Consiglio dopo Trento
La situazione economica è quella che è. Le preoccupazioni di intere aree sociali non potranno che crescere nel medio periodo. Ci vorrebbe il massimo di serenità possibile pur in un sistema politico profondamente diviso.
La situazione economica è quella che è. Le preoccupazioni di intere aree sociali non potranno che crescere nel medio periodo. Ci vorrebbe il massimo di serenità possibile pur in un sistema politico profondamente diviso. Ma non solo c'è un Partito democratico che non ha una salda direzione, c'è anche un sindacato del peso nazionale della Cgil che è largamente allo sbando: non firma accordi pur non disprezzabili, quando firma lo fa con il mal di pancia, lancia scioperi generali privi di una seria piattaforma ed è incapace di spiegare ai suoi iscritti quale è la vera situazione del paese.
Si alimentano così tensioni generalizzate che si assommano alle già vaste preoccupazioni in circolazione. Il che peraltro non favorisce l'opposizione né quella politica né quella sociale, che alla fine tendono a essere condannate dall'opinione pubblica per il loro sbandamento, ma può generare sentimenti di complessiva sfiducia verso politica e istituzioni.
Il recente voto per la provincia di Trento, che andrebbe letto con un minimo di rispetto per la realtà (cioè confrontando elezioni omogenee: il centrosinistra cinque anni fa aveva il 60 per cento e scende al 57, il centrodestra aveva il 30 per cento e sale al 36) ha confermato sostanzialmente una cosa: chi ha saputo fare scelte concrete – come l'amministrazione provinciale di Trento – mantiene, anche in un quadro in movimento, ampia parte del proprio elettorato. E d'altro canto è la concretezza dell'azione governativa centrale che ha consolidato il consenso, un po' scosso ma reale, verso il centrodestra nazionale.
Non c'è però solo il governo centrale né il governo centrale da solo è in grado di indirizzare gli umori di fondo di tutta la società. Si consideri anche solo la partita scuola e università: i contributi riformisti più incisivi tendono a provenire dal Corriere della Sera con Francesco Giavazzi e Giovanni Sartori, dal Riformista con Marco Santambrogio e Claudia Mancina. Persino l'intervento di Mario Pirani sulla Repubblica esponeva una mirabile logica modernizzatrice. A parte alcune voci, tra queste il mio compagno di scopone Stefano Zecchi e lo splendido Giorgio Israel, la pars construens del centrodestra è debole. C'è un fior fiore di giovani dai sentimenti liberali e anche conservatori, che prendono un sacco di voti alle elezioni scolastiche e universitarie. Ma appaiono un po' spersi, incapaci di iniziativa. Il governo ha una solida maggioranza, la sponda dell'intellighentsija (che ha votato a sinistra ma non vuole morire sotto rettori e Cgil) aiuta, ma si sente che manca qualcosa.
E questo per ciò che riguarda la dimensione nazionale. Ancora più opacamente vanno le cose per il centrodestra sul territorio. Si è detto del voto Trentino (e questo vale anche per Bolzano dove si era votato qualche settimana fa). Su questo voto vale una considerazione di fondo: se si toglie dal Trentino Alto Adige un leader incisivo di Forza Italia come Michaela Biancofiore per cercare (vanamente) un accordo con la Svp al fine di far cadere il governo Prodi, poi non ci si può lamentare se alla prime elezioni si è puniti severamente e la leadership viene assunta dalla Lega Nord, un bel partito compatto che sa far crescere e protegge i suoi amministratori.
C'è sempre un momento in cui un governo deve rifiatare e per farlo deve appoggiarsi “al territorio”, contare su regioni ed enti locali che sorreggano la riforma federalista, sostenere il sistema di sanità pubblica elemento decisivo nell'interlocuzione con la società, saper trasformare in realizzazioni i progetti di opere pubbliche e disporre dunque di intelligenti amministratori capaci di passare dai progetti ai fatti, magari anche recuperando risorse. Se le città saranno invase poi dal cemento, il governo centrale non potrà non prendersi una parte delle maledizioni delle popolazioni infastidite (soprattutto se l'amministrazione locale ha lo stesso colore di quella nazionale).
Bassolino, Vendola, Galan e Alemanno
E' un bene che molti amministratori di sinistra da Nichi Vendola ad Antonio Bassolino, Sergio Chiamparino, Vasco Errani, Massimo Cacciari dimostrino molto più buon senso di Guglielmo Epifani e di Walter Veltroni. Però il centrodestra non si può non preoccupare dei “suoi” che se la situazione dovesse arrivare a nuove strette saranno elemento centrale della comunicazione con il paese. Raffaele Lombardo si è dimostrato un leader siciliano di ben maggiore vigore del pur abile Totò Cuffaro: ma si è riusciti a costruire un rapporto strategico con lui? Roberto Formigoni è di serie A ma si riesce a fargli giocare una qualche grande partita? Letizia Moratti appare in evidente difficoltà, non è possibile aiutarla a uscire dalla sorta di avvitamento che sta vivendo? E' finita la fase cazzara di Giancarlo Galan? Riuscirà a dare un contributo allo sforzo mostruoso di governare l'Italia? Gianni Alemanno riuscirà a decollare? Berlusconi è impegnato (bene) sia a far funzionare il governo sia a svolgere una funzione internazionale. La sua idea di essere l'unico “risolutore” però produrrà nel medio periodo qualche disastro sul territorio che peserà anche sull'azione del governo. Ha in Forza Italia alcuni uomini di valore. Tra quelli che conosco, Denis Verdini e Giancarlo Abelli. Li usi fino in fondo. Le truppe di An che dovranno dare vita presto al “nuovo” partito/popolo delle libertà comprendono spesso sperimentati organizzatori che potrebbero avere un ruolo decisivo per far uscire dall'inerzia la “macchina” del centrodestra nelle realtà locali. Sarà possibile utilizzare le loro capacità senza alimentare piccole guerre intestine, del tipo di quelle milanesi in corso?
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