Diario di due economisti
Più infrastrutture e meno tasse sui profitti per uscire dalla crisi
Con meno di 400 parole Paul Krugman ha risolto sul New York Times il problema della politica fiscale degli Stati Uniti. A Krugman, recente Nobel per l'Economia e guru liberal, è venuto il sospetto che la politica fiscale di Obama potrebbe essere troppo morbida. E perciò ha quantificato lo stimolo fiscale necessario alla ripresa. Il 4 per cento del pil, 600 miliardi di dollari.
Con meno di 400 parole Paul Krugman ha risolto sul New York Times il problema della politica fiscale degli Stati Uniti. A Krugman, recente Nobel per l'Economia e guru liberal, è venuto il sospetto che la politica fiscale di Obama potrebbe essere troppo morbida. E perciò ha quantificato lo stimolo fiscale necessario alla ripresa. Il 4 per cento del pil, 600 miliardi di dollari. Una stima ottenuta usando la teoria e le relative equazioni che si trovano sui libri di testo del primo anno degli studenti di macroeconomia.
Per la verità sono equazioni che si rifanno a un modello semplificato sul quale non c'è accordo tra gli economisti. Un modello secondo il quale nel breve periodo i livelli dell'occupazione e della produzione dipendono esclusivamente dalla domanda. Secondo il modello, quando prodotto e occupazione fluttuano al di sotto o al di sopra dei livelli normali, la politica monetaria e la politica fiscale sono in grado di stabilizzarli. Anzi nelle attuali condizioni eccezionali, ragiona Krugman, la politica monetaria perde la sua efficacia. Rimane la politica fiscale, l'unico gioco in città. E, secondo Krugman, bisogna giocare duro. Anche perché se il gioco fosse troppo duro, ossia se la politica fiscale fosse troppo espansiva, non ci sarebbe da preoccuparsi perché a quel punto Bernanke potrebbe aumentare i tassi per raffreddare l'economia. Ergo, serve una politica fiscale aggressiva.
Quanto? La stima di Krugman comincia dalla Legge di Okun e dal tasso “naturale” di disoccupazione. Quest'ultimo è il tasso di disoccupazione che si accompagna al funzionamento normale di un'economia. In America è al 5 per cento, dice Krugman, o anche di meno. La legge di Okun stabilisce che ogni punto di disoccupazione al di sopra del 5 per cento provoca una deviazione di due punti percentuali del prodotto dal suo livello potenziale – il gap del pil. Con una disoccupazione effettiva (non naturale) che sta aumentando rapidamente verso l'8,5 per cento è perciò necessario uno stimolo fiscale per chiudere un gap di sette punti. Con un moltiplicatore pari a 2, conclude Krugman, il pacchetto fiscale deve essere il 4 per cento del pil.
Il ragionamento di Krugman è minato da vari errori. Il principale è che il tasso naturale di disoccupazione non è fisso. Se, come è probabile, in America esso è aumentato per ragioni strutturali, ragionamento e stime perdono di significato. Ma è applicabile all'Europa? Nemmeno. Intanto, il “metodo di calcolo” è inapplicabile perché la Legge di Okun non funziona così bene come per gli Stati Uniti. Poi, perché in Europa la politica monetaria ha più gradi di libertà, visti i livelli dei tassi d'interesse, che infatti la Bce si appresta a tagliare di nuovo (dopo averli aumentati sino a giugno). Tuttavia, uno stimolo fiscale è invocato anche per l'Europa. Per la verità, fino a oggi i governi europei si sono occupati di banche e ora si baloccano con progetti palingenetici di rifondazione dell'ordine finanziario mondiale.
Progetti sbagliati perché le regole già ci sono (anche se possono essere migliorate) e inutili perché qualunque futuro ordine monetario internazionale dipende da Stati Uniti e Cina. Più utilmente i governi europei potrebbero coordinarsi per realizzare rapidamente quel progetto di investimenti infrastrutturali di cui si parla da tempo. Poi ci sono le politiche nazionali. Qui l'Italia ha pochi gradi di libertà a causa del debito pubblico. Li dovrebbe usare tutti per stimolare gli investimenti privati, detassando i profitti. E magari allentando il vincolo del debito vendendo attività del suo patrimonio.
Il Foglio sportivo - in corpore sano