Le conseguenze della savianeide
Proteggiamo un po' Saviano anche dalla società civile appiccicosa
Gli si commini dunque un Nobel, e sia finita lì. Del resto lui, che è senz'altro un grande scrittore e scriverà ancora molti bei libri, che senza dubbio è una testimonianza civile incarnata e pure di bell'impatto visivo, ma che, si può arguire, difetta un po' di misura, per portarsi avanti nella sala dell'Accademia di Stoccolma ci si è già presentato.
Gli si commini dunque un Nobel, e sia finita lì. Del resto lui, che è senz'altro un grande scrittore e scriverà ancora molti bei libri, che senza dubbio è una testimonianza civile incarnata e pure di bell'impatto visivo, ma che, si può arguire, difetta un po' di misura, per portarsi avanti nella sala dell'Accademia di Stoccolma ci si è già presentato. A discutere con Salman Rushdie, l'altra icona universale del perseguitato. Dunque sia candidato subito al Nobel, e già che ci sono gli offrano pure la cittadinanza ad honorem di Stoccolma. Così risolviamo alla radice anche l'altro problema aperto dalla “savianomania”, quello delle cittadinanze onorifiche appunto, che da tempo sta tediando i milanesi quasi e più del crollo di Piazza Affari.
Quello di Roberto Saviano, l'autore di “Gomorra”, è oramai un caso che non se ne può più. Lui è uno scrittore e ha scritto un libro diciamo bello. A prescindere. Che è diventato un bestseller, e il più felice di tutti è stato Gian Arturo Ferrari, commander in chief della Mondadori, che è più bravo di tutti gli altri a fiutare i bestseller, e su “Gomorra” ci aveva scommesso subito. Così che essere nella scuderia dell'editore di Segrate è probabilmente la cosa che più avvicina Saviano al capoluogo di Lombardia. Invece, da mesi, lo scrittore anti-camorra è diventato un caso prettamente meneghino. Gli volevano dare l'Ambrogino d'oro. Che fin quando non si è trasformato nel suk delle beghe da cortile politically correct e nel giardino d'infanzia in cui i politici meneghini sfogano le loro frustrazioni e clientele, era un prestigioso riconoscimento che la città di Ambrogio offriva ai suoi figli migliori. Assai spesso adottivi.
Fatto sta che l'Ambrogino a Saviano è sembrata una cazzata troppo grossa a tutti fin dall'inizio (lo avevano proposto i Verdi). Cosicché è “sorta spontanea” nella “società civile” l'idea della cittadinanza onoraria. Ed è stata subito una mania. E del resto Milano non è l'unica città d'Italia contagiata. I suoi muri, ad esempio, sono stati tappezzati un paio di settimane fa dai poster dalle foto (in bianco e nero, che fa più impegno) formato 70 x 100 con i volti di ben 52 savianomani. Tanti nomi e un unico cognome: Saviano: Alfonso Saviano, Luigi Saviano, Chiara Saviano. Ovviamente non poteva mancare Lellacosta Saviano. Appesi dall'associazione “savianocontinua.blogspot.com” in una viuzza del centro di Milano dove di solito passano soltanto i residenti e un camorrista non è mai transitato, nemmeno per tagliare una gomma d'auto. Affissione abusiva, ça va sans dire, trattandosi di una campagna ad alto contenuto di difesa della legalità.
Sta di fatto che nei bisticci incrociati per gli Ambrogini, in cui la massima posta in gioco quest'anno era trovare il sistema per non darlo alla memoria a Enzo Biagi (ci sono riusciti) e per non dedicargli manco una strada cittadina come risarcimento collaterale, alla fine – come scrive indignata Repubblica – “finisce per andarci di mezzo Roberto Saviano”, per il quale quantomeno “ci si era accordati per la concessione della cittadinanza onoraria”. E invece niente di niente. Fosse solo quello. A Saviano la cittadinanza l'hanno negata pure a Buccinasco, nella Bassa milanese. E a parte che comminare la cittadinanza onoraria in un comune della Bassa milanese sarebbe un po' come offrire un soggiorno coatto a Guantanamo, va detto che lì un senso civico forse lo si poteva vedere: secondo gli investigatori dell'Antimafia, infatti, ormai Buccinasco sarebbe la “Platì del nord”, un posto in mano all'Ndrangheta.
Conviene ripeterlo, perché nessuno qui vuole male a Saviano né tantomeno si permette di mettere in discussione l'importanza e la qualità della sua opera unica. E è senza dubbio un caso politico e culturale su cui riflettere, e un dramma reale, quando un giovane scrittore è costretto a confessare al Figaro frasi così: “Se non continuo a scrivere rischio di crollare. D'altra parte non so neppure come qualificare la mia esistenza: sono in una situazione che oscilla fra quella di un uomo iperprotetto e quella di un prigioniero, che cambia galera ogni settimana”. Però, da qui a essere trasformato, e magari anche un po' usato, nella bandiera dell'impegno civile da una sinistra che tutte le altre bandiere le ha perse per strada, dovrebbe correrci qualche passo.
Forse dovrebbe scocciare allo stesso Saviano. O forse no, visto che poi all'Accademia di Svezia con Rushdie, icona della libertà nella sua espressione politicamente corretta, alla fine ci va. E dice: “La maggior parte delle accuse pubbliche, nella mia situazione, non viene certo dalla camorra. Quelli condannano e basta. E' dalla società civile, dagli intellettuali, che mi si dice: sei un pagliaccio”. Noi questo non lo diciamo proprio. Chiediamo che gli diano un Nobel. Ma a lui, non alla “società civile”.
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