Onda della foresta
Se gli studenti impareranno da Obama e dal modello Harvard per la Gelmini sarà un trionfo
L'Onda si sfogherà ancora, accompagnerà il 12 dicembre lo sciopero dello sbandato Guglielmo Epifani, occuperà anticamere di rettorati, ascolterà spettacolini de las mumias, da Dario Fo a Sabina Guzzanti (mummia giovanile), ma è in pieno riflusso. Il disastro finale è stata l'assemblea nazionale alla Sapienza di Roma nello scorso weekend.
L'Onda si sfogherà ancora, accompagnerà il 12 dicembre lo sciopero dello sbandato Guglielmo Epifani, occuperà anticamere di rettorati, ascolterà spettacolini de las mumias, da Dario Fo a Sabina Guzzanti (mummia giovanile), ma è in pieno riflusso. Il disastro finale è stata l'assemblea nazionale alla Sapienza di Roma nello scorso weekend. Federico Orlando su Europa vede in quell'assemblea una generazione pragmatica, “conoscitrice dei problemi che sfida il potere nella capacità di superarli. Cioè nel riformismo”. Marco Bascetta sul Manifesto ci vede la rivolta del lavoro cognitivo che, sconfitto ormai il liberismo, “rifiuta il nesso formazione e lavoro”. Franco Piperno scrive su Liberazione che: “Il movimento ritorna nei suoi luoghi di origine, inebriato dalla condivisione della presenza”. Riformismo di massa? Soglia dell'abolizione della divisione tra lavoro manuale e intellettuale? Ritorno di inebriati? E' meglio leggersi sull'Unità l'analisi di Marco Simoni. Che da una parte afferma: “E' ingiusto valutare un movimento solo dalla qualità delle proposte”. Dall'altra aggiunge: “Il linguaggio usato è lontano anni luce dalla sintesi comunicativa tipica della modernità”. Un programma deplorevole in una lingua lontana “anni luce” dalla modernità.
Basta, peraltro, sfogliare i punti dell'assemblea della Sapienza per cogliere come la magnifica Onda, pragmatista ma anche inebriata ed espressione della rivolta del lavoro cognitivo, abbia messo insieme un programma da forestali calabresi: un po' di soldi, esami più facili, sciocchezze sull'accorpamento tra ordinari e associati, cinema gratis, un'abolizione a capocchia del 3+2 (riforma che al contrario di quel che pensa Orlando è stata impostata da Luigi Berlinguer e Guido Martinotti). Ora, mentre le rivendicazioni dei disoccupati calabresi parlano al cuore e, anche a chi non condivide incrementi irrazionali della spesa pubblica, trasmettono motivazioni comprensibili. L'esplosione di rivendicazioni miserevoli e corporative degli studenti “ondeggianti” mette tristezza.
Gli studenti dell'Onda mobilitati come cagnolini da guardia del baronato per difendere lo status quo, una volta che i rettori si dividono e iniziano a trattare con il ministero, si trovano senza guida. Non possono contare su un Epifani incapace di dirigere il suo sindacato, figurarsi di costruire un nuovo Sessantotto. Raccolgono i resti dell'estremismo linguistico in circolazione, impapocchiano una pietosa piattaforma, passano la nottata alla Sapienza. Sono destinati a spiaggiare. Negli scontri politici, il riflusso di chi ti ha contrastato è la base per riprendere l'iniziativa, precisare gli obiettivi, conquistare gli incerti e neutralizzare gli sconfitti. Mariastella Gelmini deve dare adesso agli studenti l'occasione di partecipare realmente a una sfida per riconquistare il controllo del proprio futuro. La carica antibaronale degli ultimi sussulti dell'Onda va trasformata in forza positiva che indica la via di una vera riforma. Verità e concretezza sono le basi di un dialogo fruttuoso. Verità innanzi tutto sulla spesa pubblica: il nostro paese per riprendere a investire sui nodi strategici dello sviluppo ha bisogno di riassumere il controllo dei conti pubblici.
L'impegno di Giulio Tremonti è gigantesco. Per tagliare, bisogna tagliare dappertutto e il settore istruzione è toccato meno di altri. Si può distribuire meglio i sacrifici, ma senza scelte draconiane inizia il solito tira-e-molla che fa affogare l'Italia. L'atteggiamento degli studenti “ondeggianti” sintetizzato dallo slogan “non pagheremo la vostra crisi” è come “i me ne frego” delle frange borghesi che nella crisi della Nazione rinunciano a esercitare un ruolo di responsabilità democratica per cercare tragiche scorciatoie. Dalla crisi dell'Università si esce solo con una forte assunzione di responsabilità, innanzi tutto degli studenti. E per assumersi una seria responsabilità bisogna guardare in faccia la realtà per quella che è: dai conti dello stato a quelli dei nostri atenei, nei quali (anche in quelli “eccellenti”, con buona pace di politici opportunisti a difesa della propria parrocchietta) esistono margini di spreco insostenibili. Così le sedi distaccate per avere un voto in più per essere eletti rettori, i corsi a capocchia, il raddoppio degli ordinari in pochi anni. Vanno investiti molti più soldi per chi ricerca meglio ma la caccia allo spreco deve essere dovunque implacabile.
Come scrive Ida Dominijanni sul Manifesto, l'Onda dovrebbe farsi “toccare” dalla vittoria di Barack Obama. Dovrebbe riflettere come un'università costosa e di élite come Harvard sia stata la base per fare uscire un giovane meticcio e sua moglie nera dai ghetti di Chicago e farli diventare punti di riferimento della nazione americana. Non bisogna scartare dal nodo “tasse e privatizzazioni”: anche le università che resteranno pubbliche devono avere una logica privata, anche per rispondere ai bisogni di scientificità e formazione professionale degli studenti, e di ricerca pura e applicata della Nazione e del suo sistema produttivo. Oggi chiunque può constatare come uno studente della Bocconi sia più libero, più centrale nella vita della sua università, più aiutato a scegliere una professione, di un collega della Statale di Milano. Salvatore Settis dice che il sistema italiano non si può modernizzare perché c'è troppa evasione fiscale: ma una eclatante forma di evasione è che le università siano frequentate al 70 per cento da figli di famiglie che costituiscono il 30 per cento più ricco del paese e che dunque i meno ricchi paghino l'università ai più ricchi.
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