Dal Foglio di sabato 15 luglio 2006

Nella zona grigia tra India e Pakistan ecco chi è l'Osama indiano

Claudio Cerasa

Il 16 ottobre 2003 il dipartimento del Tesoro statuniitense ha inserito Dawood Ibrahim all'interno della lista dei terroristi globali. Sfruttando le sue identità e i suoi passaporti (ne ha uno yemenita, uno degli Emirati arabi, uno indiano, il cui ultimo timbro risale però al 1985) Dawood ha però accumulato negli ultimi tredici anni una cifra vicina ai 460 milioni di dollari.

    Dal Foglio di sabato 15 luglio 2006

    Il passaporto numero G866537 rilasciato l'11 agosto 1991 in Pakistan è stata l'ultima traccia scritta dal terrorista più ricercato d'India. “L'uomo più pericoloso del mondo”, ha scritto nel suo libro Gilberto King. Dawood Ibrahim, l'Osama bin Laden indiano, è stato probabilmente il principale regista della strage a Bombay di martedì scorso. Esattamente come 13 anni prima, in quel black friday del 1993 nella capitale finanziaria dell'India. “Bombay come Londra”. E poi. “India is now on the al Qaida map”, ha detto il giorno dopo la strage l'analista ed ex generale di divisione indiano, Ashok Mehta. Poche ore dopo l'attentato, fonti dell'intelligence prima e membri del governo indiano dopo hanno iniziato a scandire lentamente il suo nome. Dawood Ibrahim. Conosciuto anche come Dawood Ebrahim o Sheikh Dawood Hassan. Grazie a questi nomi e alla protezione dei servizi di intelligence pachistana, Ibrahim è latitante dal 1993. Subito dopo il documento numero 13224 rilasciato il 23 settembre 2001, la rete di congiunzione terroristica tra il Pakistan, l'Afghanistan e l'India, tutte collegate a Dawood, cominciano ad essere sempre più controllate.

    Il 16 ottobre 2003 il dipartimento del Tesoro statuniitense ha inserito Dawood Ibrahim all'interno della lista dei terroristi globali. Da tre anni i suoi fondi presenti negli Stati Uniti – dove Ibrahim aveva costruito parte della sua fortuna attraverso il traffico di droga proveniente prevalentemente dall'Afghanistan – sono stati tutti congelati. Gli Stati Uniti hanno invitato tutti i paesi delle Nazioni Unite a comportarsi allo stesso modo. Sfruttando le sue identità e i suoi passaporti (ne ha uno yemenita, uno degli Emirati arabi, uno indiano, il cui ultimo timbro risale però al 1985) Dawood ha però accumulato negli ultimi tredici anni una cifra vicina ai 460 milioni di dollari. Ma la chiusura dei conti ovviamente più di tanto non può essere utile. Considerando che di quelli intestati a Osama Bin Laden ne sono stati trovati 3 (uno da 304, uno da 342 e un altro da 1.585 dollari), mentre l'unico attribuito ad al Zawahiri contiene 5 dollari. E comunque poco prima del blocco delle transazioni dagli Stati Uniti sono arrivati nelle casse della banche pachistane, dove Dawood vive, circa 4 miliardi di dollari in pochissimi mesi. I soldi, il terrorismo come business più che come jihad sono alla base delle attività di Ibrahim. Uno dei primi a fare il suo nome nella sera di martedì è stato l'analista Bahukutumbi Raman.

    Negli ultimi tredici anni praticamente ogni atto terroristico attuato all'interno dei confini indiani ha avuto la firma di Ibrahim. La stessa battaglia pachistana per il Kashmir è stata più che altro utilizzata, da Ibrahim, e da al Qaida, come simbolo propagandistico utile soltanto per creare coesione nello scontro con gli induisti, prima, e con l'occidente poi. Durante la visita in India dello scorso marzo in India di George W. Bush gli integralisti islamici non hanno affatto gradito le parole del presidente americano sulla violazione dei diritti umani dei musulmani. E il collegamento della rete globale del terrorismo di al Qaida insieme a quella più localizzata induista era stata ufficializzata proprio sfruttando la presenza del nemico in India. Poco prima dell'arrivo di Bush nella penisola, per indicare la guerra contro l'occidente e contro l'asse del male cristiano, i jihadisti parlavano semplicemente di una lotta contro i crociati cristiani e quelli ebrei. Di una “Crusader-Jewish conspiracy against Islam”. Prima. E' bastata poi una semplice aggiunta, una modifica nell'identificazione del nemico contro cui concentrarsi. Da marzo in poi per i jihadisti si combatteva contro una cospirazione di crociati cristiani, ebrei e hindu, “A Crusader-Jewish- Hindu conspiracy against Islam”.

    Ma l'attività del terrorista più pericoloso dell'India è solo collatarale a quella di al Qaida. Ibrahim ha forti legami con al Zawahiri. Ma Dawood non ha bisogno di sponsorizzazioni. La sua D-Company, la Dawood gang, è perfettamente autonoma e gestisce un business che va dal traffico di droga agli interessi commerciali nella cinematografia indiana, passando anche per le rendite ricavate dalla compravendita di palazzi nel centro di Bombay. Dawood accumula, poi finanzia. La Laskar-e-Toiba (anche se non ha rivendicato l'attacco) è la principale rete grazie alla quale Dawood si sarebbe servito nel architettare la strage di martedì scorso ai treni di Bombay. Treni erano anche l'11 marzo a Madrid, treni (sotterranei) erano anche il 7 luglio a Londra così come treni sotterranei erano quelli che si trovavano nel primo attentato al World Trade Center di New York del 1993. Lui controlla, finanzia e dà il suo appoggio. Fornisce gli esplosivi e assicura la sua protezione. Così dovrebbe aver fatto con la Laskar-e-Toiba martedì scorso.

    La collaborazione con il gruppo terroristico più pericoloso e maggiormente radicato in India comincia proprio nel 1993. Il Laskar-e-Toiba (detto anche Lashkar-e-Tayybba) combatte da tempo in supporto delle ragioni pachistane contro il controllo indiano nella regione del Kashmir. Ed è difficile che, oltre alla strage di Bombay, le quattro esplosioni e gli otto morti e i 30 feriti di martedì scorso nella località estiva del Kashmir Srinagar non siano collegabili con gli attacchi della stessa Bombay. E quindi sempre a Dawood. La base principale dell'attività della Lashkar si trova in Pakistan. A questa rete si è da pochi anni collegata anche l'Indian muslim youth di al Qaida. Nello stato del Maharashtra, di cui Bombay è capitale, sono stati subito arrestati alcuni membri della rete che avevano con loro grandi quantità di Rdx, il materiale esplosivo quasi sicuramente utilizzato nelle bombe di Bombay. Lo stesso già usato nel 1993 in una delle più grande stragi terroristiche dell'India. Organizzata proprio, anche quella, dal Lord of crime indiano, Dawood. I terroristi islamici avevano già dato al governo alcuni piccoli ma significativi avvertimenti per le eccessive attenzioni nei confronti delle aree religiose hindu piuttosto che quelle musulmane.

    L'insofferenza era stata prima fatta notare con un attacco in un mercato a Nuova Delhi, lo scorso ottobre, durante il quale furono uccise circa 60 persone, cinque anni dopo un attacco al Parlamento indiano nel dicembre 2001. In entrambi i casi la regia – o quantomeno i finanziamenti delle stragi – è stata sempre fatta risalire a Don Ibrahim Dawood. Esattamente come martedì scorso. Perché Ibrahim non significa soltanto Kashmir, significa anche mafia indiana, significa anche anti induismo. Significa soprattutto business. E l'Osama indiano aveva fatto capire di non aver granché gradito quando, la scorsa settimana, in pieno centro di Bombay la Corte suprema indiana aveva deciso di far eliminare, con trecento operai e cinquanta ufficiali municipali, sette strutture (costruite proprio di fronte al più importante commisariato) della polizia. Tutte strutture non regolari che i servizi di intelligence locali avevano scoperto essere collegate alla D-Company di Dawood Ibrahim. Era successo una sola volta che fosse direttamente toccata parte della fortuna finanziaria di Ibrahim, esattamente undici anni fa, nel 1995. Il governo indiano, pur sollecitando periodicamente il Pakistan di non nascondere i suoi terroristi, di non proteggere i jihadisti e i mafiosi, non è riuscito a fare nulla per intrappolare il terrorista più famoso d'India, di cui qualche giorno fa, per un errore l'Interpol pakistana avrebbe addirittura rivelato l'indirizzo della sua villa. Mai una parola di risposta del Pakistan.

    Fino a questa settimana quando, due giorni prima delle stragi, come per creare un pre alibi a Dawood, ha tenuto a precisare che Dawood a Karachi non c'è. Non che non ci sia mai stato. Semplicemente non c'è. E' stata la prima volta, dopodiché le stragi. Le esplosioni indiane potrebbero aver avuto alcuni importanti riferimenti simbolici e temporali. Luglio è il periodo del primo anniversario dell'attacco terroristico al tempio Hindu di Ayodhya dello scorso anno. Era il 5 luglio. Non solo. Esattamente un anno fa, il 18 luglio, la visita del primo ministro indiano Manmohan Singh negli Stati Uniti. Che dopo aver ricevuto Bush a marzo lo rincontrerà quasi sicuramente al G8 di San Pietroburgo. Ma insieme a Dawood Ibrahim sotto accusa è proprio l'intelligence pachistana (Isi) che secondo i servizi segreti (non solo indiani) è in costante pressione sul governo sul fronte Kashmir. L'Isi era stato coinvolto anche negli attentati del 1993. Era stato sempre l'Isi a portare Ibrahim Dawood dal Pakistan a Dubai per poi tornare a Bombay per esplorare nuove tecniche di esplosione. Si era specializzato nell'utilizzo e nella sperimentazione proprio del Rdx, l'esplosivo (probabilmente) utilizzato martedì. Fatto scattare dai tre detonatori e dai due timer trovati nei pressi di tre delle sette stazioni dove si sono verificate le esplosioni sui binari.

    Lo stesso esplosivo era stato usato, sempre da Dawood, nel 1993 a Bombay, due anni prima che la città cambiasse nome per diventare Mumbai. L'esperienza in Dubai è stata la seconda più importante per Dawood. La prima è stata quella del 1989, quando Dawood aveva partecipato in Afghanistan con bin Laden e con i talebani alla guerra contro l'Unione Sovietica. I rapporti di amicizia creati in quegli anni hanno permesso allo stesso Dawood di supportare una rete di protezione nell'area intorno a Karachi. Sono due i più importanti terroristi ricercati nell'area, oltre allo stesso Dawood. Il primo è Khalid Sheik Mohammad, uno dei registi dell'11 settembre, e poi Walid bin Attash, il principale sospettato dell'attentato di Aden nell'ottobre 2000, catturato proprio a Karachi. E non a caso, tra i sessanta terroristi più pericolosi individuati dall'intelligence indiana, quaranta sono residenti in Arabia Saudita e venti in Pakistan.

    Sono tredici anni che Ibrahim è uno dei latitanti più pericolosi del mondo. Da quando, il 12 marzo del 1993, fece saltare in aria con tre azioni coordinate il Bombay Stock Exchange, il palazzo dove risiedeva l'Air-India e l'ufficio regionale passaporti del Maharastra. Trecento morti. L'Interpol lo segue, lo scopre e lui comincia a scappare. Arriva a Karachi nel sud est del Pakistan. Qui Dawood Ibrahim è rispettato, temuto ma soprattutto protetto dagli stessi (migliori) uomini degli ex agenti della polizia pachistana. Suo papà, Kaskar Ibrahim, era uno dei più importanti membri del Criminal Investigation Department. Il business di Ibrahim non è concentrato soltanto nell'area pachistana. I suoi affari arrivano fino alla Thailandia, passando per Sri Lanka, Nepal, Dubai, Germania, Francia e Gran Bretagna. E i trenta milioni di rupees (60 milioni di dollari) che si ritrova sui conti all'estero gli hanno garantito rispetto, affari e soprattutto sicurezza. Nei suoi palazzi, a Karachi, Dawood riceve persone molto vicine ai ministri pachistani, e a molti politici.

    Tutti sanno dove abita, conoscono la grandezza della sua villa, seimila yards con piscina, tennis, palestra, e con abbondanti presenze femminili. Si sveglia il pomeriggio, una nuotata, si sfoga con le modelle (“preferisce le vergini”, scrivono i giornali locali) e se le prostitute costano 10 lui le paga 100. In passato Dawood Ibrahim aveva prestato anche soldi al Pakistan per l'approvvigionamento clandestino di missili e i giornali indiani scrivono che abbia avuto un ruolo attivo nell'organizzare la campagna di referendum di Musharraf a Karachi e nel portare elettori alle cabine per votare lo stesso per Musharraf. Il patrimonio di Dawood è concentrato quasi tutto nella zona di Bombay: palazzi, locations come Colaba, Crawford Market, Bhendi Bazar, Bandra, Oshiwara and Versov.

    A Karachi però Dawood comincia a investire i suoi soldi e va anche in soccorso della Banca centrale. Si nasconde qui. Ma la polizia, ostacolata da alcuni membri dell'intelligence pachistana, fa finta di nulla. Nel 2005 la figlia Mahrukh Ibrahim sposa Junaid Miandad, il figlio della leggenda vivente del cricket pachistano, Javed Mianded. Cerimonia a Dubai (dove i servizi segreti aspettavano papà Dawood) e post wedding party casualmente, a Karachi, in Pakistan, dove l'intelligence di Dawood lo proteggeva dagli agenti indiani. Papà Miandad ne vuole stare fuori, fa finta di niente e dice che suo figlio “ha sempre cercato di rimanere fuori dalle luci dello show”. E quindi: “La privacy deve essere rispettata”, e racconta che la figlia del boss in fondo è una tipetta a modo, “una ragazza educata che ogni genitore desidererebbe”. E come gentile segno di riconoscimento, papà Dawood inizia a versare soldi per Junaid comprandosi partite e giocatori di cricket.

    Ma il bin Laden indiano, oltre agli undici passaporti, spesso per muoversi utilizzava anche il nome del fratello (arrestato nel 2002) Anees Ibrahim. I problemi di Ibrahim cominciano proprio in quest'occasione. E' il primo tra i più importanti organizzatori della strage del 1993 a essere stato arrestato. Dawood non si sente più sicuro. Lo scorso 11 aprile all'aeroporto internazionale di Indira Gandhi il suo cuoco personale, Mohammed Jabril Khan, è stato arrestato, mentre era di ritorno da Karachi e dove aveva appena cucinato per un party di Dawood. Ma il vero problema di Dawood Ibrahim si chiama Abu Salem, il Bernardo Provenzano indiano, dopo Ibrahim il più importante organizzatore dell'attentato del 1993, uno dei massimi finanziatori (illegali) di Bollywood e arrestato nel 2002 in Portogallo dopo quasi venti anni. E' sotto processo proprio in questi giorni a Bombay. Il regista Mahesh Bhatt è stato ispirato dalla vita di Abu Salem per girare il film “Gangster”, uscito a maggio in India. Salem faceva grandi affari con Dawood.

    Era il suo braccio destro fino a quando, nel 1997, senza chiedere l'autorizzazione a Dawood, aveva ucciso “il barone della musica” indiana, Gulshan Kumar. Salem è finito in carcere insieme con la sua compagna, l'attrice Monica Bedi, la quale ha subito fatto capire che collaborerà con la giustizia. Ma anche Salem potrebbe cominciare a parlare. Il Portogallo lo aveva estradato soltanto dopo aver ottenuto dal governo indiano l'assicurazione di non condannato a morte. Una delle stelle del cinema indiano, Sanjay Dutt, è stato già accusato proprio da Don Abu. Ma il prossimo nome, le prossime informazioni che i servizi segreti indiani si aspettano di ricevere da Salem, da Bedi, il cuoco Khan o anche da Anees sono proprio quelle collegate a uno degli uomini più ricercati del mondo, l'Osama bin Laden indiano: Dawood Ibrahim.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.