Accordato a una bambina inglese il diritto a rifiutare un trapianto
La Cassazione scrive l'ultimo atto sulla vita di Eluana Englaro
E' arrivato il momento che, con teatralità convenzionale, molti definiscono “l'ora della verità” e “l'ultimo atto” nella vicenda di Eluana Englaro, la ragazza da sedici anni in stato vegetativo per la quale il padre chiede l'interruzione dell'idratazione e dell'alimentazione.
E' arrivato il momento che, con teatralità convenzionale, molti definiscono “l'ora della verità” e “l'ultimo atto” nella vicenda di Eluana Englaro, la ragazza da sedici anni in stato vegetativo per la quale il padre chiede l'interruzione dell'idratazione e dell'alimentazione. La Corte di cassazione è riunita da ieri in camera di consiglio per decidere se respingere o accogliere il ricorso con il quale la Procura generale di Milano si è opposta al decreto di Corte d'appello che, nello scorso luglio, attribuiva al padre di Eluana la possibilità di ottenere quell'interruzione.
Un decreto che crea le condizioni per comminare la morte per fame e per sete a una persona (che non è una malata terminale, nella quale sono evidenti i segni di passaggio dal sonno alla veglia, che non è soggetta a particolari trattamenti medici ma è solo nutrita e idratata, perché da sola non potrebbe bere e mangiare) in base a una sorta di testamento biologico desunto da dichiarazioni di terze persone, e in base a un discutibile “accertamento” di stato vegetativo “permanente” e “irreversibile”. Questa definizione è però da tempo respinta dalla comunità scientifica internazionale. Ormai si deve parlare tutt'al più di stato vegetativo “persistente”, senza che sia possibile concludere per la sua irreversibilità (condizione richiesta dal decreto della Corte d'appello di Milano per poter procedere al distacco del sondino attraverso cui a Eluana sono somministrati acqua e nutrimento).
Il sostituto procuratore generale della Cassazione, Domenico Iannelli, ha ieri sostenuto di fronte ai giudici della Suprema Corte che il ricorso della Procura generale di Milano contro il decreto non è ammissibile, perché non è intervenuto a tutela di un interesse pubblico, ma a proposito di “una situazione soggettiva individuale”, non di pertinenza della Procura generale. Secondo Iannelli, insomma, la Procura non era legittimata ad intervenire con un ricorso in Cassazione. Se i giudici accoglieranno questa tesi, significherà che la sentenza di morte per Eluana Englaro diventerà definitiva. Il padre di Eluana, Beppino Englaro, potrà chiedere che si proceda al distacco del sondino in un hospice, in una struttura ospedaliera o a domicilio.
Si tratta quindi, per la Cassazione, di dare o meno il via libera a una sentenza di morte. Lo afferma, a suo modo, anche la curatrice speciale di Eluana, Franca Alessio, che aderisce in pieno alle richieste di Beppino Englaro: “Non si possono muovere dubbi sulle condizioni di Eluana, sono tali da anni. E' ora di lasciarla morire come chiede suo padre”. Questo significa che a un corpo sano e forte come quello di Eluana – capace di reagire, qualche settimana fa, a una forte emorragia, risolta senza interventi terapeutici – saranno inflitti giorni e giorni di fame e di sete, fino a un esito che qualcuno avrà certamente il coraggio di definire “naturale”.
Per l'americana Terri Schiavo, ci vollero quasi due settimane di agonia. Ma si può esserne certi: nessuno, tra i profeti della buona morte, è disposto a leggere i segni dell'attaccamento alla vita che anche un corpo muto sa dare, a chi voglia comprenderli e interpretarli con umiltà. Ieri, a ribadire con forza che somministrare liquidi e nutrimento a una persona in stato vegetativo non è mai accanimento terapeutico, è intervenuto il cardinale Javier Lozano Barragán, presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute. Ha parlato di “mostruosità” e ha detto che negare acqua e cibo a Eluana “sarebbe disumano”: “Il confine tra accanimento terapeutico e cure dovute – ha detto Barragán – deve stabilirlo il medico, ma resta fermo che alimentazione e idratazione non sono terapie straordinarie”. Anche l'Osservatorio per la tutela dei diritti dell'Associazione Dossetti parla di strada spianata “all'eutanasia”, mette in guardia da sentenze che riempiono arbitrariamente “vuoti legislativi” e chiede “alle forze politiche e ai mass media di avere più rispetto verso le tremila persone che vivono da anni in condizioni simili a Eluana. Stiamo seguendo molti casi di malati assistiti dai familiari nelle case – ha detto Corrado Stillo, responsabile dell'Osservatorio – spesso con la latitanza delle strutture sanitarie che lasciano soli coloro che si battono per la vita dei loro congiunti. Ci auguriamo che, malgrado la richiesta di oggi, Eluana possa vivere ed essere rispettata nella sua dignità”.
La dignità (della vita, della morte) è evocata anche in una notizia che arriva dalla Gran Bretagna e che fa discutere tutto il paese. Hannah Jones, tredici anni, ha ottenuto dall'Alta corte di poter rifiutare un trapianto di cuore. Il suo è stato gravemente danneggiato dalle terapie per una rara forma di leucemia che la affligge da cinque anni. Senza trapianto, non le restano più di sei mesi di vita. Ma la ragazzina, d'accordo con i genitori, ha deciso – scrive il Guardian – di “morire con dignità”. Ha detto che preferisce andare a morire a casa sua piuttosto che subire quell'operazione, che la costringerebbe a nuove cure antirigetto e non le garantirebbe la guarigione. Sono stati i suoi medici a ricorrere ai giudici, per ottenere l'allontanamento di Hannah dalla famiglia, accusata di ostacolare l'operazione necessaria. La bambina è stata quindi ascoltata dall'Ufficio di protezione dell'infanzia, che ha constatato l'irremovibilità della sua decisione. E ora l'Alta corte britannica, dopo ulteriori verifiche, ha giudicato che la piccola è “matura abbastanza per poter decidere”.
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