Obama nell'alto dei cieli
Il “God gap” è colmato, spiegano le analisi, Wall Street Journal in testa, e soprattutto sul fronte cattolico: Barack Obama, scrive il Wsj, ha raccolto il 54 per cento tra i “regular churchgoers” cattolici, contro il 45 di McCain e ha eroso anche il consenso evangelico per i repubblicani (74 per cento contro il 78 del 2004). Ha trasformato un fattore di debolezza in un punto di forza.
Il “God gap” è colmato, spiegano le analisi, Wall Street Journal in testa, e soprattutto sul fronte cattolico: Barack Obama, scrive il Wsj, ha raccolto il 54 per cento tra i “regular churchgoers” cattolici, contro il 45 di McCain e ha eroso anche il consenso evangelico per i repubblicani (74 per cento contro il 78 del 2004). Ha trasformato un fattore di debolezza in un punto di forza: John Kerry, nel 2004, perse proprio la sfida del voto cattolico contro George W. Bush. In generale, Obama ha ridotto il voto religioso ai repubblicani dal 61 al 55 per cento, ottenendo quasi per intero i voti protestanti neri e soprattutto la grande maggioranza del voto cattolico ispanico. Come ha detto John Green del Pew Forum on Religion and Public Life, “Obama è riuscito a far lavorare in suo favore la religione molto di più di quanto altri democratici abbiano mai fatto”.
Da valutare è il peso che il voto religioso eserciterà sull'agenda del nuovo presidente, ma anche il contraccolpo che produrrà sull'atteggiamento della gerarchia cattolica, che tendenzialmente stava con McCain. L'arcivescovo di Denver Charles Chaput, che era stato assai duro con Obama (“più un cattolico è seriamente impegnato e meno vota per Obama”), ha ad esempio ammesso che il “voto dei latini per Obama non li rende meno cattolici impegnati, ma significa che hanno votato in base ad altre esperienze”. Più caustico, il reverendo Thomas J. Reese, del Woodstock Theological Center della Georgetown ha scritto che “i cattolici hanno ignorato le istruzioni di un gruppo di vescovi vocianti”. Deal Hudson di InsideCatholic.com ha notato che non solo sono stati i cattolici “che vanno a messa” a votare Obama, ma proprio “quelli che lavorano nelle parrocchie e nel volontariato, nonché molti del mondo giuridico o impegnati in politica”.
Mentre il tono delle congratulazioni del cardinale Francis E. George, presidente della Conferenza episcopale, è apparso assai propositivo e disponibile a collaborare “in difesa dei più deboli e della vita e della dignità della persona umana”. Di certo, il mondo cattolico è oggi in movimento. Un editoriale del Catholic News Service scrive che “la riconciliazione dopo le elezioni è possibile”, intendendo con ciò la riconciliazione tra i fedeli di diverso schieramento. Mentre il National Catholic Reporter, dalla linea ultraliberal e che aveva bollato come “futile campagna elettorale” l'appello di molti vescovi a non votare democratico, sintetizza il problema: “La presidenza Obama provocherà una ‘chiesa in resistenza', con vescovi e sacerdoti a combattere dal pulpito contro la nuova Amministrazione e la sua agenda abortista”, oppure “spingerà tutti i cattolici a interrogarsi sul bene comune dell'intera famiglia umana”. E si augura che l'obiettivo del presidente eletto sia di “superare le vecchie divisioni”.
Bisognerà dunque attendere di conoscere l'agenda obamiana. Finora le domande hanno riguardato più che altro il “tipo di religione” di Obama. E soprattutto quale significato attribuire al suo tentativo di riposizionarsi dalla più classica posizione pro-choice a quella di un “right to life” tutto da definire. Così come ora si attende di scoprire le implicazioni del suo essere contrario ai matrimoni gay, soprattutto dopo la vittoria della Proposition 8 californiana per l'abolizione del “marriage”, passata con i voti di una buona fetta del suo elettorato.
Massimo Faggioli, storico della chiesa vicino alla “scuola bolognese” e docente a Boston, ha ricostruito in un saggio per la rivista Il Regno il percorso perfettamente scandito che ha permesso al candidato democratico di recuperare il consenso dell'elettorato religioso. Dal 2006, quando parlando a un'organizzazione di cristiani liberal aveva criticato pesantemente i democratici che chiedono ai credenti di lasciare la religione fuori dalla politica, all'abbandono della United Trinity Church del reverendo Wright fino all'ammorbidimento, almeno teorico, sull'aborto: elemento chiave dell'“accettabilità” di Obama da parte di molti cattolici. Non certo i conservatori intransigenti come George Weigel, che a caldo ha elencato i punti dolenti da valutare: “Se il presidente metterà la firma al Federal Freedom of Choice Act, che liberalizzerebbe l'aborto”; o se riproporrà l'Hyde Amendment, che permette di stanziare fondi federali per l'aborto, o la “Mexico City Policy” sul finanziamento alle organizzazioni internazionali che promuovono politiche abortiste. E ancora, Bush aveva usato il veto presidenziale per bloccare l'erogazione di fondi federali alle ricerche sulle cellule staminali embrionali.
Che farà Obama? Al taccuino di Weigel va poi aggiunto il problema delle nomine alla Corte suprema che Obama potrebbe essere chiamato a fare e che preoccupano i pro life quasi più del resto. Sull'altro fronte, i cattolici liberal sperano nelle sue idee di sostegno welfaristico alla maternità, sul fatto che Obama potrebbe venire incalzato, in Congresso, dalla folta e agguerrita pattuglia di democratici che ormai si muovono apertamente sul fronte pro life.
A rendere oggi possibilista anche la gerarchia che avrebbe preferito – in linea con il Vaticano – la vittoria di McCain, ci sono invece gli orientamenti di politica sociale di Obama. Prima fra tutti l'intenzione di incrementare la “faith-based initiative”, ovvero il sostegno finanziario alle organizzazioni di base religiose che svolgono attività di volontariato e welfare. Il sostegno pubblico al loro operato era stato uno dei punti più innovativi dell'Amministrazione Bush e giudicato negativamente dai liberal, che lo ritengono semplicemente un passo verso lo smantellamento del welfare statale. Ma su questo Obama ha sfidato i suoi, dichiarando che le attività faith-based “sono particolarmente adatte a offrire solidarietà e aiuto, perché il cambiamento non arriva dall'alto, ma dal basso, e poche organizzazioni sono vicine alla gente più delle nostre chiese, sinagoghe, templi e moschee”. E ha anzi incalzato, affermando che in realtà Bush ha fatto troppo poco.
Un aspetto invece ancora poco analizzato del pensiero religioso di Obama è il suo esibito riferimento al grande teologo americano del secolo scorso, Reinhold Niebuhr. Ammiratore di Sant'Agostino, Niebuhr è noto per le sue posizioni sociali progressiste, ma soprattutto per il suo elogio del “realismo politico” di contro a ogni idea “messianica” della religione americana. “Da lui prendo l'idea che c'è il male nel mondo, e che noi dobbiamo essere umili nel nostro ritenere di poterlo eliminare; ma che questa non è una scusa né per il pessimismo né per l'inazione”, ha detto Obama. Dunque una visione imperfettistica, fermamente contraria a ogni “ingegneria sociale”, che potrebbe non dispiacere alla dottrina sociale cattolica ancor più del conservatorismo compassionevole di marca evangelica di Bush. Resta che il grande feeling tra gerarchia e Amministrazione repubblicana sui “valori non negoziabili” e sulla “laicità positiva”, come la chiama l'ambasciatrice presso la Santa Sede Mary Ann Glendon, mai messo in crisi nemmeno dalle critiche sull'Iraq, sembra destinato a tramontare. E questo in un momento in cui, a livello mondiale, la chiesa cattolica soffre su molti fronti.
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