fare da tutore. Avrà un vice, poi forse anche una squadra di consulenti: la protezione contro il rischio, l'assicurazione anti follia. Diego sceglierà, gli altri consiglieranno. Perché tutti sanno dei precedenti. Maradona ha allenato la prima volta nel 1994, subito dopo il Mondiale degli Stati Uniti: prese il Mandiyú, fece 12 partite 3 punti. Poi il Racing di Avellaneda: 11 partite 3 sconfitte, 6 pareggi e 2 vittorie. Due appena e una di queste forse neanche voluta: alla Bombonera contro il suo Boca. Il Racing non lo batteva in trasferta da vent'anni, ci voleva Diego per farlo. Non c'è altro, non ci sono avventure successive, prove con altre squadre, in altri paesi. C'è stata soltanto quella mezza frase del 1996, poi dimenticata: “Tornerò in Italia e lo farò per allenare il Napoli”. All'epoca era un'uscita così. Oggi? Oggi se chiedi in giro, non aspettano altro. Un capitolo ancora. Il romanzo, l'anti-Gomorra di Napoli: la faccia di Diego in copertina. Prima, durante e dopo. Futuro, questo. Mentre qui qualcuno sta pensando ancora al passato, ai numeri, alle esperienze, alle pazzie. Perché dopo quelle prove da mister, c'è stato il Diego folle, quello che alla Bombonera stava sul suo palco privato a petto nudo, mentre volteggiava la maglia del Boca come una ballerina di un night da quattro soldi. Quello con gli occhi spiritati e poi depressi, spenti, bui. Questo Diego ce li ha normali.
Allora che fai, non gli credi? Non costa molto, in fondo. Se non ti illudi, Maradona è ancora il massimo della vita, è sempre quell'immagine del pallone attaccato al piede, è lo spot del calcio, il più bello che si possa avere. Dove lo trovi un altro che si divertiva a sporcarsi nel fango? Dov'è un altro che non cadeva mai, che barcollava dopo un fallo, ma restava in piedi? Dov'è chi calciava come lui, chi dribblava come lui? Bisogna tenersi tutto: videocassette, dvd, ricordi, foto, ritagli di giornale. Diego è un altro, ora. Il terzo, il quarto, il quinto Diego della sua vita. La panchina, la Nazionale, venti chili in meno, assomiglia a quello di metà anni Ottanta: non s'è capito se vuole provare a diventare adulto, o se cerca il modo per restare piccolo per sempre. Non sappiamo se il ritorno nel calcio è il ritorno all'inferno. Bisogna aspettare. Guardare. Spettatori di uno show che tanto va in onda lo stesso, anche se non lo vede nessuno. Se tradisce, peggio per lui. Qui ci sono le immagini. Qui c'è lui. Eterno. Può fallire Diego, chissenefrega. Noi avremo sempre Maradona.
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