Razzi di Hamas sulle madri palestinesi

Giulio Meotti

Ashkelon è una delle città israeliane dove la sirena dell'allarme antimissile “Zeva Adom” (colore rosso) dà quindici secondi di tempo per trovarsi il migliore riparo dal missile palestinese in arrivo. E' una città industriale di mare dentro ai confini riconosciuti di Israele, centoventimila abitanti con le scuole, uffici e fabbriche a cui il sindaco ha dovuto ordinare, dopo la pioggia di razzi, un ulteriore rafforzamento delle finestre.

    Ashkelon è una delle città israeliane dove la sirena dell'allarme antimissile “Zeva Adom” (colore rosso) dà quindici secondi di tempo per trovarsi il migliore riparo dal missile palestinese in arrivo. E' una città industriale di mare dentro ai confini riconosciuti di Israele, centoventimila abitanti con le scuole, uffici e fabbriche a cui il sindaco ha dovuto ordinare, dopo la pioggia di razzi, un ulteriore rafforzamento delle finestre. Ha chiesto ai cittadini di costruirsi in fretta e furia rifugi domestici “nella stanza più sicura della casa”. Ma Ashkelon è anche la città dei miracoli. Dove le donne palestinesi di Gaza vanno a partorire in condizioni di difficoltà. E dove i medici israeliani si prendono cura di tutti, mentre l'altoparlante grida ininterrottamente “zeva adom”.

    E' come il reparto oncologia dell'ospedale Schneider di Petah Tikva, il trenta per cento dei bambini ospitati è arabo. Il “Centro Peres per la pace” organizza corsi per infermieri e medici israeliani e palestinesi. E all'ospedale Tel Hashomer di Tel Aviv un mese fa è arrivato un bambino iraniano di dodici anni, il primo, per essere operato d'urgenza di un tumore al cervello. Haula Fadlallah, palestinese della striscia di Gaza, è stata ricoverata all'ospedale Barzilai di Ashkelon per una gravidanza plurima: ha dato alla luce due maschi e due femmine, assistita da sette medici israeliani. Per cinque mesi, dottori e paramedici dell'ospedale Barzilai hanno assistito anche Vania Suleiman di Jabaliya, località nella striscia di Gaza. A causa di un ictus, Vania aveva perso conoscenza quando era incinta. I tentativi fatti all'ospedale di Gaza per stabilizzare le sue condizioni non avevano avuto successo e per questo era stata trasferita al Barzilai. Per settimane i medici israeliani si sono battuti per cercare di salvarle la vita e quella del bambino. Vania ha partorito il suo terzo figlio. Ma lei non ce l'ha fatta: è morta una settimana fa. Poche ore dopo un missile palestinese si abbatteva vicino all'ospedale, facendo tremare pareti e vetri. “Eravamo felici di veder nascere un bambino sano, e addolorati per il fatto che sua madre non abbia potuto vederlo”, dice il dottor Yosef Mashil. “Avevamo il cuore a pezzi, quando è morta”.

    Yediot Aharonot spiega che in questo momento sono 25 i palestinesi di Gaza ricoverati al Barzilai di Ashkelon, dove venerdì scorso un razzo Grad lanciato dalla Striscia di Gaza ha sfiorato di poco l'ospedale. “Se, il cielo non voglia, un Qassam dovesse centrare l'ospedale, a Gaza sicuramente festeggerebbero il ‘trionfo', senza pensare nemmeno per un secondo ai palestinesi che vi vengono curati”. Vi arrivano dopo che l'ospedale ha coordinato il loro trasferimento con i servizi sanitari di Gaza. E' un dialogo che non si interrompe mai, anche quando sono piovuti cento missili al giorno su scuole e ospedali e i bambini devono ripararsi sotto i banchi. “L'unico criterio decisivo è la lotta per salvare vite umane, anche quando fuori da queste mura infuria una guerra senza fine che punta a troncare vite umane”, afferma il quotidiano israeliano. “Mentre fuori dall'ospedale assistiamo a una guerra di morte e distruzione, all'interno dell'ospedale si combatte una battaglia per la vita dei pazienti senza badare alla loro identità nazionale”.

    A marzo una coppia di gemelli palestinesi era appena venuta al mondo quando è caduto sull'ospedale il primo missile. A soli cinquanta metri dal reparto. I gemelli sono stati portati nel bunker dell'ospedale. “Avevo una forte paura che colpissero i miei bambini”, ha detto la madre, Iman Shefi di Beit Lahiya, a nord della Striscia di Gaza. La cartella medica che le hanno consegnato era in ebraico, ma i medici israeliani le hanno parlato in arabo. L'ospedale si trova a una ventina di chilometri dal confine con la Striscia. Con i suoi 490 posti letto, 250 medici e 700 infermiere, la struttura cura sia le vittime israeliane dei razzi e i militari con la stella di David feriti nelle operazioni, ma anche le vittime palestinesi della guerra tra bande e i nuovi nati delle madri palestinesi. E' un'isola di vita in un lago di morte.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.