Forza Emma
In una situazione complicata, chi si sta muovendo con tatto e intelligenza è Emma Marcegaglia (nella foto).
In una situazione complicata, chi si sta muovendo con tatto e intelligenza è Emma Marcegaglia. Ha avviato la trattativa sul sistema di contrattazione nazionale e aziendale che Luca Cordero di Montezemolo (anche per ottenere trattamenti di favore alla Fiat grazie a un rapporto privilegiato con Cgil e governo Prodi) aveva tenuto in un cassetto. La Marcegaglia ha interloquito con il governo senza subalternità, difendendo gli interessi delle imprese rispetto al sistema del credito che tendeva (e tende) a restringere i finanziamenti alla produzione. Ha spinto Palazzo Chigi a un difficile intervento di rottura con Bruxelles (e anche con Nicolas Sarkozy) per difendere l'industria italiana da una legislazione ambientale radicale nei tempi e per alcuni indici. Ha dato una mano, sia pure controvoglia, sulla partita Alitalia: attenta alle infrastrutture nazionali fondamentali per le imprese. Ha mantenuto il sangue freddo necessario con un Guglielmo Epifani incapace di darsi una rotta in preda come è ai vari potentati cigiellini, anche se è determinata a non accettare la politica dei veti dell'erede di Sergio Cofferati. Ha spiegato al governo come servano provvedimenti complessivi verso l'industria e non si possa tornare a scelte centrate solo della pur decisiva produzione automobilistica. Più in generale ha sostenuto tutte le spinte per quanto impopolari che vanno nel senso del risanamento di questa nostra scassata società, compreso un appoggio all'intrepida Mariastella Gelmini. Cosa, quest'ultima, che i presidenti fifoni di Confindustria (tipo Luigi Abete, tanto per fare un nome) avrebbero sicuramente evitato di fare.
Insomma coraggiosa, pacata, riformista, combattiva, aperta al dialogo anche con lo sbandato Epifani, attenta ai temi centrali d'interesse della sua associazione e dell'Italia. Ora deve inventarsi una nuova cornice per la sua iniziativa. L'idea di puntare su un rapido incremento della produttività come elemento di rilancio dell'economia italiana, grazie anche a un sistema di contrattazione aziendale incentivante, è oggi inceppata da una recessione che ha un'anima deflattiva depressiva della già non alta produttività complessiva del nostro sistema economico. Naturalmente è proprio in tempo di crisi che si imposta il rinnovamento – dovrebbero spiegarlo a quel demagogo da quattro soldi di Pier Ferdinando Casini che si oppone al federalismo – ed è dunque sbagliata la richiesta di Epifani di soprassedere sugli incentivi a straordinari e premi di produzione (come è sbagliata l'idea di non procedere sul federalismo fiscale). Detto ciò, quello di cui c'è veramente bisogno è un piano di investimenti pubblici che spezzi la spirale deflattiva e rilanci lo sviluppo. Infrastrutture, energia, interventi ecologici (magari anche per la produzione automobilistica ma in un quadro ampio di energy saving). Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti hanno annunciato alcuni importanti investimenti in questo senso: sarà determinante anche la tempestività delle scelte con tutti gli annessi e connessi sul piano di valutazione ambientale, appalti e così via. Confindustria che oggi esprime anche un grande impegno contro la criminalità dovrebbe aiutare il governo a cercare forme di “garanzia rapida” per lavori pubblici “puliti e veloci”, indispensabili per contrastare la crisi.
Le musate della Cgil e l'Euroconfindustria
Ma il nodo principale resta l'Europa. Se la grande politica è sempre anche grande politica estera, oggi pure la grande politica economica è politica estera. Così per Barack Obama che speriamo resista alle tentazioni protezioniste del suo programma e del suo partito democratico, e si concentri invece sul fondamentale tema dell'alleanza tra risparmio asiatico e debito americano. Così in Italia, dove decisivo per una politica antirecessiva è superare le resistenze tedesche (la solita Germania che si porta dietro la storica paura di sbilanciare la finanza pubblica: una paura ben giustificata da nazismo e Seconda Guerra mondiale) a un piano continentale di opere pubbliche e sostegno a produzione e risparmio di energia. Sarkozy (che peraltro dovrebbe resistere alla tendenza di fare lo sbruffone e contenere la querula neoconsorte) e Berlusconi hanno indicato questo obiettivo al Vecchio continente, bisogna lavorarci su. L'opera di una Confindustria che schieri i suoi colleghi europei, che interloquisca con la confederazione europea dei sindacati, che prema sul Partito popolare europeo e su quello socialista, condizionando così la Spd e anche i democristiani di Angela Merkel, può essere particolarmente preziosa.
Può essere anche il terreno per dare uno sbocco a Epifani. Il segretario della Cgil cambia ogni momento le alleanze interne: è partito con un asse con la Fiom e il pubblico impiego per liberarsi della tutela dei cofferatiani. Poi per gestire il suo rapporto con Romano Prodi ha rotto con la Fiom coprendosi con le federazioni industriali riformiste e il pubblico impiego, dopo per fare un inquadramento che gli consentisse di incoronare la sua erede Susanna Camusso, ha costruito un asse con le federazioni industriali riformiste e la Fiom. Infine avvinghiato nei suoi giochi di nomenclatura non è stato più capace di gestire i rapporti con Cisl, Uil, Confindustria e governo, così pubblico impiego e meccanici (più i pensionati guidati da una Carla Cantone che Epifani voleva emarginare) l'hanno costretto all'incredibile sciopero generale del 12 dicembre. Mentre i riformisti aspettano le musate che prenderà per regolare i conti. E' il momento per la Marcegaglia di portarselo un po' in Europa per attenuare le tensioni in Italia e aiutare a trovare soluzioni ragionevoli.
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