A proposito di opere liriche e carta stampata

Rossella ci spiega come i giornali supereranno il test del lounge bar di Miami

Marina Valensise

Nessuno meglio di Carlo Rossella può parlare di carta stampata, di morte del giornale e del giornalismo, davanti alla vertigine della gratuità. Cronista, inviato, scrittore, Rossella è stato direttore di un telegiornale (il tg1), di un grande giornale quotidiano (La Stampa), di un programma pop di gossip tv (Verissimo), di uno dei primi newsmagazine europei, (Panorama), e infine del Tg5.

    Nessuno meglio di Carlo Rossella può parlare di carta stampata, di morte del giornale e del giornalismo, davanti alla vertigine della gratuità. Cronista, inviato, scrittore, Rossella è stato direttore di un telegiornale (il tg1), di un grande giornale quotidiano (La Stampa), di un programma pop di gossip tv (Verissimo), di uno dei primi newsmagazine europei, (Panorama), e infine del Tg5. Eppure, è sempre rimasto fedele alla parola stampata, come dimostrano i suoi libri di racconti, che ogni anno ormai diventano un appuntamento fisso. “Per quelli della mia generazione, la carta stampata è un patrimonio inalienabile. Noi ci crediamo. Ci siamo cresciuti. Ne abbiamo fiutato l'odore meraviglioso. E' lì che abbiamo imparato a leggere e a scrivere. E' lì che sono nati i nostri miti, spesso le nostre idee, e anche le nostre ambizioni, giuste o sbagliate che fossero, i nostri eroi, i nostri maestri. La carta stampata è stata per noi un terzo genitore: ci ha educato per tutta la vita e continua a educarci”.

    E' per questo che Rossella considera insostituibile il rapporto col giornale. “Ogni giornale che muore per me è un colpo al cuore” dice senza esagerazione. “L'idea che muoia il Manifesto è un disastro per me, anche se non condivido nulla di quello che scrive”. I giornali però sono in crisi ovunque nel mondo: in Francia, dove Sarkozy invita i grandi gruppi a uscire dalla sottocapitalizzazione, in America, dove hanno i giorni contati e  ogni giorno appare un necrologio. “Sono in crisi”, dice Rossella, “perché i giovani non sono stati educati alla carta stampata, ma a vedere la tv, poi sono passati a un altro schermo, Internet, dove tutto viene liofilizzato e dove – navigando a zig zag da un blog all'altro – l'approfondimento è modesto. Internet è una giugla, ed è pieno di errori, come si vede dalle enciclopedie affidate al fai da te. E' uno strumento che non aiuta a riflettere, e fa venire subito la voglia di scappare da un'altra parte. Oggi, il vero pericolo è il giornale elettronico, che fa perdere l'abitudine di comprarlo in edicola, di avere in mano la copia cartacea, di coccolarsela, leggerla, ritargliarsela, sottolinearla… per leggere il Corriere della Sera ci vogliono tre ore, e ci sono persone che se lo leggono tutto”. Magari hanno molto tempo. “Chi ha più di cinquanta anni tiene ancora molto ai giornali, chi di anni ne ha meno di cinquanta spesso invece li considera come uno dei tanti strumenti di informazione. La gente oggi preferisce sentire brevi notiziari radio. Sì è impigrita, vuole solo headlines e titoli di testa: gli approfondimenti non piacciono più”.

    Una volta la pigrizia era del lettore di libri, poi del lettore di giornali traviato dalla tv. Adesso passa ai telespettatori, insomma è inesorabile? “Sì, e tra poco colpirà anche il navigatore su Internet, e chi si nutre di brevissimi flash. ‘Scoppiata una bomba, due milioni di morti'. ‘Tsunami in Thailandia, un milione di morti'. L'idea di capire, di andare oltre e dentro la notizia non c'è più. La gente sta  solo a guardare, anche le notizie economiche di questi giorni che sono tragiche. Il pubblico si occupa solo dei suoi risparmi. I tg non vanno ad approfondire. Sui giornali invece io, per esempio, trovo ogni giorno quattro-cinque pagine che divoro, e sono un lettore normale”. Che fare, allora, dello sparuto gruppo che s'ostina a resistere, attaccato alla carta stampata? Abbandonarlo al suo destino? Cancellare d'un tratto il forum quotidiano per le menti pensanti? “Sarebbe una follia”, risponde Rossella. “La qualità del giornalismo in realtà è molto alta. Pensiamo alla Neue Zürcher Zeitung, al Mundo, al Washington Post, al New York Times, al Chicago Tribune, al Miami Herald. Sono giornali fattti bene, anche nel mondo arabo ce n'è uno fatto molto bene: ‘el Aram'.

    "Poi ci sono i giornali un po' glossy, quotidiani popolari che primeggiano nel mondo anglosassone, come il Times, il Daily Telegraph, che non si potrebbero fare meglio. E in Italia poi c'è il Foglio, che in America chiamano “a thoughful newspaper”, e ora anche i francesi vogliono lanciare, perché è li che passano idee di un certo tipo, una cultura disincantata contro il conformismo ufficiale. Eppure, nonostante gli sforzi, i lettori scappano”. Non si possono riavvicinare? “Il trend, purtroppo, è l'abbandono. Ogni lettore di quotidiani che muore è difficile da sostituire. Io ho imparato a leggere i giornali perché i maestri a scuola ci leggevano le corispondenze del Corriere, gli articoli di Giovanni Mosca, e poi ogni famiglia aveva la sua tradizione di giornali, Adesso invece i genitori non leggono più, tranne che in treno. La stampa gratuita è molto apprezzata dagli extracomunitari che hanno imparato l'italiano o da chi vuole articoli brevi. Il rischio è che diventi tutto come il fast food: la fast economy, il fast profitto… s'è visto poi come ci siamo ridotti”. E i costi, come affrontarli?  “Certo, quelli della distribuzione sono alti. In America ci sono i distributori automatici, in Italia non funziona, vedo già la gente col martello che va a scassare tutto.

    Bisognerebbe però allargare l'area di vendita, introdurre la libera vendita per i giornali come si è fatto per le medicine senza ricetta. Il prezzo va mantenuto basso, riducendo il numero di pagine. Qualcosa si può limare sul costo della carta, ma non puoi chiedere grossi sacrifici altrimenti si perde la qualità. Già i nostri giornali hanno pochissimi corrispondenti, se in più si eliminano le norme di sostegno, alcuni rischiano di sparire e sarebbe una perdita per tutti. Certo, un ricco che oggi dovesse investire aprirerebbe un Lounge bar a Miami, piuttosto che fare un giornale. Ma se i conti dello stato non consentono più aiuti a un settore delicato e meritorio come la carta stampata, perché non finanziarla con l'8 per mille? Sarebbe un'idea meritoria per salvare un'impresa meritoria, come pagare l'ingresso in un museo, tutelare il teatro classico e l'opera lirica, dare ossigeno a un settore vitale, senza penalizzarlo per la mancanza di lettori ordinari”.