Poteri Morti
C'è un uomo esasperato, probabilmente l'autoritratto del vignettista, che prende a schiaffi Walter Veltroni: “La bella politica? E bastaa bastaa due palle la bella politica fa schifo la bella politica!!! La bella politica…”.
C'è un uomo esasperato, probabilmente l'autoritratto del vignettista, che prende a schiaffi Walter Veltroni: “La bella politica? E bastaa bastaa due palle la bella politica fa schifo la bella politica!!! La bella politica…”. E' già il 2008, Berlusconi vincerà le elezioni (si capisce da un'altra vignetta, in cui uomini e donne circospetti con sedie e scrivanie sulle spalle scappano dal Pd verso il Pdl). Se si è vissuti su Marte fino a ieri (o se la mattina si passa direttamente alla pagina degli Spettacoli) si può capire moltissimo della politica italiana dal 1992 a oggi leggendo, ridendo e piangendo sopra “Poteri Morti” (Rizzoli): è il romanzo a disegni di Vincino, grande vignettista che fortunatamente lavora anche per questo giornale. Vincino racconta tutto, soprattutto i dettagli (“le cravatte di Paragone il nostro futuro?” sotto un miniritratto di Gianluigi Paragone), e prende in giro chiunque, da qualunque parte si trovi: un disegno diventa un editoriale se lui ci aggiunge sotto due parole. C'è Gianfranco Fini che ogni mattina, ogni colazione e ogni sera mentre va a letto rilegge il suo fogliettino: “Il fascismo è il male assoluto”, c'è Veltroni davanti allo specchio che “prima del comizio pomeridiano si mette il solo postiche denominato porro porroso”. Durante il grande exploit di Walter come uomo nuovo a capo del Pd tutti i sinceri democratici si chiamavano Veltroni e si salutavano calorosamente a vicenda: Vincino Veltroni, piacere. Isaia Veltroni, Fido Veltroni e i miei gemellini Veltrini e Veltrina, Donna Veltranda, Professor Veltrio Veltroio, fino al gatto Walter Miao. “I giovani contestatori del '68 volevano cambiare il mondo – ricorda Vincino in un'altra vignetta – Lottarono duramente contro i baroni dell'epoca, sino a quando riuscirono a prendere il loro posto. Da dove non li sposteranno manco i carri armati”.
In effetti è andata così, ma almeno con sopra appiccicato l'occhio di Vincino che osserva e disegna, senza paura di farsi togliere il saluto da Dario Fo e Franca Rame, se capita di notare che la ridicolaggine o la stronzaggine sono molto trasversali (anche Vincino ha fatto il '68, ma per incontrare, conquistare e sposare la ragazza più bella di Palermo). C'è Giulio Andreotti molto triste: “Non ho ucciso Pecorelli, non ho baciato Riina, ma che minchia ho vissuto a fare”. Nelle vignette di Vincino, poi, ci sono le ammucchiate, gente che fa freneticamente l'amore a caso mentre il Papa dice: “Siate casti quest'estate”. C'è un mondo intero e un sacco di idee, c'è tutto l'avanspettacolo del potere, quello che si cerca tristemente di camuffare e che Vincino sbugiarda liberamente da tutta la vita, con la satira (“che dovrebbe essere materia di studio a partire dalle elementari”): sono cartoline illustrate con le nostre facce sopra, non sempre bellissime.
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