Il tesoretto del Pd (e l'opa)
Sarà un po' meno rossa di un tempo, sarà diventata un po' paonazza, ma resta il fatto che quel mondo fatto di banchieri, politici e capitani d'industria, quel mondo ancora oggi offre una delle prospettive migliori per comprendere gli equilibri di potere che si nascondono sotto il corpaccione del centrosinistra e per capire perché l'opa di potere sul Partito democratico comincia proprio da qui.
“Il nostro mondo deve essere come una signora della buona società inglese, che va sui giornali soltanto quando nasce e soltanto quando muore”.
Stralci di un discorso di Enrico Cuccia e Adolfo Tino ai dipendenti Mediobanca
Tra Milano, Torino, Brescia e Bologna il politico più a suo agio tra imprenditori, banchieri e capitani d'industria è ancora Massimo D'Alema. Ieri, peraltro, il Parlamento europeo ha respinto la richiesta della magistratura italiana di revocargli l'immunità parlamentare, in riferimento alle intercettazioni telefoniche sul caso Bnl-Unipol. Per scoprire i nuovi confini del mondo della finanza – un po' rossa e un po' paonazza – il modo migliore è partire da Milano, dove l'universo dalemiano mostra il suo profilo più deciso, più chiaro, più efficace, persino più trasversale. Red, per fare un esempio, è una cartina di tornasole utile per studiare le sfumature dell'opa politica lanciata da D'Alema sul Partito democratico. La costola della fondazione ItalianiEuropei, in pochi mesi, ha raggiunto quota cinquemila iscritti, ha aperto comitati in mezza Italia, ha inaugurato (sei giorni fa) la sua sede nazionale a Roma, in Piazza Campitelli numero uno, ed entro la fine di novembre inizierà il proprio tesseramento anche a Milano e a Bologna. Già oggi basta curiosare tra i nomi (ancora sotto embargo) dei tesserati e degli amici di Red per capire la solida rete di potere costruita dall'ex presidente del Consiglio.
A Milano, chi si occuperà di mettere in piedi il comitato dell'associazione dalemiana “Riformisti e democratici” è un avvocato milanese candidato due anni fa alla poltrona di vicesindaco, in ticket con Bruno Ferrante, e considerato oggi il vero pivot dalemiano nella finanza lombarda. Il suo nome è Carlo Cerami. Massimo D'Alema lo ha scelto per dirigere la sede lombarda di ItalianiEuropei e Cerami in pochi mesi è riuscito a migliorare i rapporti tra ex vicepremier e mondo della finanza cattolica. Dopo la candidatura al comune di Milano, Cerami ha abbandonato la politica ed è diventato uno dei personaggi chiave nel nord dalemiano: l'avvocato è buon amico del presidente della Cariplo, Giuseppe Guzzetti, è uomo assai ascoltato dal presidente della provincia di Milano, Filippo Penati, ha un buon feeling con il sindaco Letizia Moratti e da membro del consiglio di amministrazione di Cariplo ha costruito un ottimo rapporto con Bruno Ermolli. Grazie a Cerami, il Cav. e Max trovano nuovi punti di contatto, e quando la prossima settimana il governo sceglierà i cinque consiglieri che faranno parte del consiglio di amministrazione della società che gestirà l'Expo non ci si dovrà sorprendere, dunque, se uno dei nomi candidati a entrare in consiglio è proprio quello di Carlo Cerami.
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Oltre a Red e a ItalianiEuropei ci sono altri aspetti che spiegano bene come l'ex ministro degli Esteri sia riuscito a piantare al nord le sue più importanti bandierine di potere. “L'unico uomo del centrosinistra – racconta un importante consigliere di amministrazione di Generali, dietro la garanzia dell'anonimato – che a Milano può alzare il telefono e parlare senza problemi come e quando vuole con Cesare Geronzi, con Vincent Bollore e con Fabrizio Palenzona è sempre lui: D'Alema”.
Un caso interessante è quello che riguarda la prima banca italiana, IntesaSanPaolo. Le affinità tra D'Alema e Intesa sono state consacrate pubblicamente grazie al famoso caffè offerto da Giovanni Bazoli all'ex presidente del Consiglio, il 24 maggio di un anno fa. I rapporti tra i due sono tuttora cordiali, ma i contatti migliori nella prima banca d'Italia D'Alema li ha con altri due dirigenti. Il primo è il direttore generale Pietro Modiano. Il secondo è l'amministratore delegato Corrado Passera.
Modiano è da tempo legato con il vecchio mondo che fu dei Ds e ancora prima del Pds. Sua moglie è l'ex ministro per le Pari opportunità del governo Prodi (Barbara Pollastrini) e, tre anni fa, è stato il manager sul quale D'Alema dicono avesse puntato per provare a sostituire (senza successo) Matteo Arpe nel ruolo di amministratore delegato di Capitalia. Tra i due, però, il clima è peggiorato, e se c'è un manager con il quale oggi D'Alema ha un ottimo rapporto è Corrado Passera (ovvero il più forte, oggi, tra i tre capi di Intesa). L'ex ministro degli Esteri e l'ad si conoscono da tempo, condividono una vecchia amicizia con il numero uno di Air One (Carlo Toto) e sono rimasti in contatto stretto anche nei giorni in cui la Cai di Roberto Colaninno (anche lui non certo distante da D'Alema) ha formalizzato la sua prima offerta per acquistare Alitalia. Nel corso dell'estate il presidente di ItalianiEuropei è stato il politico di sinistra che più si è impegnato per evitare che la cordata Cai si trasformasse in un flop. E di quella cordata si è fatto garante anche Enrico Letta. Negli ultimi mesi, il ministro ombra del Pd, nipote di Gianni, ha costruito un ottimo rapporto con il network legato alla Confindustria di Emma Marcegaglia (che in Cai ha investito personalmente dieci milioni di euro), e la ragione di questo legame sta nella buona amicizia tra Letta e la presidente della Confindustria dell'Emilia Romagna, Anna Maria Artoni, fondatrice dell'associazione Vedrò di cui lo stesso Letta è presidente.
Dal punto di vista politico, l'immagine migliore per comprendere l'origine del “dalettismo” (D'Alema più Letta) è ancora quella di Red (il presidente Paolo De Castro è l'uomo che ha organizzato la campagna elettorale di Letta, alle primarie del 2007, e il direttore, Ernesto Carbone, con Letta si è candidato all'assemblea costituente del Pd). Anche per quanto riguarda i rapporti tra finanza e politica, i punti di contatto tra Letta e D'Alema sono sempre di più. “Letta – spiega ancora il consigliere di amministrazione di Generali – sta ereditando gran parte di quella rete di potere che fino a qualche mese fa era salda nelle mani di Romano Prodi”. L'ex presidente del Consiglio – oggi uomo Onu per l'Africa – ha deciso di condividere con il suo ex sottosegretario molte relazioni costruite negli ultimi dieci anni. Un po' perché Prodi si fida di Letta. Un po' perché Letta viene considerato da Prodi l'ultimo figlioccio politico dell'ex ministro dell'Industria, e inventore dell'Ulivo, Beniamo Andreatta. (Letta è stato capo della segreteria di Andreatta dal 1993 al 1994 e oggi è presidente del centro studi fondato dallo stesso Andreatta: l'Arel). Nel Pd, Letta ha oggi i rapporti migliori sia con Alessandro Profumo sia con Giovanni Bazoli (il nipote di secondo grado del numero uno di Intesa, Alfredo Bazoli, è segretario provinciale del Pd bresciano ed è vicino a Enrico Letta).
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Tutta l'attenzione che Walter Veltroni aveva dedicato al nord, nel corso della sua campagna elettorale, non ha permesso al segretario del Pd di incassare un sostegno diretto da parte dell'establishment lombardo. Veltroni ha un buon rapporto sia con il mondo confidustriale legato a Matteo Colaninno (deputato del Pd e fino a pochi mesi fa presidente dei giovani di Confindustria) sia con il numero uno di Telecom, Franco Bernabé. Con Profumo, però, le relazioni non sono più buone come un tempo. Dice un dirigente del Pd, che chiede l'anonimato, che “se nel corso dell'ultima campagna elettorale Veltroni aveva pensato persino di offrire un incarico politico a Profumo, e se fino ad aprile non era difficile incontrare Profumo dalle parti del Loft, ultimamente il numero uno di Unicredit ha raffreddato i rapporti con il segretario”.
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Una città non ostile all'universo veltroniano c'è, ed è Torino. Il sindaco Sergio Chiamparino – che di Veltroni è sponsor e alleato – ha costruito uno degli ultimi fortini politici (sostenuto anche dalla Fiat) in grado di confrontarsi con il sistema dalemian-lettiano. Soprattutto grazie al ruolo dell'avvocato Angelo Benessia. Benessia – nome importante per comprendere da dove nascono i recenti bisticci tra i banchieri milanesi e quelli torinesi di Intesa San Paolo – è stato vicepresidente della Fiat e del gruppo Rcs, mentre nel 1999 è stato scelto dall'azienda torinese per rappresentare il Lingotto in Telecom Italia. (Da Telecom Benessia uscì dopo un durissimo litigio con l'allora numero uno Roberto Colaninno). Oggi, è il presidente della fondazione San Paolo, è il primo azionista singolo di Intesa San Paolo (con il 7,6 per cento) ed è anche l'uomo che Chiamparino ha scelto come principale consulente del suo comune. Lo si è scoperto a luglio, quando il sindaco di Torino, commettendo un piccolo errore, ha distribuito ai consiglieri comunali il programma economico della città dimenticandosi però di cancellare dall'intestazione del documento la firma dello studio legale che aveva scritto il progetto: quello dell'avvocato Angelo Benessia. Chiamparino vuole puntare su di lui per dare una nuova centralità al capoluogo piemontese. Lo scontro in corso tra Pietro Modiano e Corrado Passera segnala anche i difficili equilibri politici-finanziari tra Torino e Milano. La fusione tra Intesa e San Paolo (registrata nelle pagine del gossip finanziario come l'operazione in cui i “pallidi” hanno sconfitto gli “abbronzati”: dove per abbronzati si intendono i dirigenti di San Paolo che furono richiamati dalle vacanze solo al termine della fusione che i “pallidi” dirigenti di Intesa avevano studiato in segreto nei mesi estivi) è vista ancora oggi come una genuflessione di Torino nei confronti di Milano.
Per provare a pesare di più, l'idea di Chiamparino è di dare la possibilità all'avvocato Benessia di diventare il numero tre di Intesa San Paolo: operazione che richiede il sacrificio dell'uomo che da sempre rappresenta Torino nella banca di Bazoli e Passera: Enrico Salza, presidente del consiglio di gestione. Due episodi significativi. Il primo riguarda il progetto di un grattacielo che Intesa vuole costruire a Torino. Un grattacielo che Salza vuole con insistenza e sul quale il sindaco Chiamparino e l'avvocato Benessia invece non sono d'accordo. Il secondo, che segnala una certa pressione politica sulle spalle di Salza, è raccontato nell'articolo qui in basso. C'è chi dice, inoltre, che una delle grandi scommesse politico-finanziarie dell'universo dalemiano-lettiano sia quella di riuscire a costruire un legame con Chiamparino. Pur non avendo buoni rapporti né con D'Alema né con Letta, qualche tratto in comune tra i due mondi è stato notato. Tre settimane fa, Letta e Chiamparino sono stati i principali artefici di un'operazione che ha messo insieme i due colossi energetici del Piemonte e dell'Emilia Romagna (Enia e Iride). Un'operazione che ha indispettito il sindaco di Bologna Sergio Cofferati e che ha visto come principali artefici del progetto Chiamparino da un lato e il sindaco lettiano di Piacenza, Roberto Reggi, dall'altro.
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Ma per seguire il filo che mette insieme Roma, Siena, Brescia, Milano e Torino, bisogna fermarsi in quella regione considerata la vera polpa della finanza rosso paonazza: l'Emilia Romagna. A Bologna, l'universo di Unipol oggi ha un profilo diverso rispetto a quello che aveva negli anni in cui regnavano Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti. Se Sacchetti e Consorte – che nell'estate di tre anni fa provarono a costruire con poco successo un polo bancario assai gradito al centrosinistra – erano manager molto legati a Pierluigi Bersani e a Massimo D'Alema, oggi i due nuovi numeri uno di Unipol sono simbolo della discontinuità con i vecchi equilibri politici. Pierluigi Stefanini e Carlo Salvadori (presidente e amministratore delegato) sono vicini a Veltroni, tanto che una delle possibili soluzioni indicate in un primo momento dal segretario del Pd per la successione di Cofferati a Bologna era stata proprio quella di Stefanini.
Il mondo delle cooperative, e quello politico-finanziario dell'Emilia Romagna si intreccia ancora una volta con quello di D'Alema grazie a Red. Tra i nuovi iscritti all'associazione dalemiana si trovano nomi interessanti: Pietro Cavrini (vicepresidente della Società Cooperativa Agricola Co.Pro.B. e uomo ponte di D'Alema con le confcooperative), Luciano Sita (presidente di Legacoop Agroalimentare), Giuseppe Politi (presidente della confederazione italiana agricoltori e in buoni rapporti con i vertici Unipol), Francesco Pugliese (direttore generale di Conad Italia) e soprattutto Federico Minoli, ex amministratore delegato della Ducati, presidente della Fiera di Bologna e uno dei punti di riferimento di D'Alema nell'establishment emiliano.
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Sarà un po' meno rossa di un tempo, sarà diventata un po' paonazza, ma resta il fatto che quel mondo fatto di banchieri, politici e capitani d'industria, quel mondo che si ritrova perfettamente nelle parole che Cuccia e Tino (fondatori di Mediobanca) usavano per introdurre i dipendenti all'interno della propria banca (“Il nostro mondo deve essere come una signora della buona società inglese, che va sui giornali soltanto quando nasce e soltanto quando muore”), ecco, quel mondo ancora oggi offre una delle prospettive migliori per comprendere gli equilibri di potere che si nascondono sotto il corpaccione del centrosinistra e per capire perché l'opa di potere sul Partito democratico comincia proprio da qui. (2.fine)
Leggi la prima puntata I soldi, le banche e la sinistra
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